Nemici della democrazia

Pubblicato il 20 luglio 2015, da Politica Italiana

La democrazia si nutre di speranza. Il suo principale nemico è la paura. E la paura può essere coltivata a fini di dominio. Perché la paura è il sentimento che nasce di fronte alle difficoltà particolarmente nei ceti più deboli economicamente e culturalmente. I più forti si nutrono d’altro: è l’avidità, la sete di dominio, lo sfruttamento dei più poveri. E la paura ha bisogno appunto di un nemico. Che esorcizzi le paure, che faccia sentire forte il debole: liberatisi di quel nemico spariranno i problemi.

Questo ci insegna la storia. Oggi da noi il tentativo irresponsabile in atto è di individuare nella figura del profugo il nemico. Nascondendo l’immagine del vero “profugo” (chi fugge da persecuzione, guerra, miseria) dietro quelle più convenienti dei tagliagole islamici, degli spacciatori o di giovanotti alla ricerca di ferie pagate. Questo è quello che si sente nei bar, nelle code ai servizi pubblici o al supermercato e nell’arena virtuale dei social. Il paradosso è che la comunicazione globalizzata coltiva ogni paura, perché il mondo ci entra in casa, ma poi non si vuole vedere ciò che contraddice le nostre paure. Ad esempio vedere cosa siano i veri campi profughi dell’Africa o del Medio oriente: centinaia di migliaia di persone accampate sotto il sole. E bisognerebbe un po’ vergognarsi di paragonare un condominio a quelle città disperate.

A nulla vale dimostrare che i numeri non sono diversi da quelli di crisi del passato, agevolmente superate, perchè la paura è per eccellenza un sentimento irrazionale. Comunque: i profughi arrivati fino a luglio sono 82.932 e l’anno scorso erano stati 76.634. La Germania ne gestisce circa 200.000. Dove è “l’invasione”?

La paura quando viene coltivata e sfruttata produce sempre disastri. “Aizzare il fuoco della protesta può condurre in territori pericolosi” ha ricordato Avvenire, invitando  Zaia a fare il governatore e non l’attivista di partito.

Emigranti italiani annegati in mare - 1906

Emigranti italiani annegati in mare – 1906

Dobbiamo renderci conto che siamo di fronte ad un fatto inedito: una potenziale rivolta popolare contro la solidarietà. Che si manifesta con un ribellismo che rifiuta leggi e regole. Che può usare la violenza, almeno da parte di frange estremiste. Che si nutrono tuttavia di un largo consenso, che vengono incoraggiate e tutelate da pezzi di società, amministratori locali, esponenti politici, ecc. Non vi colpisce ad esempio il fatto che il sindacato non abbia sostanzialmente fiatato di fronte ai gravi fatti che sono successi? Mobilitazione estrema sulla riforma della scuola ma silenzio sulla questione profughi? Non penso per insensibilità, ma per il fatto che la chiusura è largamente presente nei (pochi) iscritti del sindacato. E se Zaia dice “il Veneto si sta africanizzando” il sindacato sa che nelle fabbriche e negli uffici la battuta piace. Una volta non era così. Pensiamo ad una vicenda diversa ma con tratti comuni. La violenza terroristica delle Brigate rosse e dei fiancheggiatori. Pochi all’azione (alle rapine e agli assassini politici) ma una larga area di tolleranza se non di consenso. Ma era diverso il contesto: partiti forti, sindacati radicati, capacità di indignazione della società portarono alla sconfitta del terrorismo.

Dobbiamo sapere che oggi queste risorse non ci sono più o sono molto più deboli. Ma bisogna metterle in campo, perché sottovalutare ciò che sta succedendo è pericolosissimo. Non siamo nel folklore, siamo nel consapevole investimento sull’odio da parte di attori politici. Ed è profondamente sbagliato pensare che i tanti pogrom contro gli ebrei nell’Europa dell’800 (premessa dell’olocausto nel 900) o la pulizia etnica nel dissolvimento della Jugoslavia con una feroce mattanza nascano dalla specifica cattiveria di un popolo o di un momento storico. Cose che nascono dalla banalità del male, dall’indifferenza dei molti, dall’idea che in fondo i “nemici” una lezione se la meritano.

Sono frasi innocenti dire come ha detto un esercente di corso Milano: “E’ vergognoso usare la Prandina per i profughi perché Bitonci ci ha promesso che da settembre ci sarebbe stato un parcheggio”. Non conta nulla che non ci sia alcun atto amministrativo per utilizzare un bene demaniale non disponibile per il comune in un parcheggio, che comunque la Prandina è talmente grande che un centinaio di profughi non impedirebbero di certo l’utilizzo a parcheggio. Non esistono più “mediatori” dell’opinione pubblica. Ognuno crede alle bugie che gli piacciono. Salvo poi magari indignarsi e non votare più. Una frase innocente che nasconde però il disimpegno civico, il rifiuto di informarsi, di misurarsi con i problemi della convivenza.

Meno innocente la frase del noto Pellizzari. L’esercente che diventa attivista di Bitonci perché non sopporta 50 metri di pista ciclabile di fronte al suo negozio (in centro…), quello che non si accorge come presidente di Fiera Immobiliare (il giusto premio bitonciano) che sta nominando come revisore dei conti un protagonista dello scandalo Mose, che sta affossando il progetto del nuovo centro congressi. Dice Pellizzari: “I profughi chiedono acqua e la gente si spaventa”. Tanto si può dire senza vergognarsi.

Bisogna impegnarsi davvero per ricostruire l’alleanza delle persone che non si vergognano della solidarietà. Che sono molti di più di chi grida. Che capiscono le paure e non le disprezzano, ma le vogliono combattere. Perché in comunità di nemici non si vive mai bene. Se ne accorgeranno anche a Quinto di Treviso.

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5 commenti

  1. Willyco Robin
    20 luglio 2015

    Condivido Paolo, la tua analisi e ciò che proponi, voglio solo aggiungere che mi aspetto un piano di gestione della normalità dell’immigrazione, che non lo attendo da Alfano e che probabilmente toccherà al PD presentarlo.


  2. Alberto Melis
    20 luglio 2015

    Bravo Giaretta! Analisi lucida e molto interessante. Peccato che quelli che aizzano non leggano queste opinioni primo perchè non leggono e secondo perchè ascoltano solamente la TV di regime.


  3. Paolo
    22 luglio 2015

    Grazie caro Alberto, comunque se si semina quaqlcosa si raccoglie sempre…


  4. Paolo
    22 luglio 2015

    Caro Roberto, penso in effetti che vi sia stata una sottovalutazione della natura politica della questione. Sia appunto mancata una lettura ed una conduzione politica. Lasciare tutto in mano ai prefetti è ingiusto per loro e sbagliato per la politica.


  5. Paolo Batt
    24 luglio 2015

    Sono d’accordo sulla denuncia dell’uso della paura a fini politici, praticato dalla destra.
    Mi chiedo però se il modo migliore di contrastare questa azione sia un richiamo generico alla cultura della accoglienza ?
    Senza porre paletti realistici che aggregerebbero anche un’area in bilico tra la solidarietà e il respingimento.
    Da non credente sono tuttavia convinto che, se il messaggio evangelico fosse stato accolto, gli ultimi 2000 anni di storia sarebbero stati migliori. Ma se ciò non è accaduto ci sarà bene un motivo, che la politica deve tenere in conto per orientare e gestire le scelte terrene.
    Tornando al problema immigrazione:
    Perchè dare per accettata la scelta di una società multirazziale, specialmente in una regione dove purtroppo tuttora esistono distinguo tra abitanti di paesi distanti poche decine di kilometri ?
    Perchè non considerare, forse con un poco di malizia, che anche i richiedenti asilo puntano non solo alla pace, libertà, dignità ma anche a partecipare al benessere economico europeo ?
    Infatti non tutte le nazioni africane sono in guerra o dominate da dittature feroci, ma i profughi scelgono invariabilmente di chiedere asilo alle nazioni ricche, anche a costo di elevati costi e rischi di viaggio.
    Perchè non criticare la lentezza dei rimpatri (effettivi e non cartacei) dei migranti economici ?
    Perchè paragonare acriticamente le migrazioni italiane dello scorso secolo con le attuali emergenziali africane ?
    Le prime avvenivano sulla base di grandi fabbisogni di manodopera dei paesi di destinazione e non prevedevano certo la messa a disposizione gratuita di cibo ed alloggio. (Mio nonno emigrato in Uruguay nel 1948 in 25 anni non ricevette mai nulla e non fece mai una telefonata ai parenti).
    Chi ricorda la lotta partigiana o la guerra civile spagnola non si spiega facilmente come uomini giovani e forti non sentano il bisogno di fare altrettanto per i loro Paesi (come peraltro nello stesso contesto fanno i Curdi, con enormi sacrifici e pochi aiuti occidentali).
    Credo che se inserissimo nella discussione anche questi elementi, potremmo convincere meglio i dubbiosi della necessità di aiutare quei profughi che non hanno veramente altra alternativa.
    E spunteremo anche alcune lance ai seminatori di paure a fini politici.


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