PD veneto: decidere o morire

Pubblicato il 4 aprile 2016, da Pd e dintorni,Relazioni e interventi

Riporto qui, un po’ arricchito nelle argomentazioni, il testo di ciò che ho detto nella Direzione regionale di venerdì scorso, in attesa di vedere come andrà la direzione nazionale di oggi.

Riflessioni di cui ho trovato conferma in alcune esperienze che ho fatto questo fine settimana.

Venerdì sera a Padova ho detto due parole ad una manifestazione organizzata dalla neonata associazione Berlinguer dedicata ad un tema non proprio à la page “L’attualità del pensiero di Gramsci”. Il relatore principale era Pierluigi Bersani. La sala della Fornace Carotta era strapiena con tanta gente in piedi. Questo cosa ci può dire? Intanto che Bersani è una persona per bene (e lo ha confermato il suo intervento umanamente appassionato su Gramsci) a cui tanti nostri elettori vogliono bene, per ciò che è e per ciò che rappresenta. Sottovalutare questo fatto è un grave errore. E poi che c’è un bel po’ di persone che vogliono sottrarsi alla dittatura del Twitter, che ritengono che di un pensiero capace di orientare i comportamenti ci sia bisogno, che condividere il rinnovamento dei gruppi dirigenti non significhi ignorare la storia del pensiero politico.

Secondo episodio. Un convegno nell’ambito del bel Festival Città Impresa a Vicenza. Si parlava del marketing nella moda. Ci sono andato incuriosito dal fatto che è un settore per sua natura sottoposto ad una fortissima pressione comunicativa e ad un continuo e rapidissimo cambiamento. Forse si poteva imparare qualcosa anche per il campo della comunicazione politica, e così è stato. Per vedere come li affrontano. Tra gli altri relatori, oltre al “nostro” Paolo Gubitta”, due giovani donne. Molto giovani, competenti, volitive, determinate. La dimostrazione che si può essere giovani e sapere le cose. Impostare cose nuove. Avere successo. Bisognerebbe che fosse così anche nei partiti: giovani per fare cose nuove non per occupare posti liberati dalla rottamazione.

Ultimo episodio sempre al Festival Città Impresa. Il Ministro del Lavoro Poletti al Teatro Olimpico sul tema Giovani e Start Up. Teatro Olimpico strapieno, con molti giovani (a proposito, viene un Ministro nel Veneto, io tra il pubblico a parte Variati padrone di casa non ho visto pressoché nessuno di nostri dirigenti, parlamentari, uomini delle istituzioni…). Continui applausi convinti al Ministro. Una corrente di stima e simpatia. Ai nostri critici: il governo Renzi è anche questo, ci ricordiamo quando i ministri che venivano in Veneto se volevano applausi che non fossero di circostanza (quando c’erano) dovevano stare chiusi nei convegni del PD? 

Ecco ciò che ho detto in Direzione.bersanigramsi

 

Devo confessarvi che di questi tempi mi sento come una sorta di apolide dentro il PD. In che senso? Nel senso che sono convinto che l’agenda del Governo Renzi sia l’agenda giusta e necessaria per il paese. E’ quello che serve e semmai bisognerebbe renderla più incisiva, non rallentarla ed indebolirla. E vorrei che fossimo più consapevoli dell’enorme vuoto (pericoloso per la democrazia) che ci sarebbe stato nel paese se non fosse stata in campo l’iniziativa renziana. Un qualche cosa che con l’azione di governo ha dato un riferimento ad una opinione pubblica disorientata e pessimista, dimostrando che è possibile cambiare, è possibile fare. Che è capace di parlare direttamente ad una opinione pubblica che non si fa più intermediare da partiti, sindacati, associazioni e che perciò è per sua natura fragile nelle appartenenze.

D’altra parte però non condivido una azione che di fatto sta portando alla destrutturazione del Partito Democratico come luogo di elaborazione di progetto, di condivisione di ideali e di esperienze umane, di reciproca curiosità. I partiti devono essere diversi dal passato, certo. Ma qui si sta destrutturando il vecchio senza sostituirlo con nulla che non sia una idea di convivenza muscolare, in cui chi ha perso il congresso deve solo tacere in attesa del nuovo appuntamento elettorale, in cui si coltivano rancori e disprezzi che poi per li rami discendono anche sul territorio. Io non penso che serva qualcosa alla credibilità dell’azione di governo replicare a chi, a torto o a ragione, ha una idea diversa da quella di Renzi: “vedremo al prossimo congresso chi ha i voti” o replicare a posizioni argomentate con una alzata di spalle o accuse di gufismo o disfattismo. “Qui non si fa politica” recitavano i cartelli nei luoghi pubblici sotto il fascismo. Naturalmente di politica se ne faceva, ma doveva essere una sola. Perchè chi ha vinto ha il dovere ed il potere di decidere, non quello di considerare un inciampo il dibattito, non quello di avere il dovere di rispondere nel merito di fronte all’opinione pubblica ed ha comunque il dovere di costruire un partito in cui il dissenso venga rispettato, perché nel partito abbia senso restare.

Anche perché non ci attendono cose semplici. Anche per Renzi vale che dopo un po’ la comunicazione si usura e la leadership individuale non basta più. Abbiamo davanti un periodo politicamente complicato e non bastano i voti in Parlamento. A parte il quadro internazionale non dominabile da noi (Libia e Medio oriente, profughi sulla rotta italiana, ecc.) c’è il referendum sulle trivelle in cui si è sbagliato a trasmettere un messaggio superficiale sulla non partecipazione al voto, in cui influirà psicologicamente e negativamente la vicenda del Ministro Guidi, su un tema in cui l’elettorato PD è diviso. In giugno ci sarà il passaggio delle elezioni amministrative, con possibili sconfitte a Roma e Napoli, e speriamo non altre. C’è anche l’evento del referendum nel Regno Unito sull’Europa. Se ci fosse un sì all’uscita come i sondaggi fanno ritenere possibile, ci troveremmo di fronte a conseguenze molto complicate anche per noi. Infine il referendum costituzionale. Per me le riforme sono giuste e sono convinto che ci sia una larga maggioranza di italiani che voterà per il sì. Ma è politicamente rischioso impostarlo come si rischia di fare con un plebiscito pro o contro Renzi, perché si motiva strati di opinione pubblica a votare no a prescindere e sulla Costituzione bisognerebbe unire e non dividere. Perciò c’è bisogno di ricostruire condizioni di convivenza nel PD.

Sul congresso regionale non ho elementi (ormai vivo un po’ dal di fuori la realtà del partito) per una scelta definita tra elezione del segretario con un congresso subito o elezione in assemblea per preparare il congresso dopo il referendum d’autunno.

Dico solo che è sbagliato considerare ormai i congressi come una sorta di calamità da evitare accuratamente. I congressi sono la normalità nella vita di un partito e sarebbe stato giusto farlo dopo la gravissima sconfitta subita. Non è neppure vero che il Congresso non si possa fare perché ci sono le amministrative. In un paio di mesi si potrebbe ben fare, e semmai, se condotto con senso di responsabilità, preparerebbe anche la mobilitazione per le amministrative.

D’altra parte è altrettanto vero che fare il Congresso non risolve automaticamente i problemi. Dipende come vene impostato. Se è solo una conta dei voti non risolve quel compito gravoso che abbiamo davanti di fare un PD rigenerato, per usare il linguaggio di Praglia.

Dico solo che se non si indice subito il Congresso non ci si può limitare ad un semplice rinvio. Penso che bisognerebbe in questo caso fare molto di più:

– eleggere in assemblea il Segretario, se De Menech conferma la propria indisponibilità. Con una logica generosa, superando una idea un po’ angusta di chi attende l’investitura da Roma (da Lotti, da Boschi, da altri?) o pensa solo a prospettive personali. Trovare una persona generosa (che possibilmente non pensi a candidarsi al successivo congresso) che si impegni con dedizione a creare le condizioni per un buon congresso, un congresso di ripartenza per poi impostare la prossima battaglia per le regionali.

– Il Segretario si doti di una squadra vera, di persone che non occupino posti ma lavorino. Guardate che è imbarazzate leggere un lungo elenco di incarichi di esecutivo a cui, salvo lodevoli eccezioni, non ha mai corrisposto alcuna attività, l’elaborazione di un qualche documento e prese di posizioni. L’importante era sedersi ad un presunto tavolo decisionale. Proviamo ad andare a vedere il sito del partito e c rendiamo conto che non ha nulla a che fare con uno strumento di azione politica nell’epoca dei social. Ma su questo scriverò qualcosa nei prossimi giorni.

– Si presenti un programma di attività di qui all’autunno, insieme per recuperare il tempo perduto e poi offrire il contesto per un congresso serio o non semplicemente aritmetico su chi sta con Renzi e chi no.

Il mondo fuori si muove velocemente. Nessuna organizzazione vincente che deve stare sul mercato (e noi stiamo sul mercato elettorale) si sarebbe permessa di perdere un anno senza impostare alcuna reazione dopo un “fallimento nel mercato” delle dimensioni delle regionali dell’anno scorso. Bisognerà avere una maggiore consapevolezza sul fatto che anche il PD non è una certezza, una necessità a cui non ci si può sottrarre. Vive sul territorio se serve a qualcosa se ha qualcosa da offrire. Si può anche ridursi all’insignificanza. E’ successo nel Veneto ( e non solo) per Forza Italia, che pure ha gestito un enorme potere. Può succedere anche per noi se non facciamo niente. Recentemente è stato presentato il Rapporto 2016 della Fondazione Nord Est. Una severissima analisi dei fallimenti della classe politica veneta e la necessità di un radicale mutamento nell’impostazione dell’agenda. Con indicazioni e suggerimenti che dovremmo valutare con cura. Perché altrimenti siamo coinvolti anche noi nel fallimento: se non sappiamo raccontare una società veneta diversa, indicare obiettivi diversi in modo credibile, uscire da una sloganistica di opposizione.

Perché intanto nel PD sono più presenti i processi respingenti che quelli attrattivi: vale la rottamazione che di fatto si riduce alla perdita di esperienza e militanza senza generare nuova attrattività, sembra che abbiamo paura di utilizzare intelligenze e saperi che ci sono nella società veneta, che avrebbero voglia di darci una mano, ma a cui non si affida niente, se nascono spontaneamente iniziative si tende piuttosto a contenerle e indebolirle piuttosto che a valorizzarle. Quieta non movere et mota quietare, dicevano gli antichi ma la società oggi non funziona così. Chi non si muove muore. E per chi ha voglia di lavorare non è oggi che la strada del partito sia l’unica, anzi, rischia di essere un handicap. E’ già successo nelle amministrative in passato, succede in modo rafforzato in quelle prossimo, in cui si eleva la fascia demografica in cui ci si presenta senza la lista di partito, è successo a Venezia con Brugnaro, in regione con la lista Zaia.

Se non si fa nulla succederà anche con il PD. Ma non liste promosse dal PD. Liste di persone che faranno a meno del PD se il PD resta un oggetto immobile e superfluo, interessato solo a classificazioni astratte (quanti quarti di nobiltà originaria renziana o quale grado di rosso antico) o alla costruzione di carriere personali. Sono invece convinto che c’è uno spazio per un lavoro bello, utile, appassionante, Ma bisogna volerlo e bisogna lavorare molto. A rischio, senza certezze

 

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1 commento

  1. Bruno Magherini
    4 aprile 2016

    Caro Paolo, seguendo il tuo suggerimento ho letto il tuo intervento: pertinente, appassionato, lucido.
    Ho però l’impressione che la tua analisi e il tuo accorato richiamo la dicano lunga purtroppo sullo stato di salute di un partito nato da una specie di “fusione fredda” tra due tradizioni diverse, occasionata e cementata quasi esclusivamente dall’antitesi al “berlusconismo” e ad una destra che non è riuscita a diventare una “normale” destra di stampo occidentale.
    Il che rappresenta un danno per tutti noi.
    Sta succedendo “in sedicesimo” un fenomeno analogo a quello che avvenne agli inizi degli anni ’90 dopo l’implosione dell’Unione Sovietica e il conseguente disfacimento in Italia del P.C.I..
    Anche la D.C. si decompose perchè la sua ragione d’essere, cioè l’antitesi al comunismo, veniva meno.
    Ricordo ancora davanti alla tv l’espressione accigliata di Andreotti alla celebrazione della Bolognina: da acuto statista si rendeva conto che anche la DC aveva ormai esaurito il proprio compito storico.
    Oggi succede qualcosa di simile nel partito democratico, che si trova privo non solo di una ideologia e di valori comuni, ma anche del collante dell’antiberlusconismo.
    Quando un partito si affida al personalismo, al leaderismo occasionale, al carisma (vero o presunto) di qualcuno beh…si può dire che è ormai alla frutta.
    Forza Italia docet.
    Lo scandalo in corso (perchè di questo si tratta quando la politica va a rimorchio delle multinazionali) avrà effetti devastanti – si può prevederlo – non solo sul governo ma sull’intero PD.
    Simul stabunt simul pereant! E’ la ferrea legge della politica.
    Permettimi una postilla.
    So benissimo che il problema del bicameralismo perfetto era uno dei problemi irrisolti dai Costituenti.
    In realtà il Senato doveva essere nelle intenzioni di molti essenzialmente il Senato delle Regioni.
    Ma perchè farne un organo di “nominati”?
    Perchè dotarlo di una legittimazione affievolita?
    Ti consiglio, se vuoi, di cercare in internet un intervista recentissima fatta al Prof. Giovanni Sartori su Renzi e sulle sue indigeribili (scientificamente parlando) riforme, costituzionale ed elettorale.
    Voglio ricordare che Sartori è stato uno dei più illustri politologi, esponente di spicco della Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze.
    Dopo il ’68 emigrò negli Stati Uniti dove ha insegnato per molti anni.
    Ebbene: condivido in pieno il suo giudizio su Renzi espresso in modo tranchant e senza peli sulla lingua… come si conviene ad un vero fiorentino.
    Questo per dirti che sono in autorevole compagnia.
    Ti posso assicurare da quello che sento tra la gente che non spira una bella aria per il partito democratico.
    Chi vivrà vedrà.
    Ad ogni modo la tua passione civile, devo dirti, ti fa onore.


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