La via dello sviluppo passa per il Nord Est

Pubblicato il 27 febbraio 2016, da Veneto e Nordest

Toniolo Ricerca n. 2  febbraio 2016

Il titolo di questa rubrica è “Sviluppo Nord Est”: potremmo chiederci: ha ancora senso parlare di Nord Est? Quando Giorgio Lago negli anni ’80 inventò questo termine e ne fece una bandiera non è che ignorasse le diversità di questo territorio, dal punto di vista istituzionale con regioni a statuto speciale, e dal punto di vista identitario. Ma pensava che un’area che era già diventata un gigante economico avesse bisogno di una rappresentanza politica più forte, di una maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità e che questo potesse avvenire con una “narrazione” affidata anche ad una iniziativa per un federalismo dal basso, appoggiata ai sindaci in modo trasversale.

Il disegno non andò in porto perché era molto ambizioso e difficile. In ogni caso oggi le condizioni sono cambiate.

Siamo in presenza di un processo diverso, sotto la pressione della crisi globale che ha levato molte illusioni. Emerge un nuovo nazionalismo a doppia via: da un lato nuova centralizzazione degli Stati (nel caso dell’Italia anche per il fallimento delle regioni, tra scandali di varia natura e gigantismo burocratico), dall’altro crisi del modello europeo, ben dimostrato dalla incapacità di affrontare il dramma epocale dei profughi. Anche qui: occasioni perse nel passato, quando si coltivò l’idea di una Europa delle regioni, che superasse il modello nazionale. Possiamo ricordare che il Presidente del Veneto Carlo Bernini si inventò nel 1978 la Comunità Alpe Adria, mettendo insieme tra gli altri Veneto, Baviera, Friuli , Slovenia, Croazia, Carinzia, Stiria: l’idea di una Europa in cui le regioni transfrontaliere aiutavano a superare i nazionalismi e il Veneto da periferia diventava snodo fondamentale verso il Nord e l’Est che si sarebbe aperto alla globalizzazione.

Comunque il futuro sarà dato da crescente pressione competitiva a livello globale e scarsità di risorse pubbliche con gli stati fortemente indebitati. Il Nord Est resta vitale dal punto di vista economico. Ma come ha rilevato la Fondazione Nord Est nel suo Rapporto 2015 ha rallentato, come tutti certo, ma più degli altri. La ricchezza prodotta nel 2014 è inferiore a quella prodotta nel 2000. Emergono elementi sconosciuti nel recente passato: un rallentamento dell’economia appunto, invece dell’orizzonte della crescita come fatto costitutivo, la sofferenza nel mercato del lavoro, fatto inedito per le generazioni più recenti dei veneti, una pessima demografia, con un invecchiamento accelerato della demografia, problema comune a tutta l’Italia, di cui non si parla mai se non semmai per parlare degli immigrati. Che se non ci fossero la demografia sarebbe ancora peggiore.Toniolo-ricerca-di-febbraio.-Quel-sottile-retrogusto-di-futuro_articleimage

E tuttavia per come sta evolvendo il mercato dei beni (ricordiamoci sempre che il Nord Est resta una delle grandi piattaforme produttive d’Europa) non è che siamo collocati male. Le parole che ritornano per descrivere la produzione della modernità sono : varietà e personalizzazione, cultura, territorio e produzione, analogico e digitale, manifattura digitale. Tutte cose che nella manifattura del Nord Est sono di casa. Dunque abbiamo potenzialmente strutture e vocazioni adatte anche ad affrontare il futuro. Come ha ricordato appunto la Fondazione Nord Est il Nord Est è chiamato a fare il Nord Est investendo ed organizzando potenzialità attorno a tre direttrici: “lo sviluppo del capitale umano , con particolare attenzione attorno ad una cultura tecnica soprattutto tra i giovani; la costruzione di nuovi rapporti tra manifattura e istituzioni culturali e turismo; il rilancio della attrattività di questo territorio puntando alla creazione di uno spazio metropolitano”.

Se questo è vero bisogna ripartire da un nuovo patto tra iniziativa pubblica e iniziativa privata in cui torna ad essere protagonista la comunità territoriale, naturalmente non come impaurita chiusura difensiva ma come risorsa per contare nel mondo globale. C’è stata in passato, alle origini della crescita del Nord Est, da terra della miseria e dell’immigrazione a motore economico dell’Italia, si è un po’ persa per strada nell’illusione di poter fare da soli. Mentre ritorna la competitività dei territori.

E se immaginassimo di riprendere il sogno di Giorgio Lago. Che la politica fosse capace di guidare una fase nuova in cui Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia fossero capaci di definire dei progetti condivisi? Due regioni a statuto speciale che in virtù di maggiori poteri e soprattutto maggiori disponibilità economiche hanno potuto realizzare strutture di eccellenza, ma con una base produttiva ristretta. Una grande regione con una base produttiva più ampia, una rete di città che assicurano funzioni urbane di rango elevato. Avrebbero tutto da guadagnare a porsi insieme come soggetti di programmazione integrata a servizio dei cittadini e delle imprese. Conterebbero di più, in Italia e in Europa. Invece di litigare sulla portualità tra Venezia e Trieste una collaborazione, perché la vera concorrenza è oltre il “Lago Adriatico”, sulla rete infrastrutturale ci sono degli interessi comuni e se la querelle sulla Valdastico trovasse una soluzione condivisa. Se si mettessero insieme le grandi potenzialità delle strutture universitarie e di ricerca. Se le grandi istituzioni culturali di questo territorio unico offrissero progetti integrati, ecc. ecc.

Ci vuole visione politica, ci vuole leale collaborazione, ci vuole la convinzione dei potercela fare, in un gioco in cui vincerebbero tutti e le polemiche sostanzialmente inutili sulle regioni a statuto speciale o sui referendum di confine sarebbero riassorbite in un disegno ambizioso ed unitario.

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