Immigrati: serve la politica, quella che guarda lontano

Pubblicato il 31 agosto 2015, da Politica Italiana

Ancora il dramma dell’immigrazione. Le immagini dei bambini annegati sulla spiaggia, le immagini di un camion sulle strade della nostra civilissima Europa imbottito di cadaveri di migranti. Le immagini di intere famiglie, il papà con un bambino sulle spalle, la mamma con gli altri figli in cammino a piedi per le strade di Europa. Così simili ad altre immagini: le popolazioni in fuga nella guerra sanguinosa della post Jugoslavia, le popolazioni ebraiche deportate…Una storia che ritorna e che vorremmo tenere lontano. Perché non vogliamo imparare dalla Storia. Ritornano le illusioni dei muri per fermare la storia. In Ungheria (ma lì son fascisti), ma come la mettiamo con le democratiche Francia (quella che accoglieva un criminale come Cesare Battisti) ed Inghilterra con i fili spinati a Calais? Come se non dovesse insegnare nulla il fatto che il muro di migliaia di kilometri fatto dagli Stati Uniti per fermare l’immigrazione  messicana non è servito a nulla: nel sud degli Usa la lingua più parlata è diventato lo spagnolo.

Discorso lungo, ma la sostanza è: manca la politica. La capacità di affrontare fasi nuove con strumenti nuovi. Combattere le bande criminali che si arricchiscono con i flussi migratori con grandi  operazioni di polizia internazionale (come fu fatto con la pirateria nel Corno d’Africa), un sistema unificato di riconoscimento dello status di rifugiato, ecc. Una solidarietà reale di chi non si spaventa ma affronta la Storia. Dietro questo problema se ne nasconde un altro altrettanto preoccupante: la debolezza della democrazia. La democrazia si basa sulla delega e sulla fiducia, gli stati hanno perso poteri (basta vedere la potenza della finanza internazionale anche nella crisi cinese) e certi problemi a livello nazionale non si risolvono più. Politica debole, problemi non risolti, sfiducia crescente. Tentazione di inseguire le angosce e le paure che nascono durante i cambiamenti epocali piuttosto che prevenirle e rimuoverle con soluzioni lungimiranti.profughimacedonia

E l’Italia? L’Italia sta facendo tutto quello che deve fare e che ci si deve attendere da un paese civile: salvataggio in mare con generosità e competenza, iniziativa europea per il cambiamento delle regole, ecc. Ma anche qui dobbiamo dire: davvero manca la politica. La politica è in ritardo. Non tutta la politica, purtroppo. Non è in ritardo Salvini: sfrutta spregiudicatamente le paure e le angosce che accompagnano i cambiamenti profondi. Fa una predicazione al paese per far credere che il problema si risolve negando che esista. Stiano a casa loro. Ma fuggono perché la casa non c’è più. Lasciamo stare Grillo che, nato contro la politica tradizionale,  ne ha assunto tutti i difetti, senza i pregi: lì ci sono i voti e me li vado a prendere, dei principi non mi interessa nulla.

In ritardo siamo noi, che dobbiamo essere capaci di far vivere i valori della solidarietà dentro questo cambiamento epocale. Facendo un discorso al paese. Che non può essere fatto solo di un generico richiamo alla solidarietà. Perché si tratta di cambiare il nostro modo di essere, di avere una diversa lettura geopolitica, culturale, politica appunto, di prospettiva. E non si può affrontare come emergenza ciò che è una nuova realtà. Il discorso sarebbe molto lungo ma faccio solo un esempio. Sulla tendopoli della Prandina Bitonci ha solo detto delle sciocchezze. L’unico risultato che ha ottenuto eccitando gli animi ed impedendo altre soluzioni è che la tendopoli è cresciuta. E questo è il Sindaco che hanno scelto gli elettori…

Resta il fatto: come possiamo pensare che centinaia di giovani, che hanno vissuto i peggiori rischi e le peggiori violenze possano restare sotto le tende senza far niente, senza sapere nulla del loro destino, senza una prospettiva. E’ solidarietà questa o è solo una impotente ipocrisia? Prima o poi qualcosa succede: la rivolta, la fuga, il delitto, ecc. Chiudendo ulteriormente la mente delle persone.

Non è emergenza, è la realtà con cui convivere. Ed allora occorre una grande narrazione al paese, occorre politiche ben strutturate. Ad esempio: servono mesi per il riconoscimento dello stato di profugo? Ok, ma bisogna organizzarsi perché sia un tempo certo. Perché se i profughi sono persone hanno anche diritti. E bisogna dire loro: in un tempo certo avrete la risposta. Anche perché poi circa il 40% di quelli che fanno la domanda non hanno lo status di profugo. Se si facesse prima si incomincerebbe ad avere numeri molto più modesti e l’opinione pubblica capirebbe meglio la dimensione del fenomeno.

Penso alla grande depressione americana degli anni ’30. Il New Deal dette risposte innovative. Ad esempio anche organizzando per l’immediato grandi campi di lavoro per opere pubbliche: la riforestazione, grandi dighe, ecc.  Abbiamo decine di migliaia di persone in attesa in campi che diventano ghetti. Una buona parte sono giovani in forze, ci sono tecnici, laureati, gente che potrebbe dare un contributo. Utilizziamoli in grandi campi di lavoro per progetti di interesse nazionale. Aperti naturalmente anche agli italiani senza lavoro. I Sindaci, anche nella nostra provincia, a partire da quello di Este, hanno dimostrato che si può fare, con molti benefici, compreso quello inestimabile di una maggiore comprensione e condivisione da parte dell’opinione pubblica.

Con un po’ di fantasia ed innovazione, perché se la risposta è quella che ho sentito dalle nostre parti: che la legislazione non lo consente, che c’è il rischio dello sfruttamento, ecc. allora accettiamo che a vincere nell’opinione pubblica sia Salvini. Invece dobbiamo darci da fare, perché la risposta politica sia all’altezza del sentimento.

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