Primarie addio?

Pubblicato il 19 aprile 2017, da Pd e dintorni

Il Corriere della Sera ha dedicato una pagina intera al panorama che si sta presentando sui 25 capoluoghi di provincia che vanno al voto. E titola “così spariscono le primarie in città”, osservando che solo in 4 casi i candidati del PD o appoggiati dal PD sono stati scelti tramite le primarie. 5 anni fa erano stati 16.

Ci sono motivi locali, naturalmente. In 3 casi si sono ricandidati i Sindaci uscenti e non sono state ritenute necessarie le primarie (Monza, Pistoia, Alessandria). Di fatto è la stessa logica di Palermo, dove si ricandida l’eterno Leoluca Orlando, questa volta appoggiato dal PD, dopo che nel 2012 batté alle elezioni vere il candidato scelto dal PD con le primarie.

Poi ci sono i casi con precedenti negativi, particolarmente in Liguria, dove a Genova vinse le primarie Marco Doria, contro due candidati del PD, la sindaca uscente e l’attuale Ministro Pinotti, ma poi ha dovuto fare i conti con maggioranze laceratissime, arrivando stremato alle elezioni. O il noto caso delle primarie per le regionali, che portò alla vittoria della destra con Toti. Qui si sono scelti senza primarie candidati politici ma esterni al PD.

Poi c’è la scelta di candidati “tecnici” senza precedenti esperienze politiche amministrative, in nessun posto soggetti a primarie. A Lodi c’è il presidente della Camera di Commercio, a Piacenza un docente universitario, a Gorizia un giornalista Rai, a Taranto un imprenditore, con una maggioranza che va dal Campo progressista di Pisapia ai centristi di Alfano. Di Padova sappiamo. Come altrove niente primarie, ma con una concorrenza “a sinistra”.

Richiamo questa lettura del Corriere non per rinfocolare inutili polemiche. Anche se dovremo riconoscere alla luce di questi dati che la scelta del PD a Padova non è una eccezione e che in molti altri comuni al voto si è scelta questa strada senza obiezioni all’interno dello schieramento di centrosinistra. Il punto però è chiedersi perché questa usura delle primarie.primarie-pd

Le primarie sono state una importante intuizione del PD veltroniano. Quelle interne di partito ma anche quelle per la scelta dei candidati a cariche pubbliche. Un tentativo di aprire nuovi canali con la società, di fronte ad un rinsecchimento dei partiti già allora evidente. Ambizione di un partito nuovo capace di produrre nuove forme per la politica, nuovi canali di partecipazione. Intuizione giusta, che aveva però bisogno di due cose che non ci sono state. Da un lato una coltivazione dello strumento delle primarie. Passare dallo spontaneismo dell’invenzione alla costruzione di regole per renderle più produttive. Non necessariamente con strumenti legislativi che il PD ha tentato ma che non disponevano di maggioranze parlamentari. Pensiamo ad un investimento su un vero e proprio albo degli elettori, che sarebbe stato un capitale enorme ed anche un modo per fidelizzare gli elettori, a regole un po’ più strutturate, a partire dall’obbligo, per le primarie amministrative, di basi programmatiche condivise a cui vincolare i contendenti, ecc.

Il secondo fattore di debolezza è stato che le primarie sono troppo spesso state viste da classi dirigenti estenuate come un modo per passare la mano del decidere non essendo capaci di decidere. Primarie senza politica, mentre invece tutti i processi partecipativi devono legarsi ad una visione del futuro, scelte di persone costruite su progetti capaci di scaldare menti e cuori.

Senza queste coltivazioni le primarie rischiano di diventare delle lotterie, in cui partecipano minoranze elettorali, e diventano luoghi aperti alle incursioni esterne o in cui minoranze organizzate condizionano il risultato, senza però che vi sia una parentela tra il campione che vota alle primarie ed il più ampio corpo elettorale che vota alle amministrative. Primarie autoreferenziali di mondi separati.

Bisognerà riflettere su questi aspetti. Perché la necessità di nuovi canali partecipativi è chiara. Senza i quali la democrazia degrada. Lo vediamo bene nella pretesa pseudodemocrazia dei social. Come ha ben scritto sul Mulino Paolo Pombeni: “una opinione pubblica che è preda di un ribollire di tifoserie interessate a far pendere la bilancia a favore di uno dei contendenti, ma anche di nessuno dei due, perché il caos tutto sommato è anch’esso un fattore su cui si può puntare. Nel mondo delle bufale, delle notizie inventate e prese per buone, delle tifoserie che non credono nemmeno all’evidenza, è estremamente arduo pensare che si possano costruire delle basi per costringere le forze in campo, a misurarsi su problemi condivisi almeno nelle loro strutture portanti”. E’ in questo clima che nascono le vittorie di Brexit, di Trump, di Erdogan…E questo clima apre le porte non ad una partecipazione più ampia degli elettori ma all’affidamento all’uomo solo al comando. E’ già successo, può succedere ancora.

 

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Tags: , , ,

Scrivi un commento