Don Claudio: coraggio, anima, prospettive

Pubblicato il 21 ottobre 2015, da Cattolici e società

C’è una tradizione di longevità nella carica di Vescovo nella nostra diocesi. Non essendo più un giovanotto mi hanno comunque accompagnato nella mia vita solo tre Vescovi. Mons. Girolamo Bortignon, Vescovo per 32 anni dal 1949 al 1982 (quello che mi ha dato la Cresima…), Mons. Filippo Franceschi, eccezionale intellettuale dato alla Chiesa, di cui ricordo il vivo amore e interesse per la città che mi manifestò in tanti colloqui e poi il lungo episcopato di Mons. Antonio Mattiazzo, dal 1989 al 2015, a cui ho avuto l’onore di dare come Sindaco il benvenuto della città al suo ingresso in Diocesi.

Adesso è arrivato il Vescovo Claudio. Un altro cammino che inizia, e possiamo capirne lo stile che ci sarà dalla brevi ma incisive parole che ci ha rivolto con i due discorsi pubblici: il discorso ai rappresentanti delle istituzioni alla Casa madre Teresa di Calcutta, al Cottolengo, e l’omelia in Duomo. Lo capiamo anche dal motto scelto per il suo episcopato: “Coraggio, alzati, ti chiama”Stemma

“Eccomi” ci ha detto “sono Claudio, preso dal Santo Padre Francesco dalla amatissima Chiesa di Mantova e mandato ad amare la grande e santa Chiesa che vive nel territorio di Padova”. Don Claudio (così vuol essere chiamato, e per uno della mia generazione non è cosa spontanea…) ci fa capire che il suo stile sarà uno stile francescano, non solo con riferimento a San Francesco ma con riferimento specifico a Papa Francesco. Se ci hanno meravigliato alcuni atteggiamenti pastorali di papa Francesco prepariamoci a vederli anche nella nostra Diocesi.

Don Claudio, rivolgendosi ai rappresentanti delle istituzioni ha ricordato che “ogni responsabilità pubblica ha come obiettivo il servizio a tutti gli uomini e a tutto l’uomo, affinché tutti possano soddisfare i propri bisogni materiali e spirituali” e per questo motivo che la Chiesa può instaurare relazioni feconde con le istituzioni. Con un compito specifico per i cristiani: “Lì dove si gioca il quotidiano della vita della gente, dove i problemi sono vivi e concreti i cristiani sono chiamati a dare coraggio, anima e prospettive”. E ha ricordato ai Sindaci che certamente è difficile stabilire le priorità quando le risorse non sono sufficienti “Ma è proprio qui che si giocano le ispirazioni ideali e la politica diventa arte manifestando la sua vocazione di servizio al bene pubblico.”

Nell’omelia poche parole, ma forti: “Non mi si addicono e così deve essere almeno tra noi cristiani, onorificenze, titoli, primi posti” e “oggi sono le scelte nel campo dell’economia che testimoniano le nostre priorità e a queste dobbiamo guardare perché la disponibilità e la gestione dei beni siano interamente al servizio dell’annuncio del vangelo. Noi dobbiamo parlare e discutere di come servire i poveri, come promuovere giustizia, come costruire fraternità nel nostro territorio e in tutto il mondo. Le nostre comunità saranno rifugi e asili di speranza per i più deboli. Non abbiamo da trattare di altre cose.”

Parole molto impegnative. L’errore più grande che potremmo fare è di utilizzarle politicamente. O meglio sotto il profilo di schieramenti politici. E’ possibile che queste impostazioni, come è già successo, ad esempio si scontrino con gli atteggiamenti di chiusura delle amministrazioni leghiste. Ma non è che il vescovo farà politica al posto nostro. Dovremo essere convincenti noi, sul piano civile, verificando se anche noi saremo a posto. Sotto il profilo di dare “coraggio, anima e prospettive” alle nostre comunità.

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