Prendere o lasciare?

Pubblicato il 29 settembre 2014, da Politica Italiana

Il dibattito nella Direzione del PD sul jobs act è servito? Mi sembra di sì. Al di là di forzature polemiche è stato un dibattito vero, in cui ognuno ha detto con passione la sua. Si sono definiti anche meglio i contorni del dissenso: il molto che unisce, il poco (almeno a mio avviso) che divide. Ed è stato approvato un documento a larghissima maggioranza. I sì sono stati 130, i no 20, 11 astensioni. La mozione è passata con l’86 per cento dei consensi.

La mozione delinea i contenuti della delega con maggiore chiarezza. la delega dovrà prevedere «una rete più estesa di ammortizzatori sociali», in particolare «con risorse aggiuntive a partire dal 2015»; una «riduzione delle forme contrattuali»; un rafforzamento dei servizi per l’impiego, integrando pubblico e privato e terzo settore. Per quanto riguarda la disciplina sui licenziamenti individuali per quelli economici viene escluso il diritto di reintegro, che viene sostituito da una indennità economica commisurata all’anzianità di servizio; ma si afferma chiaramente che il diritto al reintegro rimane per il licenziamento discriminatorio e per quello disciplinare.

Mi ha colpito l’intervento di Bersani. Al di là dell’aspetto politico vedo un uomo che sta soffrendo perché sente di avere delle cose da dire, delle idee da offrire e non si sente ascoltato. Renzi farebbe bene a tenerne conto. Sono molto amare le parole “noi andiamo sull’orlo del baratro non per l’articolo 18 ma per il metodo Boffo, uno deve potere dire la sua, senza che gli si tolga la dignità, e io voglio discutere prima che ci sia un ricatto: “prendere o lasciare”».altan

Per sdrammatizzare un po’ la situazione ricorro ai miei ricordi personali. Perché per i paradossi della politica una delle più meritorie e innovative operazioni politiche fatta da Bersani (che è stato un ottimo ministro, prima ai trasporti e poi allo sviluppo economico), quella delle lenzuolate, fu fatta proprio con la forza del prendere o lasciare.

Me lo ricordo bene perché allora ero sottosegretario con Bersani. La confezione del testo “lenzuolate” fu fatto in un rigoroso segreto, all’insaputa dei partiti e degli altri ministri. Anche noi sottosegretari lo sapemmo all’ultimo, collezionando discrete figuracce con i giornalisti che ci anticipavano delle notizie di cui non sapevamo nulla.

Poi Bersani mi incaricò di seguire l’iter parlamentare con la disposizione di non cambiare nulla. Ricordo la ministra Turco (allora Ministro della Sanità che voleva una formulazione più morbida sulla liberalizzazione delle farmacie) respinta in lacrime da Bersani.

In effetti in parlamento non cedemmo di un pollice. Avevamo la forza per farlo e fu davvero anche per i nostri parlamentari un prendere o lasciare. Mi feci un discreto numero di nemici per i molti no detti, anche se sempre argomentati.

Ma Bersani volle, a ragione, che uscisse una netta scelta di campo: a favore dei diritti del consumatore, contro gli interessi dei monopoli e delle rendite di posizione. Poi venne il Governo Berlusconi che smantellò parecchio delle lenzuolate, trovando sponde anche in casa nostra. Perché per una parte d’Italia il cambiamento è sempre visto con terrore.

Penso che valga anche per la riforma del lavoro. Si troveranno, sulla base del documento politico della direzione i necessari miglioramenti. Ma deve essere chiaro il messaggio. Si cambia davvero, si guarda al futuro. Non si fanno pasticci, ha detto Poletti. Ed è un termine appropriato. Perché in questi anni estenuanti mediazioni, che hanno portato a testi spesso incomprensibili, in cui in un comma si afferma una cosa e in quello successivo il contrario, in cui le norme si prestano alle interpretazioni più diverse, hanno portato a scontentare senza risolvere.

Ora il tempo è finito, dobbiamo convincerne tutti. Bisogna guardare al futuro. Con chiarezza.

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Tags: , , , , ,

Scrivi un commento