Democrazia ferita?

Pubblicato il 18 maggio 2017, da Nel Mondo,Politica Italiana

Il benemerito circolo del PD Il Ponte (benemerito per la sua storia e per l’attività che svolge oggi, magari tutti i circoli riuscissero a sviluppare una tale attività) ha invitato qualche giorno fa Elio Armano e me a parlare sui risultati delle elezioni francesi e sui riflessi generali per la vita dei partiti. Ascoltando i numerosi interventi (abbiamo finito dopo la mezzanotte) mi è venuto spontaneo chiedermi perché mai sia così difficile trovare negli organi superiori una eguale partecipazione appassionata al dibattito (cosa non nuova per la verità se Don Luigi Sturzo annotava sulle riunioni del gruppo della camera del PPI negli anni ’20: “poca partecipazione, poco studio, poca attenzione”) e come sarebbe stato migliore il congresso se le assemblee si fossero svolte con questo criterio. Saremmo a posto non solo con i numeri (la chiara vittoria dei Renzi) ma anche con i contenuti. Riporto qui uno schema delel cose che ho detto, integrate anche con gli stimoli venuti dal dibattito

 

Cosa ci può insegnare l’esperienza delle elezioni presidenziali francesi, sul piano specifico del sistema politico transalpino e più in generale sullo stato della democrazia e sul residuo ruolo dei partiti?

  1. Intanto l’elemento più evidente è che nessuna delle due forze storiche che fin qui si erano alternate alla guida del paese è riuscita ad arrivare al ballottaggio. Al ballottaggio ci va un partito totalmente nuovo, sviluppatosi in pochi mesi ed un partito fin qui arrivato una volta sola al ballottaggio (con Le Pen padre, sempre grazie alle crisi drammatiche che ogni tanto manifesta il Partito Socialista), per il resto sempre escluso dalla competizione. Possiamo veramente dire che è finito il ‘900, con il sistema politico che era nato al suo inizio, con grandi partiti popolari, sopravvissuti alle grandi dittature. Scompaiono senza eredi, a differenza di quello che successe dopo De Gaulle, al PCF, ai socialisti ed anche in forme diverse al movimento dei cattolici francesi, che ebbero un importante rilievo nella Francia del dopoguerra.
  2. Macron vince nettamente con il 66,1%, vincendo in tutti i dipartimenti tranne 2, partendo dal nulla. Giovane come Renzi ed anche lui portatore di una carica di profonda innovazione. Tuttavia senza certi toni del nostro Matteo, che sono stati definiti di populismo dall’alto. Dell’Europa ne ha fatto una bandiera senza sé e senza ma e si è ben guardato di cavalcare un giudizio sul passato così negativo come talvolta fa Renzi. Tuttavia una così robusta vittoria nasconde anche elementi di incertezza per il futuro. Il futuro lo si vedrà subito alle elezioni parlamentari di giugno. L’affluenza al 74,6% è per la Francia molto bassa e per la prima volta al secondo turno hanno votato meno elettori rispetto al primo. Evidentemente per una quota notevole di elettori non andava berne nessuno dei due candidati, ed infatti è poi comunque molo elevato il numero delle schede bianche e nulle, l’11,5%. Il 43% degli elettori hanno dichiarato di aver votato Macron non per la condivisone del suo programma ma per impedire l’elezione della Le Pen. La stessa nomina a capo del governo di un conservatore dimostra la necessità di Macron di allargare la base parlamentare.
  3. In Francia come del resto in USA e in Gran Bretagna si manifestano nuove linee di frattura elettorale rispetto a quelle tradizionali. L’impoverimento dei ceti medi (per il passato sempre fattore di stabilità) scombina le appartenenze elettorali. Se in passato poteva contare la distribuzione per classe, l’appartenenza a culture politiche consolidate oggi è piuttosto l’alternativa tra esclusione/inclusione, nazionalismo, internazionalismo. C’è un voto di vendetta degli sconfitti della globalizzazione. Con dati che devono preoccupare profondamente la sinistra, non solo in Francia. I mondi a cui tradizionalmente si rivolgeva la sinistra ora guardano da un’altra parte. Più basso il reddito più votano Le Pen. Più bassa l’istruzione più votano Le Pen. Il voto operaio va in grande maggioranza a Le Pen. C’è una forte differenziazione tra il voto urbano (a Parigi Macron prende il 90%!), in campagna è molto forte Le Pen.
  4. Sconfortante è la performance del Partito Socialista. Alle precedenti elezioni aveva preso il 29,35%, oggi con presidente della Repubblica e Governo precipita al 6,4! Carenze di leadership, divisioni feroci, disastrosa Presidenza Hollande. Il problema però è più generale. In tutto il mondo occidentale la sinistra è in difficoltà nel costruire una agenda per i tempi nuovi. O ricalca il passato o si adegua a ricette incapaci di governare la globalizzazione, che viene subita. In Spagna il PSE è condannato all’ appoggio esterno ai popolari, dopo la pesante sconfitta elettorale, in Gran Bretagna per i labour si preannuncia una sconfitta storica, in Germania i socialdemocratici dopo un effetto Schulz affrontano le elezioni in affanno. Dovremo tener conto di questo panorama per considerare il nostro PD, con tutti i suoi limiti e difetti, una grande risorsa per l’Italia e la democrazia europea, nello stesso tempo capendo che c’è una enorme mobilità elettorale e ogni volta il voto va riconquistato.

 

Il voto francese comunque conferma l’insufficienza della risposta della sinistra di fronte a due questioni centrali.

La prima: per la prima volta dalla rinascita della democrazia dopo la sconfitta delle grandi dittature fasce crescenti della base elettorale manifestano apertamene una sfiducia che la democrazia nelle forme in cui è andata formandosi nel secondo dopoguerra (società intermediata da grandi partiti e sindacati, Parlamento e mandato di rappresentanza, divisione dei poteri, stampa libera, ecc.) sia il modo migliore per essere governati. Se sommiamo il numero degli astensionisti a quello degli elettori di partiti che apertamente contestano i principi soprarichiamati dobbiamo con preoccupazione osservare che si sta preparando senza adeguato contrasto un clima di opinione disponibile a rinunciare a queste forme di libertà. Un ripasso su come nascono le dittature, non necessariamente in modo drammatico, non ci farebbe male. Ricordando che nazismo e fascismo sono andati al potere con libere elezioni. Il peggio è venuto dopo.

Questa contestazione di fatto del patto costituzionale avviene per la prima volta. Pur in condizioni di grande sofferenza la condivisione sui metodi della democrazia è sempre stata amplissima, al di là delle maggioranze di governo. Fin dall’inizio quando Togliatti schiera il PCI con il voto favorevole alla Costituzione con la formula” fuori dal governo, dentro la Costituzione) oppure più avanti, di fronte agli attacchi terroristici con la formula dell’”arco costituzionale”.

In realtà di fronte al problema della crisi di efficienza delle forme dei sistemi democratici occidentali ci sono state due reazioni. Da un lato l’idea di un governo degli “ottimati”, dei tecnici, dei benpensanti capaci di pensare al posto del popolo, di leggi ferree dell’economia globalizzata che possono essere affrontate e gestite solo da élite competenti. Dall’altro l’affermarsi di diverse e variegate forme di populismo. Descrive bene Marco Revelli nel suo ultimo libro (Populismo 2.0) i tratti comuni di un fenomeno diversificato: una ricostruzione mitica di un popolo vero che si contrappone ad ogni tipo di élite (le caste, i previlegiati, i poteri oscuri) o a chi insidia la “vita sana” del popolo (gli immigrati, gli stranieri, i disadattati). Il tradimento di questo popolo da parte dei corrotti, che sono naturalmente gli altri, gli avversari. La cacciata dell’oligarchia che governa avviene con il mito di una democrazia diretta che in realtà sostituisce le mediazioni degli istituti rappresentativi alle decisioni di un Capo.

La seconda questione: l’enorme cambiamento intervenuto in modo rapido e profondissimo nelle vite degli uomini. Non riguarda solo gli aspetti economici (cambiamento del modo di produrre, deprezzamento del lavoro e della sua nobiltà, precarietà, venir meno nel mondo occidentale di tutele e sicurezze in un contesto di bassa crescita) ma più propriamente aspetti antropologici, con la presentazione di modelli di vita disadattanti e portati all’eccesso di competizione nei consumi, nel successo, ecc. Tecnologie sempre più pervasive che condizionano fin dal nascere la nostra vita. Cosa sarà di una generazione totalmente interconnessa alla rete fin dalla più tenera età. Bambini figli unici che seduti al ristorante insieme ai genitori compulsivamente dediti a videogiochi o social, estranei all’ambiente: lo spettacolo più frequente. Tecnologie che con la manipolazione genetica, l’integrazione mente umana/memoria esterna, robotica che si autoriproduce tenderanno sempre di più a creare nuove diseguaglianze tra chi potrà accedervi e chi no. Fenomeni diversissimi a cui la politica sembra estranea. Ma se la politica è uno strumento estraneo ai fatti della vita a che serve? Nasce allora il senso di solitudine, di inadeguatezza, di sfiducia e la tentazione di reagire mettendo tutto in discussione, senza capire dove andare ma intanto esercitando una sorta di voto di vendetta nei confronti di chi si pensa sia peggiorando la propria vita. Servirebbe davvero un nuovo pensiero, una nuova forma di umanesimo capace di attrarre perché offre una visione, un orizzonte positivo, un cammino da percorrere insieme. È questa è stata sempre nella storia che la sinistra vincente ha saputo mettere in campo.

L’illusione di una società migliore senza partiti (la famosa partitocrazia) accuratamente coltivata anche dai giornaloni nazionali, nelle forme nobili di una società presunta civile o in quella più sgangherata dell’uno vale uno, suprema finzioni che si traduce appunto nel potere di uno solo, del demiurgo che riordina il disordine, credo che stia dimostrando cosa possa produrre.

Una democrazia molto più fragile, emotiva e perciò più facilmente manipolabile, con la coltivazione costante di paure, l’ansia di prestazione immediata del politico al potere e perciò più facilmente la delusione che genera sfiducia. Una informazione asservita all’audience immediata, pressata da una rete che sempre di più diventa il luogo delle fake news, delle risse, delle gogne. Ricorda Paolo Pagliaro in un bel libro “Punto” il declino dell’informazione che si associa alla pervasività della Rete. E senza una informazione ancorata a principi di verità difficile possa esistere una democrazia ben funzionante. Riporta Pagliaro una ricerca fatta su oltre 270.000 post apparsi su siti italiani di divulgazione scientifica due terzi assumono posizioni chiaramente antiscientifiche (le scie chimiche, i vaccini, ecc.).

Può essere il tempo di una nuova domanda che potrebbe rivolgersi ai partiti, se i partiti quelli di sinistra in particolare sanno tornare ad adempire alla loro funzione per cui sono nati: difendere gli interessi dei più deboli, di chi non ha altra rappresentanza; offrire una visione convincente capace di rassicurare, offrire uno spazio comunitario in cui crescere insieme, formare nuovi gruppi dirigenti con lo studio, l’analisi, l’impegno, selezionare con rigore capacità, onesta, affidabilità degli eletti…

Certo: partiti diversi dal passato perché è cambiata la società, l’informazione, il modo di fare società. La rappresentanza ha altri strumenti che non hanno bisogno della mediazione dei partiti. L’idea di una militanza a vita com’era nei vecchi partiti davvero non ha più cittadinanza. E tuttavia per noi del PD in particolare questo tema che è stato totalmente abbandonato deve invece essere ripreso con forza. Perché essere sostanzialmente l’unico partito in Italia che conserva una infrastrutturazione territoriale, una circuitazione di dibattito, luoghi comunitari è un grande vantaggio differenziale. Sottovalutarlo, non coltivarlo, disprezzarlo con superficialità sarebbe un errore gravissimo.

Mettersi sul mercato inseguendo solo i populismi ci porterebbe a sconfitte certe. C’è una opinione pubblica smarrita, pensare di attrarla con la stessa merce dei populisti, offrendo estemporaneità, improvvisazione, la battuta del giorno, l’ansia esclusiva delle velocità a me sembra un errore, una semplificazione illusoria. Io penso che dobbiamo essere in grado di offrire invece una idea di profondità, di cura del futuro, di stabilità e che per questa strada si possa offrire il nostro contributo alla cura di una democrazia ferita.

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