E’ finita la luna di miele?

Pubblicato il 26 settembre 2014, da Politica Italiana

giannelliCome sempre dopo la luna di miele vengono i tempi duri. Anche per Renzi. Con una sequenza di fatti e di segnali che pongono più di qualche interrogativo.

En passant la Magistratura. Un atto che riguarda il padre e per il quale Renzi non ha alcuna responsabilità. Che tuttavia getta un ombra sulla reale attività dell’azienda “di famiglia” in cui del resto Renzi ha svolto l’unica attività lavorativa nota, al di fuori dell’impegno istituzionale/politico. Guarda caso i fatti risalgono a molto tempo fa ma i provvedimenti escono in contemporanea con il “brrr che paura” di Renzi

Poi c’è il durissimo editoriale del direttore del Corriere della Sera. Non serve fare tanta dietrologia sui poteri forti e dintorni, fatto sta che il giudizio, ancorchè educato e con qualche complimento, è alquanto impietoso. De Bortoli parla di “squadra di governo in qualche caso di debolezza disarmante…la competenza appare un criterio secondario la muscolarità tradisce a volte la debolezza delle idee, la superficialità degli slogan”. Ci sono i complimenti al coraggio, all’energia leonina del premier, alla straordinaria oratoria, l’avvertenza che se fallisse lui falliremmo anche noi. Ma intanto è un giudizio molto severo quello che compare sul Corrierone.

C’è l’opposizione interna che improvvisamente prende coraggio, utilizzando a mio modo di vedere in modo tutto strumentale la vicenda della riforma del lavoro, su cui si vedrà presto che non c’è alcun contenuto di merito che giustifichi questa coerenza. Perfino il pacato Bersani piscia un po’ fuori dal boccale, parlando di “voti miei” che vanno rispettati. Proprio lui che dice che bisogna sempre usare il noi, la ditta, ecc.

C’è un richiamo anche del Segretario Generale della Conferenza Episcopale, molto enfatizzato da alcuni quotidiani, che dice “”Basta slogan, Renzi ridisegni l’agenda politica” e richiama anche i sindacati a guardare con coraggio al cambiamento: “troppa gente, nei sindacati e nella politica, piuttosto che cercare soluzioni al drammatico problema del lavoro, bada a tenere alto il numero dei propri iscritti”.

Ci sarebbe anche la formazione della nuova segreteria nazionale. Formalmente unitaria, ma non sembra nei fatti. Francamente con nomi sconosciuti ai più, e che non sembrano possedere in molti competenze già sperimentate nei settori affidati.

Non credo che serva fare troppo dietrologia, ma certo Renzi ha disturbato molti interessi, per il momento più con gli annunci che con i fatti. Ma si apre una stagione delicata, con l’approvazione della legge di stabilità e le scelte conseguenti. Renzi completi con urgenza la squadra di governo (manca ancora il Ministro degli Esteri) consolidandola sul piano della qualità e poi pancia a terra con i fatti. Saranno i fatti che sconfiggono i gufi

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2 commenti

  1. Giorgio Franco
    27 settembre 2014

    Ti leggo sempre volentieri. Stavolta con qualche distinguo e, se ne ho il tempo con una postilla, anche se corposa. A me pare che Bersani, anche altri l’avrebbero detto, abbia usato la forma verbale personale, sia per semplificazione della comunicazione (avrebbe avuto minor effetto se avesse usato la locuzione “i voti, che ha preso il partito, quando ero io segretario), sia per rispondere a Renzi “immediatamente”. Il quale Renzi, da quando è anche Presidente, non ha mai nominato il suo predecessore Letta; e da quando è Segretario non si è mai preoccupato di spiegare o chiedere che cosa sia successo alle elezioni per il Presidente della Repubblica. Nascondere la polvere sotto il tappeto, per usare una sua forma verbale, non porta bene. C’è però una vicenda più attuale e ben più importante (sarebbe utile che la riflessione, propria di ciascuno, fosse generale e pacata) ed è la volontà di rimozione di un’articolo di legge fondamentale per la democrazia ed il governo equilibrato del mondo del lavoro. La parte datoriale è una componente di tale mondo, non la padrona. Io ho avuto la fortuna, sotto certi aspetti, di lavorare in un Ente Pubblico per oltre trentotto anni, per quasi trentasei dedicato ad un settore molto delicato e cruciale per l’economia. Grazie a queste mansioni ho avuto quotidiani contatti con lavoratori, datori di lavoro, consulenti del lavoro, dottori commercialisti e un pò più raramente con rappresentanze sindacali, avvocati, giudici del lavoro e penali. Ho anche avuto il merito (parole di un collega) di essermi laureato, sostenendo anche una decina di esami a contenuto giuridico: civile, penale, commerciale, del lavoro, amministrativo. Tutto questo negli anni immediatamente successivi alla legge 20 maggio 1970 n° 300. Come dire ho avuto modo di approfondire sul piano teorico e sul versante della prassi aspetti interessanti nei rapporti di lavoro. Negli anni ’70 e per buona parte degli anni ’80 ci fu una specie di sbornia collettiva, che appunto è andata però dissolvendosi. Ai lavoratori e alle loro rappresentanze non pareva vero di finalmente rivalersi contro i soprusi patiti in tanti anni di condizioni talora ai limiti dello schiavismo: ma come si sa, quando si vuole strafare, spesso si fa quello che tu rimproveri a Bersani. Analogamente da parte dei datori di lavoro fu difficile accettare di punto in bianco di non essere “padroni in casa propria”, per cui spesso, per mere questioni di forma, si sono visti condannati: ricordo un datore di lavoro condannato, che, senza preoccuparsi di raccogliere le prove, aveva licenziato in tronco un lavoratore, che rifiutò di eseguire prestazioni straordinarie e nel contempo, a fine orario normale, andava a lavorare “in nero” in azienda concorrente. Anche la magistratura del tempo propendeva, in applicazione di un principio petito di “favor operai”, per la condanna dei datori di lavoro. Il tempo però è stato galantuomo, e a migliorare il clima interno alle aziende contribuirono da un lato la disponibilità e la correttezza dei lavoratori e dei loro rappresentanti (che tendevano ad isolare i lavoratori non seri) e dall’altro la riflessione e la preparazione dei datori di lavoro, più attenti alle indicazioni delle loro organizzazioni. La conflittualità (in particolare quella sui licenziamenti individuali) andò dissolvendosi, rimanendo comunque presente per le questioni collettive più importanti. Gli effetti, lo ricordo bene, furono evidenti. In particolare l’art. 18 (per le imprese oltre i 15 dipendenti, lo ricordo) finì col rimanere invocato in pochi casi: taluno ha parlato di un paio di migliaia di casi. La mia stima è di mille su tutto il territorio nazionale: vale a dire dieci casi all’anno in una provincia come Padova. Ma quel che è da rilevare è che il ricorso alla tutela dell’art. 18, che in origine era stato forse pensato per le posizioni di lavoro con minori garanzie, finì col tempo per essere appannaggio delle categorie protette: pensate a Santoro contro RAI, ma potrei citarne ancora. Perché allora si vuole eliminare questa tutela?
    Rimane certamente una parte di imprenditoria, che ritiene il lavoro e l’impresa una specie di famiglia, nel senso di dover esser intoccabile dagli altri. E che politicamente si schiera in una parte ben definita e ben ristretta. Si da il caso invece che lavoro ed impresa abbiano una funzione sociale, talché il potere del “padrone” è limitato, non per una forma di punizione, ma semplicemente per il rispetto di una regola costituzionale, che mira al progresso economico e sociale, e quindi anche nell’interesse dell’impresa e di colui che la “possiede”. Difendere l’art. 18 non è “essere di sinistra”, è “essere democratici”, e non con riferimento all’attuale partito politico, che si fregia di tale qualificazione, ma con riferimento al significato proprio. A questo punto perciò l’azione del Parlamento, ma la cui responsabilità ricade sul Governo, non è irrilevante. L’abolizione o la attenuazione di quella norma segnano un discrimine molto netto. Per parte mia, e come si sarà capito non ho nessun interesse pratico, la permanenza dell’art. 18 nella sua forma e valenza attuale è condizione irrinunciabile per la mia scelta politica. Matteo Renzi potrà anche ottenere tutti i risultati economici, che tutta l’Italia si aspetta, potrà ottenere anche il 51% dei voti, ma non avrà mai più il mio voto! Ciao Paolo, buona giornata!


  2. Paolo
    27 settembre 2014

    Caro Giorgio, ti ringrazio dell’articolata riflessione, cui brevemente replico. Penso che l’uscita di Bersani non sia conforme al suo stile, ma certamente Renzi ha usato linguaggi ben più violenti…Nel merito le tue osservazioni mi confermano nell’idea che si tratta di un dibattito un po’ surreale. Che avrebbe senso di fronte a testi concreti. Ciò che imputo alle minoranze PD è di voler far credere che si voglia “eliminare” l’art. 18, cioè ogni tutela contro i licenziamenti individuali discriminatori. Questa è una totale falsità, le tutele contro le discriminazioni restano e resta il reintegro. Si tratta di trovare tutele adeguate ai tempi, che tengano conto dei reali interessi di lavoratori e imprese per gli altri casi di licenziamento individuale (senza dimenticare che il vero problema purtroppo sono i licenziamenti collettivi per crisi aziendale). Uno studio della CGIL stima in circa 8.500 nei primi 6 mesi del 2014 i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Da quando è entrata in vigore la modifica Fornero sono complessivamente 40.000 casi. Di questi circa un po’ più un quarto sono sfociati in una causa giudiziaria, per il resto c’è stata una conciliazione volontaria tra le parti. E in molti casi anche se il lavoratore ottiene il reintegro preferisce concordare l’uscita, perché è difficile restare a lavorare in un luogo non gradito. E’ funzionale questo sistema? Io dico di no, perché bisogna fare i conti con il malfunzionamento della giustizia ed i tempi lunghissimi dei processi del lavoro, sei anni e più in media. Questa situazione di incertezza fa sì che l’impresa se può evita di caderci dentro. Rimanendo sotto i quindici dipendenti, ricorrendo a contratti atipici, a rapporti a partita iva, ecc. Io penso che il sistema a tutele crescenti sia più efficace. Del resto è quello che sta proponendo la CGIL. L’applicazione dell’art. 18 attuale dopo un certo numero di anni, in modo che all’inizio (quando può essere più incerto il risultato economico dell’investimento o la conoscenza delle capacità professionali ed umane del lavoratore) ci siano meno vincoli. Qual è l’unico danno che ne deriverebbe per il lavoratore? Si indebolisce la sua trattativa con il datore di lavoro, che piuttosto che aspettare il lungo tempo di decisione e onerosissimi rimborsi in caso di condanna può essere disponibile ad una generosa trattativa. ma questo vantaggio è interamente pagato dai lavoratori sotto i quindici addetti (ben più della metà dei dipendenti privati) e da quelli che vengono assunti con contratti a termini, precari, false partita iva, ecc. Che in gran parte potrebbero essere assunti a parità di diritti con i colleghi che possono usufruire dell’art. 18. Se si entrasse nel merito sono certo che sarebbe semplice trovare una soluzione. Ma da una parte e dall’altra è diventata una bandiera ideologica…


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