La solitudine del cittadino globale che parla anche a noi

Pubblicato il 12 novembre 2016, da Nel Mondo
VeneziePost 11 novembre 2016
La riflessione di Gabriele Giacomini sulle (e)lezioni americane non va lasciata cadere. Non si parla solo di USA, si parla anche di noi. Perché anche nel Nord Est siamo fermi ad una rappresentazione insufficiente. La sinistra fatica a capire fenomeni sociali nuovi e il centrodestra da risposte insufficienti. E il problema non riguarda solo la politica.
 La riflessione di Gabriele Giacomini sulle (e)lezioni americane non va lasciata cadere. Sia perché giustamente rileva che gli Stati Uniti anticipano comportamenti elettorali che poi si trasferiscono all’Europa. Sia quando invita a non banalizzare su ciò che sta succedendo nel Nord Est.

Gli Usa sembrano diversi e lontani per mentalità, cultura politica, sistemi di rappresentanza ma i sintomi che hanno dimostrato le elezioni americane sono sintomi di malattie della democrazia che sono diventate globali. Ci sono le scorie della parte negativa della globalizzazione: la politica che non riesce a curare le malattie che la globalizzazione ha portato con sé. Uno dei fattori fondamentali è il deprezzamento del lavoro. Non solo deprezzamento economico ma anche perdita di reputazione sociale, accompagnato da eccessi di precarietà. L’enorme crescita delle diseguaglianze. In Usa ancora più drammatiche perché mancano le tutele di un sistema di welfare di tipo europeo. La crescita di diseguaglianze sociali di ampiezza inaudita, che genera povertà senza speranza, frustrazioni e rancori. Una società completamente “disintermediata” che non trova riferimenti in grandi organizzazioni di massa, partiti, sindacati, ecc.trump-1-e1478876110792

Di fronte a cambiamenti che piombano sulla vita è la solitudine del cittadino globale di cui ha parlato già tanti anni fa Bauman. Una solitudine che si esprime nel voto sberleffo, il segno di una protesta impotente, l’illusione di una punizione dei potenti. Perché poi questa umanità ferita rischia di affidarsi per la cura a medici molto improbabili, come si vede dalle anticipazioni sulla squadra di Trump i protagonisti saranno i responsabili della devastazione sociale: grandi banchieri, miliardari appartenete a quella sottile crosta della società che ha incassato tutti i vantaggi della globalizzazione e non ha restituito niente. La ricetta è fatta di parole nuove e aggressive che illudono i “periferici” della globalizzazione ma la sostanza è la vecchia e fallita cura del reaganismo: meno tasse per i ricchi, meno presenza dello Stato e dei suoi servizi.

Come si vede non si parla solo di USA, si parla anche di noi. Si parla degli stressati della globalizzazione (copyright Aldo Bonomi) a cui la politica in genere fa una enorme fatica a proporre cure veritiere. Perché anche nel Nord Est siamo fermi ad una rappresentazione insufficiente. La sinistra fatica a capire fenomeni sociali nuovi: nuove sofferenze che riguardano tutti gli stressati appunto, in cui si accumulano paure, insicurezze, pessimismi, a cui si propone o un generico ottimismo o il ritorno a ricette del secolo scorso in una società, in un modo di produrre, in un sistema valoriale che non c’è più.

Non va meglio però il centro destra. Nella versione tranquillizzante e post democristiana di Zaia, in quella lepenista di Salvini ci si limita a eccitare paure, ad indicare avversari. È vero che anche questo può far parte della cura, dire condividiamo le tue paure e le conosciamo, ma poi bisognerebbe offrire non descrizioni, ma soluzioni.

Non funziona neppure la vecchia distinzione che ha fatto la fortuna del ventennio berlusconiano. Comunisti e statalisti contro liberali e vitalisti imprenditoriali. Perché la vecchia ricetta statalista richiede risorse che non ci sono più con la volatilità della tassazione: non si può raccogliere di più, occorre spendere meglio. E di liberale nell’attuale mercato globale non c’è nulla, perché il mercato presuppone regole che non ci sono. Ricordava un alfiere del liberalismo come Luigi Einaudi nelle sue Lezioni di Politica Sociale, utilizzando come esempio fiera del piccolo paese agricolo, che il mercato per ben funzionare ha bisogno del “cappello a due punte dei carabinieri che passano in piazza, il palazzo del Municipio col segretario e il Sindaco, il notaio che redige i contratti, la pretura, la conciliatura, il parroco, il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna dimenticare nemmeno alla fiera”.

Il problema non riguarda solo la politica. Riguarda tutti coloro che hanno una responsabilità sociale, a partire dalla borghesia produttiva e dal mondo della cultura. Perché una società di spaventati e sfiduciati alla lunga è una società che non investe sul proprio futuro. Perciò è una società che farà fatica a produrre bene e a consumare il giusto. Si può far finta di niente, ci si può illudere di qualche ricetta semplicistica, accontentarsi dell’annuncio della difesa da presunti nemici esterni. Sarebbe negare la forza di questi territori che hanno costruito le loro fortune su una visione ottimistica, fatta non di nemici fa respingere ma di territori da conquistare. Sulla capacità di scoprire ciò che non si vede a prima vista e di trasformare il problema in risorsa.

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1 commento

  1. Andrea
    19 novembre 2016

    Fai bene Paolo a pubblicare le riflessioni di Gabriele Giacomini. Andrea


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