Politici e Imprenditori. Il doppio fallimento e il bene comune

Pubblicato il 31 ottobre 2015, da Politica Italiana

Venezie Post, 30 ottobre 2015

Sempre sbagliato generalizzare. Tuttavia anche le recenti vicende bancarie venete ci pongono un tema: quale prova abbia dato la classe imprenditoriale veneta alle prese non con la gestione della propria azienda ma con gestioni di tipo pubblicistico, siano esse società di proprietà pubblica o mista o società a largo azionariato e con funzioni di tipo pubblicistico come gli istituti di credito?

Perché non c’è dubbio che vi sia stato negli anni recenti un forte arretramento della politica partitica da spazi propriamente o impropriamente occupati. Per le vicende iniziate con la prima tangentopoli, per la bassa legittimazione dei partiti, per scelte degli azionisti pubblici, per riforme comunque avviate, spazi di gestione prima affidati ad esponenti partitici sono stati consegnati ad esponenti della borghesia produttiva.

Ripeto: sbagliato generalizzare, gli esempi positivi non mancano e spero non mancheranno in futuro, ma le cronache di questi mesi ci offrono un ritratto non troppo lusinghiero sulle capacità di gestione dei capitani d’impresa in questi spazi.

Fuori la politica dalle banche fu detto, ed oggi dobbiamo constatare più di qualche disastro compiuto nelle Banche Venete senza partiti, con un intreccio perverso tra amministratori della banca e percettori di finanziamenti agevolati e arricchimenti individuali, con grave danno degli azionisti. Con una continuità gestionale molto spesso ultradecennale, configurando poteri a scarso o nullo controllo. Singolare è il caso del crac della Banca Popolare di Garanzia di Padova. Doveva essere il fiore all’occhiello degli industriali padovani. Infatti alcuni dei più autorevoli di loro sedevano nel consiglio di amministrazione. Adesso abbiamo 16 indagati per bancarotta, tra cui due ex presidenti di Unindustria Padova, con un buco di 20 milioni di euro.

Nanotech doveva essere un motore dell’innovazione e sta annegando nei debiti. La privatizzazione parziale della Fiera di Padova ha portato al suo svuotamento di fatto.

Le Camere di Commercio avrebbero potuto essere un esempio per tutte le istituzioni pubbliche di una profonda capacità di autoriforma. Dimostrare la capacità del mondo produttivo di misurarsi con gestione efficienti di prestazioni pubbliche, eliminando sovrastrutture, duplicazioni, inutili sopravvivenze, ecc. L’ultimo vero salto di qualità l’ha fatto negli anni ’70 del secolo scorso il prof. Mario Volpato (Presidente della Camera di Commercio di Padova, nominato dalla politica come avveniva in quell’epoca) con la creazione della rete informatica nazionale che ha dato valore economico al sistema camerale. Oggi, in ritardo e troppo timidamente, si avviano processi di fusione solo perché la politica (il Governo Renzi) ha messo le Camere con le spalle al muro legando il finanziamento a livelli minimi di efficienza.

E in altro campo anche il sostanziale fallimento di sindaci “marziani” come Marino a Roma e De Magistris a Napoli dimostra che se l’onestà è un necessario prerequisito lo è anche la competenza amministrativa e manageriale.

Forse è arrivato il momento di ri-capire che anche la politica (la gestione del bene comune) ha le sue regole e le sue competenze, indipendentemente dalle qualifiche (uomini di impresa, uomini di partito, amministratori pubblici o amministratori d’impresa): come si organizza il potere, come costruire le alleanze per evitare di essere isolati o sconfitti, come salvaguardare gli interessi generali, riscoprendo anche una etica pubblica che latita nel nostro paese in modo drammatico. Magari ci fosse solo la corruzione dei politici. Al contrario le quotidiane cronache ci consegnano un ritratto della società italiana in cui prevalentemente al politico spetto il ruolo di un molesto comprimario o faccendiere e lo scambio vero è tra una burocrazia famelica che esercita il proprio potere a pagamento ed una classe imprenditoriale che ripone fiducia nella corruzione invece che nel mercato.

Più che contrapposizione tra politica e impresa c’è bisogno invece di una alleanza forte per la buona politica (che riguarda ovviamente tutti e non solo gli esangui partiti), un incrocio di competenze, una valorizzazione di buone pratiche. Imprenditori tutti, ma del bene comune.

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