Mattiazzo, un uomo roccioso con antenne sensibili

Pubblicato il 22 giugno 2015, da Cattolici e società,Realtà padovana

Ieri il nostro vescovo ha concluso il suo lungo ministero episcopale. Una lunga presenza che ha segnato la Chiesa padovana e anche le istituzioni. Riporto qui a grato ricordo della sua presenza una intervista che mi ha fatto nel settembre dell’anno scorso Francesco Cassandro

Per le cronache dell’epoca, il suo primo incontro con monsignor Antonio Mattiazzo coincise con quello di centinaia di padovani: il 19 settembre 1989 in Piazza Duomo. “In realtà – rivela l’allora sindaco Paolo Giaretta – conobbi monsignor Mattiazzo qualche settimana prima in un incontro privato, in una casetta in Val di Sella, vicino all’abitazione dove morì De Gasperi, dove si era ritirato per preparare il suo ingresso in diocesi”.

Quale fu la sua prima impressione, senatore Giaretta?

Di una personalità senza dubbio molto diversa rispetto al suo predecessore Filippo Franceschi. Mattiazzo veniva dal profondo sud della nostra provincia, ma con una carriera svolta in giro per il mondo, in particolare in Africa; Franceschi, invece, faceva parte della generazione cresciuta alla Cattolica, che rappresentava un ponte tra il mondo ecclesiale e la politica dei giovani  “Prof” – Fanfani, Dossetti, La Pira… -, destinati a segnare la politica italiana. Di Mattiazzo ebbi subito l’impressione che il suo amore per la montagna non fosse casuale…

In che senso?

Mi sembrò un uomo roccioso ma con antenne sensibili: una persona che aveva in mente il mondo; del quale intuiva una crisi di sazietà.

Qual è stato in quegli anni il suo rapporto con il neo vescovo?

Certamente diverso da quello del suo predecessore. Franceschi sentiva le istituzioni. Ne aveva curiosità ed era normale che ogni tanto telefonasse. “Sindaco – diceva – ci vediamo?”.  In Mattiazzo c’è invece l’idea di una più netta separazione e di una reciproca indipendenza, di una chiesa che organizza le condizioni della propria libertà. Se c’era una cosa che non gli piaceva lo diceva pubblicamente.IMG_0969

Autentiche scintille…

Sì. Ricordo una polemica che fece pubblicamente sulla pedonalizzazione di Piazza Duomo.

Si lamentava che i preti non potevano più raggiungere in auto il vescovado.

Come finì?

Tenni duro, perché un cattolico sulle cose religiose segue i propri vescovi, ma sull’amministrazione decide autonomamente, e l’allarme del vescovo si dimostrò infondato. Però devo dire che il suo stile, in qualche occasione ruvido, è stato uno stimolo, una frusta per la politica locale.

Quale messaggio la colpì particolarmente?

L’invito alla politica a non dimenticarsi mai dei poveri, ad andare oltre alle banalità del senso comune, di guardare il mondo con uno sguardo nuovo. Oltre all’Africa, di cui portava un’esperienza diretta, va ricordata la sua intuizione sulla possibilità che un pezzo d’Europa che usciva dal dominio sovietico potesse trasferire nell’intero continente quel messaggio di spiritualità che ancora forte conservava.

Che bilancio traccerebbe di questi venticinque anni di episcopato?

Il vescovo è stato testimone dei profondi cambiamenti avvenuti, e in questo anche i suoi giudizi che possono apparire severi, in realtà rappresentano il richiamo di un padre a un impoverimento morale ed etico della città. Un impoverimento che poi genera smarrimento, chiusure, paure, e si sa che la chiusura e la paura non rendono i problemi più semplici, ma li complicano, sia nella funzione da parte dell’autorità, sia nella percezione di uno che ha della propria vita.  In questo senso il richiamo del vescovo è sempre stato un monito a guardare alle cose solide della vita.

 

 

 

 

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Tags: , , , ,

Scrivi un commento