Un NO di NOstalgia

Pubblicato il 10 novembre 2016, da Politica Italiana

Tralasciando un commento sulle elezioni americane (meglio leggere prima un po’ di commenti di chi conosce bene la situazione) che comunque mettono in luce la grande crisi valoriale dell’occidente prova ancora a riflettere sul Sì e sul No. Mi viene in mente la vecchia canzonetta Marieta monta in gondola: “Co sto afar del sì e del no moleghe ‘n ponto, moleghe ‘n ponto”.

Cerco di farlo da una angolazione diversa. Lasciamo stare quelli che sono contrari nel merito specifico del testo, quelli che sono contrari per motivi politici esterni al PD (la destra e la piccola sinistra fuori dal PD), quelli che sono contrari perché sono contrari ad ogni cosa su cui hanno paura di compromettersi (il M5S), quelli che con il referendum vogliono fare il congresso del PD (le minoranze interne). Resta una componente importante nell’elettorato orientato al NO. non è un No strumentale, non è un No furbesco.

E’ un NO che ha a che fare con un sentimento. Il sentimento di chi ha una nostalgia. Di un’Italia diversa.  In cui c’erano riferimenti più solidi, di tipo valoriale e comunitario. Una Italia fatta di grandi partiti popolari, che davano una linea, che erano comunità di intenti che attraversavano tutta una vita di militanza. Un’Italia fatta di sindacati dei lavoratori con una adesione e reputazione elevata. Strumenti per migliorare le condizioni del lavoro ed acquisire nuovi diritti. In cui la parola compagno non era un modo di dire come un altro. In cui si poteva andare in piazza per i diritti propri e per quelli di popoli lontani: Vietnam, Cuba, Algeria…In cui le feste dell’Unità erano manifestazioni di massa, il simbolo di una forza. In cui parole come giustizia sociale, solidarietà, classe operaia delineavano un punto di vista sulla società. L’idea che la sinistra era nel giusto, a lei si rivolgevano gli strati più deboli della società. In cui anche storiche sconfitte venivano sanate da una appartenenza orgogliosa.festa_unita

La nostalgia è un sentimento importante. Però negli atteggiamenti politici non è quasi mai una buona consigliera, perché toglie lucidità nella lettura sociale. Così la Costituzione, anche nelle parti politicamente meno rilevanti, diventa un simbolo. Da non toccare. Ho scritto fin dall’inizio che il vero errore fatto da Renzi non è stata la personalizzazione ma la banalizzazione. Perché una smarrita sinistra che ha perso molto dei suoi simboli e la Costituzione è sempre stata un simbolo positivo.

Dove sta allora l’errore. Che la Costituzione non è solo un simbolo, è uno strumento per il buon funzionamento della democrazia, la sua efficacia. E come ogni organismo vivente non può essere immutabile.

Si pensa che sia Renzi a togliere partecipazione democratica? Guardiamoci un po’ intorno. Di quell’Italia fatta di grandi partiti e grandi sindacati siamo in pochi ad avere memoria e nostalgia. Non solo non si può tornare lì, sarebbe impossibile perché è cambiata la società. Invece che diventare dei conservatori costituzionali (idea estranea alla Costituzione, visto che è previsto uno specifico modo per mutarla) occorrerebbe essere più coscienti che istituzioni inefficienti sono state all’origine di ogni avventura autoritaria.

E soprattutto del fatto che ovunque gli “sconfitti della globalizzazione” si affidano molto di più alle suggestioni della destra che alle proposte delle forze politiche di sinistra. Anche ciò di alternativo che è nato a sinistra si condanna all’impotenza, tra il non voto (USA), o l’incapacità di tradurre la speranza in mutamento reale (Spagna e Grecia).

Sono i grandi temi delle inaccettabili diseguaglianze sociali, del deprezzamento del lavoro non solo come retribuzione ma anche come status sociale, di paure e insicurezze crescenti su cui la sinistra in genere non riesce ad avere proposte convincenti. Su cui occorre una grande iniziativa politica, fatta di pensiero nuovo, di capacità mobilitativa, di unità d’azione.

Temi che non si affrontano con le nostalgie e l’immobilismo. Il cambiamento non si può fermare, bisognerebbe anticiparlo. Difficile farlo dividendosi con tanto rancore. Diamo un’occhiata all’Europa: dove la sinistra ha leadership forti? Dove ci sono leaders di sinistra che hanno la stessa determinazione di Renzi nel denunciare la pavidità di una classe dirigente europea? C’è di meglio di Renzi? Mi piacerebbe e se me lo indicate sono contento.

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1 commento

  1. Paolo
    10 novembre 2016

    Bell’articolo ,lo condivido in pieno perché ho fatto quasi il tuo percorso salvo partire dal PCI di Berlinguer ed arrivare alla realpolitik di Renzi


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