Burka, burkini, bikini

Pubblicato il 22 agosto 2016, da Nel Mondo

Ritorno brevemente sulla questione del burkini. Non è che manchino questioni più importanti, ma il fatto è che i simboli contano molto e di questa cosa si parla nei bar, nelle famiglie, sui social. Non ce ne sarebbe bisogno dopo l’ottimo intervento sul suo blog di Stefano Allievi, che di queste cose sa molto più di noi. Però il mio intervento ha avuto un numero molto elevato di lettori, con molti interventi, consenzienti e dissenzienti. Aggiungo perciò una riflessione su tre punti.

Il primo riguarda le responsabilità dei media. Quanto aiutano a formarsi una opinione e quanto sono di una sconfortante superficialità? Perchè si parla nello stesso modo di burkini sulle spiagge e di burka. Non occorre essere degli specialisti per capire che sono due cose profondamente diverse. Ha ragione la Merkel che il burka, oltre a porre problemi di sicurezza impedendo la riconoscibilità delle persone, di per sé impedisce ogni integrazione. Una donna così vestita non può trovare un lavoro, avere relazioni normali nella comunità in cui vive, ecc. Un conto sono le tradizioni, un conto è voler adottare comportamenti che dimostrano l’incapacità di accettare regole minime di convivenza. Ma quale regola offendono le donne in spiaggia con il burkini ancora non l’ho capito. Tant’è che potrebbero così abbigliate tranquillamente girare per le strade di Parigi, Londra o Roma e a nessuno verrebbe in mente di impedirlo. Cosa naturalmente che non potrebbe fare una donna in bikini.giannelli2016.08.21

Vi è poi chi si fa paladino dei diritti delle donne. Giusto, basta che non lo faccia Salvini, con le sue bambole gonfiabili. Anche qui però non facciamo di ogni erba un fascio. La questione esiste, ma certo non riguarda le frequentatrici di Cannes o Nizza, con quello che costano quelle spiagge. Le foto che vediamo ritraggono donne in costosi costumi d’alta moda, eleganti e ben disegnati. Più mogli di ricchi petrolieri che sfruttate e represse dei ghetti urbani. Che ben altri problemi hanno di quello di come vestirsi per andare in spiaggia.

Riportiamo la faccenda ad una questione di costume, in questo caso nel senso di abitudini di comportamento. La sicurezza non c’entra e neppure la dignità delle donne. Basta fare un piccolo viaggio nel tempo per ricordare che non moltissimi anni fa nelle Chiese cattoliche del nostro paese le donne in Chiesa non potevano entrare senza un velo in testa, erano rigorosamente divise le attività per i maschi e per le femmine, non parliamo di minigonne e di spalle scoperte. A metà degli anni ’50 un certo Oscar Luigi Scalfaro si permise di schiaffeggiare in pubblico una vicina di tavolo ad un ristorante perché secondo lui era troppo scollata (coprendosi per la verità anche allora di ridicolo), o era di prammatica la notizia di qualche zelante sindaco di località turistica o pruriginoso pretore che mandava le forze dell’ordine a controllare le dimensioni dei bikini. Per fortuna sono chiusure da tempo superate. Ma che allora era comunemente accettate. Il senso del pudore e del corpo varia molto nel tempo e secondo le culture. E’ molto sottile il discrimine tra la difesa dei diritti e la pretesa di imporre un proprio punto di vista.

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