Il lavoro al centro dell’eguaglianza

Pubblicato il 31 ottobre 2014, da Nel Mondo

Sarebbe ora di liberarsi da questo dibattito tutto ideologico e simbolico sull’art. 18 per andare al problema strutturale del lavoro. Renzi vuole simbolicamente affermare l’entrata in nuovo modello di legislazione del lavoro, i suoi avversari nel PD vogliono difendere un principio che ha contato molto nel passato. Io che sostengo la validità del jobs act, compresa la nuova scrittura dell’art. 18 (rinvio sul tema a queste puntuali riflessioni di Pietro Ichino Jobs act anatomia di una riforma) resto convinto che sarebbe semplice trovare un ragionevole compromesso. Ma i simboli per loro natura non si prestano a compromessi.

La questione strutturale del lavoro comunque non si risolve con la legislazione del lavoro. Può aiutare parecchio quando riprenderà una fase espansiva dell’economia ad accelerare il trasferimento sui posti di lavoro, ma abbiamo di fronte a noi problemi che vanno oltre l’andamento congiunturale.

Per questo è molto istruttiva la “Lettura” che nei giorni scorsi il Governatore della Banca d’Italia ha fatto a Bologna per la Fondazione del Mulino Perchè i tempi stanno cambiando.

Il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco

Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco

Non solo per la brillante sintesi descrittiva della rivoluzione economica degli ultimi secoli, dalla civiltà delle macchine alla globalizzazione, ma per la precisa individuazione di alcuni nodi strutturali del lavoro che non risolti porterebbero a conseguenze umane, sociali e politiche assai gravi.

Ricorda il Governatore il titolo di una bella canzone di Bob Dylan che per la mia generazione ha significato qualcosa For the times they are a-changin’’. Cantava Bob: “E se il tempo per voi/ Rappresenta qualcosa/ Fareste meglio ad incominciare a nuotare/ O affonderete come pietre”

Se i tempi stanno cambiando bisogna essere pienamente consapevoli delle conseguenze.

Il Governatore ne ricorda due. La velocità con cui le tecnologie digitali tendono a sostituire il fattore lavoro anche in campi in cui si pensava necessaria la presenza del lavoro umano. Studi sull’economia statunitense affermano che nel prossimo ventennio il 47% dei posti di lavoro potrebbero essere automatizzati. Certamente l’innovazione tecnologica porta anche alla crescita di nuovi lavori (il famoso saggio di Moretti – non Alessandra – sulla nuova geografia del lavoro stima in cinque i posti di lavoro tradizionale creati per ogni posto di lavoro in aree hi-tech) ma non si ha nessuna certezza che alla fine il saldo sia positivo. Ed è presumibile che la domanda si concentri sui lavori di fortissima specializzazione e competenza e sulla parte della forza lavoro meno qualificata nel settore dei servizi, lasciando del tutto scoperta la forza lavoro intermedia.

Il che ci porta alla seconda grande questione. La crescita delle diseguaglianze, che non è solo un problema che riguarda la giustizia sociale e principi di eguaglianza dei diritti. Ha un riflesso diretto e negativo sulle prospettive di crescita. Perché per poter acquistare i beni e servizi che un sistema economico ad alta produttività immette sul mercato occorre che ci sia una domanda aggregata, cioè occorre che i redditi siano ampiamente distribuiti tra la popolazione e ci siano consumatori in grado di acquistare i nuovi beni e servizi.

Mi fermo qui, per dire dunque che si stanno creando le condizioni per la creazione di un nuovo pensiero economico. Così come Keynes lo formulò nel secolo scorso di fronte alla grande crisi capitalistica degli anni ’20, così oggi bisogna lavorare nella stessa direzione.

Ce lo ricordano economisti di diverse scuole, lo richiama con molta forza Papa Francesco. Ecco, mi piacerebbe un Pd che riflettesse su questi aspetti in profondità, senza posizioni strumentali. Ed un Governo che investisse su questi spunti, anche con sperimentazioni coraggiose. Ad esempio introducendo in modo sperimentale forme nuove di misurazione della ricchezza, oltre il PIL, tema su cui un italiano, l’ex Ministro del lavoro e Presidente dell’ISTAT Enrico Giovannini, ha impostato uno straordinario lavoro. Per cambiare verso all’Italia bisogna affrontare anche queste questioni.

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2 commenti

  1. Pierluigi Petrini
    1 novembre 2014

    Bella Paolo la tua disanima. Inquadri la complessità del problema suggerendoci utili approfondimenti. Il problema è che per sentire un ragionamento serio sul tema del lavoro ho dovuto leggere il pensiero di un “rottame”. Il resto è solo fuffa propagandistica a incominciare dal ridicolo anglicismo del Jobs Act. Continuo a pensare, nonostante i tuoi sforzi, che questa politica sedicente nuova e veloce non sia affatto capace di leggere il veloce cambiamento dei tempi.


  2. Paolo
    2 novembre 2014

    In effetti la propaganda sul tema del lavoro, da una parte e dall’altra, è molto pericolosa perchè tocca una delleragioni di vita delle persone


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