Un Congresso, ma Congresso che serva

Pubblicato il 13 febbraio 2017, da Pd e dintorni,Relazioni e interventi

In attesa del dibattito in Direzione nazionale ecco qui un testo di riflessione più generale

Intervento al seminario nazionale di Libertà Eguale “Occidente, Europa, Italia. Tra populismo e riformismo La società aperta e i suoi nemici”

Roma 10 febbraio 2017

Penso che parte delle difficoltà che attraversa il PD stia nella incertezza del posizionamento culturale del PD. Della difficoltà perciò di trovare le ricette di fronte ai profondi cambiamenti sociali, psicologici, economici che avvengono a livello globale. Problema che attraversa tutto il campo progressista europeo e non solo.

Chi siamo veramente? Il partito nuovo per un’Italia nuova come aveva annunciato Veltroni? Ma per alcuni non ci vogliono partiti nuovi. Il partito dei riformisti italiani? Ma sul concetto di riformismo le opinioni sono molte. Veltroni con il discorso del Lingotto aveva cercato di offrire un profilo netto per un partito riformatore. E’ stato abbattuto anche dalle iniziative di D’Alema, siamo tornati alla Ditta, poi è arrivata la rottamazione che non è esattamente una teoria politica. Vorrei sottolineare due questioni di cui dobbiamo avere piena coscienza.

Se ne è parlato molto: la crisi sociale generata dall’aumento delle diseguaglianze a livello globale. Non è esattamente vero che la globalizzazione abbia di per sé impoverito i popoli. Il grafico di che ci ha mostrato Giorgio Tonini (la cosiddetta curva dell’elefante di Milanovic) mette in luce che a livello mondiale c’è stato tra il 1988 ed il 2008 un fortissimo incremento del reddito per i ceti medio bassi, un ancor più fenomenale incremento per la crosta sottile degli ultraricchi (cosicché 8 super nababbi posseggono la metà della ricchezza mondiale e l’altra metà deve essere spartita tra il restante 99%), ed una crescita modestissima, in alcune classi un calo, del reddito del ceto medio.milanovic-300x226

I risultati sarebbero peggiori se l’analisi si limitasse all’Europa, dove non c’è stato l’innalzamento del reddito per i ceti medio bassi (come è stato ad esempio in Cina, India sud est asiatico) e c’è stato un ancor più bassa performance per i ceti medi. Ceti medi che sono sempre stati in Italia a favore della stabilità. Viene meno questo ancoraggio del sistema e si sprigionano paure, pessimismi, chiusure, sfiducia. Mutamenti dell’atteggiamento psicologico di un popolo che rafforza posizioni di destra, nazionalismo, xenofobie.

C’è però qualcosa di inedito: il fatto che fasce di opinione pubblica in progressivo ampiamento danno il loro consenso a leader che pronunciano parole esplicitamente contro il sistema democratico così come l’abbiamo conosciuto, basto su grandi organizzazioni di massa, partiti e liberi sindacati, parlamenti liberi, divisione dei poteri, libertà di stampa, rispetto dei diritti umani, ecc. Si indebolisce la forza della convenzione democratica che ha retto la seconda metà del Novecento. Sono parole sdoganate che portano a forme di autoritarismo monocratico (vedi l’esordio della presidenza Trump), a esplicite proposte di superamento delle forme di mediazione democratica (dalla Francia di Le Pen a parecchi paesi post sovietici). Oppure si affermano discorsi pubblici che screditano le forme della rappresentanza democratica, con la promessa di forme di democrazia diretta, che in realtà diventano un sequestro della democrazia, sotto la finzione di una partecipazione democratica telematica a cui partecipa una frazione infinitesimale della base elettorale, senza contradditorio, senza garanzia e con il diritto di scomunica da parte del capo. Non a caso il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito Comunista Cinese, questo strano partito comunista che loda un capitalismo ben regolato in un libero mercato, ha definito il M5S un movimento di estrema destra!

Un progressivo smantellamento dei presidi della vita democratica potrebbe avvenire senza significative reazioni dell’opinione pubblica. Del resto la storia del ‘900 ci insegna che la congiunzione di cattivo funzionamento delle istituzioni democratiche e impoverimento generalizzato sono state il brodo di coltura per la tragedia delle dittature. Occorre dedicarsi con più cura a questo tema, mettere in campo una reazione avvertita, costruendo nuove forme di partecipazione democratica, con grande attenzione al rendimento delle istituzioni: una democrazia incapace di decidere apre la strada a sistemi autoritari di governo.

Un’altra questione da non trascurare. Perché in tutto l’occidente fasce crescenti di elettorato non rivolgono più le loro speranze alla sinistra, ma si fanno affascinare dalle proposte populiste di destra? Vi è una frattura che non si riesce a ricomporre. Una sinistra riformista che rinuncia ad immaginare un futuro diverso e finisce per riproporre ricette in continuità con politiche che si sono dimostrate incapaci di affrontare i grandi temi della mancanza del lavoro, del crescere delle diseguaglianze, del corrodersi di diritti sociali, oppure una sinistra radicale che si ferma al sogno di una società diversa. Troppo difficile governare. Ma i sogni collettivi hanno bisogno di tradursi in azione, nelle azioni possibili, per diventare realtà. Questo è il dovere del politico: prendere in mano sogni e speranze e portarli nel regno della realtà. Il più grande tradimento che si possa fare per una politica progressista è rinunciare a tradurre i sogni in realtà, perché si rinuncia alla costruzione della giustizia possibile per i più deboli. Siccome non esistono ricette precostituite bisogna dedicarsi alla costruzione di un nuovo pensiero politico.

E Renzi? Dopo la sconfitta del 4 dicembre? Quando una leadership di un grande partito subisce una sconfitta, quando il dibattito interno non trova una composizione lo strumento delle organizzazioni politiche è quello del Congresso. Congresso perciò, ma congresso politico. Che lavora sulle ragioni di fondo del Partito democratico, non accontentandosi delle statistiche del consenso. Direi di più, deve essere un congresso “curioso”. Curioso deriva dal latino cura, un congresso in cui emerga con chiarezza un PD che si prende cura del paese. Che prenda cura anche del PD, per ricostruire le ragioni di una convivenza.

Sono convinto che Renzi resti il leader politico più forte nel campo democratico e con lui possa ripartire una rigenerazione del PD. Del resto il campo dell’opposizione interna è diviso e fa fatica a compattarsi attorno ad una proposta condivisa. Francamente non mi sembra che Speranza, Rossi od Emiliano possano rappresentare una vera alternativa a Renzi. E tuttavia Renzi deve essere capace di correggere gli errori che lo hanno portato alla sconfitta.

Il primo errore è stato quello di immaginare un paese diverso dalla realtà. In cui bastasse la predicazione di un ottimismo a tenerlo insieme. Un paese che volesse veramente cambiare, un leader che avesse la forza di cambiarlo da solo. Il 4 dicembre è stata la manifestazione di un paese che ha paura del cambiamento, che si sente insicuro, che non ha visto in Renzi un leader a cui affidarsi senza condizioni. Quella italiana è una società davvero complessa, difficile da governare e l’eccesso di semplificazione non aiuta. Bisogna saper mettere in campo una lettura in profondità della società italiana.

Il secondo errore è non aver saputo andare oltre la rottamazione. Fortunata espressione, che corrispondeva alla richiesta di una discontinuità nei gruppi dirigenti. Senza questa invenzione spazio ben più largo avrebbe avuto la deriva populista. Solo che lo slogan fortunato della rottamazione ha bisogno di un poi. Intanto perché è una cambiale a scadenza breve. La parola è stata lanciata nell’agosto del 2010. Con parole impegnative. Così diceva il messaggio finale della prima Leopolda “Noi vogliamo gridare all’Italia di questi giorni meschini, alla politica di questi cuori tristi, al degrado di una solitudine autoreferenziale, che si può credere in un’Italia più bella”.

Son passati ben 7 anni, il noi si è un po’ perso ed è diventato quasi un Io, ci son stati in mezzo 1.000 giorni di governo. Perciò è diventata una merce scaduta e francamente i risultati sono stati inferiori alle aspettative così ambiziose. Poi c’è stata una interpretazione della rottamazione non solo come rinnovamento dei gruppi dirigenti ma anche come negazione della storia. Come se il passato, anche quello della esperienza delle forze riformatrici, non avesse nessun significato, non abbia avuto alcun valore. La storia che inizia da me. Un errore grave, perché se non altro molto si sarebbe potuto imparare dagli errori degli altri ed affermare che la storia dell’Ulivo non abbia avuto alcun valore è sbagliato se non altro perché senza l’Ulivo non ci sarebbe stato Renzi.

Infine il terzo errore è aver completamente abbandonato il partito, la sua capacità creativa e di orientamento dell’opinione pubblica, specialmente nei territori, pensando che bastasse l’immagine vincente del leader. Certo i tempi sono cambiati, ci sono nuove forme partito e leadership più personalizzate. Per la verità anche nel passato non è che si scherzasse: De Gasperi, Togliatti, Fanfani, Moro, Berlinguer, ecc. non è che fossero leader che non sapessero imporsi anche con ruvidezza ai propri partiti, allora con milioni di iscritti, se necessario. Però nei territori si formano le nuove classi politiche, si formano competenze e leadership, nascono le qualità. Francamente c’è stata una gestione del partito affidata più alle fedeltà, alle appartenenze, con i diversi gradi di fedeltà renziana, piuttosto che alla valorizzazione del merito, della competenza, della credibilità personale.

Il rapporto tra conservazione e innovazione è sempre un rapporto complesso. Ne ha scritto pensando ad un campo diverso, quello della composizione musicale, Gustav Mahler, un innovatore appunto, che ricordava però “la tradizione è la salvaguardia del fuoco, non la custodia delle ceneri”. Perfettamente applicabile anche alla politica. Le ceneri della storia ci sono sempre. Quando è finita una stagione e c’è necessità di aprine un’altra non è nelle ceneri di quel passato che si trova la risposta. La si trova nel fuoco che resta vivo sotto le ceneri, quelle passioni che hanno mosso la storia, hanno guidato grandi emozioni collettive. Che spetta ai contemporanei rianimare, orientare, guidare. Questo è il compito della grande politica e questo è il compito degli innovatori vincenti.

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