Lo stato innovatore

Pubblicato il 14 ottobre 2014, da Relazioni e interventi

Mariana Mazzucato, Lo Stato innovatore, Laterza, 2014

La macchina statale è vittima di un’illecita persecuzione. Per rilanciare l’economia è quindi necessario scardinare il paradigma vigente: meno stato uguale più crescita. Questa la tesi sostenuta in ‘Lo Stato Innovatore’ da Mariana Mazzucato, Professoressa di Economia ed Innovazione all’Università di Sussex.

Mazzucato fa cardine su una serie di casi dove grazie agli investimenti statali mirati è stato possibile fare avanzare tecnologia ed innovazione. Dall’iPhone, all’industria verde fino ad arrivare alle biotecnologie, Mazzucato sottolinea come, a differenza degli investimenti privati, il capitale a disposizione dello stato è caratterizzato da un livello di “pazienza” che permette di adottare ed implementare una politica d’investimento a più lungo termine e a più alto rischio.

Nel saggio, la scrittrice denuncia il falso mito che riguarda gli investimenti privati, in particolare i “venture capitalists”. Osannati dall’opinione pubblica come motore trainante dell’innovazione, al contrario di quanto non si creda, i “venture capitalists” puntano su aree con forti potenzialità di crescita, ma con bassa complessità tecnologica e bassa intensità capitale, mirando alla commercializzazione del prodotto entro i 3-5 anni.stato

In questo senso, gli investimenti ad alto rischio e ad alta intensità capitale, sono finanziabili unicamente attraverso le casse dello stato, e non basterebbe dunque tagliare le tasse e lasciare più soldi in tasca ai privati per incentivare quest’ultimi ad investire.

Il libro di Mazzucato arriva in un momento storico dove le teorie del liberalismo e della famigerata “mano invisibile” di Adam Smith sono più che mai soggette a forti pressioni. A livello europeo, il dilemma tra austerità e prosperità occupa da mesi le prime pagine dei giornali.

La rigidità con la quale si sostiene che la soglia del 3% di debito pubblico sia invalicabile inizia a scricchiolare, e in questo contesto Mazzucato fa una lucida osservazione. Analizzando i successi dello stato “innovatore” negli Stati Uniti conclude che “la realtà è che non dobbiamo fare ciò che gli Americani dicono, ma ciò che fanno”.

Gli statunitensi, pionieri e patrocinanti del sistema liberale capitalista, a partire da Ronald Reagan fino a Barack Obama e la sua riforma sanitaria, non hanno, come spesso si crede, rinunciato al ruolo dello stato come finanziatore, anzi, basti guardare il successo della Silicon Valley, finanziata per lo più da interventi statali.

Allo stesso modo, è ben difficile sostenere che in Europa lo Stato sia assente o poco presente, dato il seguitarsi di un forte orientamento del vecchio continente verso un modello di Stato previdenziale.

Il problema evidenziato in “Lo Stato innovatore” appare dunque come una questione principalmente di dialettica. Non è tanto vero che lo stato non fa abbastanza, quanto piuttosto che ciò che fa non viene riconosciuto nell’ambito del dibattito pubblico.

Mazzucato presenta con chiarezza le argomentazioni a supporto della sua tesi. Fuori dal coro, ma non tratta quei casi in cui l’intervento dello Stato ha causato non solo sprechi, ma anche veri e propri disastri finanziari ed ambientali. La crisi dei mutui sub prime ad esempio, o l’esperimento fallimentare fatto con le tecnologie solari in Germania.

Parlare dell’industria verde, celebrando gli investimenti statali riusciti ed ignorandone i fallimenti con un semplice “inevitabilmente qualche volta (lo stato) avrà successo e qualche volta no”, rischia di non essere un’argomentazione sufficiente a persuadere i contribuenti.

La situazione si aggrava, inoltre, se si considera che avendo a disposizione cifre sensibilmente più sostanziali rispetto al settore privato, in caso di flop la magnitudo dello spreco sarà senz’altro di una certa rilevanza. Si capisce quindi perché la tesi di Mazzuccato possa far discutere.

(Recensione tratta dal sito Affari internazionali.it)

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