W la Repubblica (pensando al voto)

Pubblicato il 1 giugno 2017, da Politica Italiana

W la Repubblica. E viva gli italiani saggi che nel giugno del 1946 a suffragio universale (per la prima volta le donne al voto) in un paese ferito fisicamente e moralmente ebbero il coraggio di costruire un nuovo futuro. E viva quei leader politici che guidarono la svolta, senza precipitare il paese in un’altra guerra civile e vincendo la scommessa per niente scontata del referendum.

Nell’Italia di oggi invece ci prepariamo al voto anticipato, sia pur di poco. Giusto? Sbagliato? Ci sono argomenti pro e contro che andrebbero affrontati senza un eccesso di faziosità, pensando al bene del paese. Certo la strada normale sarebbe andare al voto alla scadenza prevista. Io poi ho molta simpatia per lo stile e la sostanza di Paolo Gentiloni. Però non si può nascondere che un governo con una maggioranza politica fragilissima difficilmente potrebbe affrontare scadenze molto impegnative.

Anche solo portare in porto le riforme di cui parla Repubblica (biotestamento; quella sulla cittadinanza dei minori stranieri, reato di tortura, nuovo codice antimafia; la legalizzazione della cannabis e infine la riforma del processo penale) che se non passate finora è proprio per la fragilità della maggioranza. E che francamente non sono proprio in cima ai pensieri del popolo. Per non parlare ovviamente della impegnativa manovra finanziaria d’autunno. Il quadro lo vediamo già: Articolo 1 deve dimostrare di esistere e difficilmente potrebbe sostenere norme che chiedono sacrifici alla vigilia delle elezioni e Alfano & c. non può continuare a sostenere una maggioranza che gli sta preparando la festa ( e toni meno sprezzanti da parte di Renzi sarebbero utili, visto che nel nuovo Parlamento potremmo avere bisogno anche di loro, se ci saranno).

La necessaria apertura di un nuovo ciclo politico potrà avvenire solo con un nuovo mandato elettorale. Se il Governo avesse la forza di operare fino alla fine della legislatura sarebbe bene ma come ci si può credere? E come possiamo pensare di essere interlocutori autorevoli in Europa quando tutti i nostri partner comunque aspetterebbero la scadenza elettorale per capire con chi si dovranno interloquire? Ci vorrebbe una grande generosità delle forze politiche, cosa su cui non ci sono segnali.

Mi sono sciroppato tutto lo streaming della direzione nazionale. Sarà una malattia, ma qualcosa si impara. Al di là della retorica che faccio fatica a sopportare delle magliette gialle, dei volontari nelle zone del terremoto, dei millennial (che negli organi di tutti i partiti ci sono sempre stati, però ho sentito un ottimo discorso di un giovanissimo sindaco emiliano, da cui dovremmo tutti imparare) Renzi è stato chiaro: l’unica legge elettorale possibile in questo momento e in questo parlamento è quella cosa che chiamiamo sistema tedesco. Lì è l’unico incontro possibile, ed in effetti si farebbe finalmente una legge elettorale non imposta da una maggioranza risicata (dal porcellum in giù) ma condivisa da oltre l’80% del Parlamento. Non è cosa da poco un accordo sulle regole elettorali.

Difetti ce ne sono naturalmente. Il più grave dei quali per me è che ancora una volta i parlamentari saranno nominati. Perché i risultati saranno guidati dal listino senza preferenze, che influenzerà anche i risultati e la graduatoria dei collegi uninominali. Ma l’alternativa è tra questa proposta o il voto von la legge decisa dalla Corte Costituzionale. Di per sé una anomalia istituzionale votare con una legge non approvata dal parlamento e con difetti molto maggiori.

Del resto non è che dalle minoranze interne sia venuta una proposta alternativa. Si sono evidenziati i limiti di questa proposta ma non si è potuto indicare una linea diversa che abbia i voti in questo parlamento. Né può essere un argomento che da una legge così non si ha la certezza che esca una maggioranza precostituita. Argomento debole, specie se è usato da chi aveva (giustamente) criticato l’eccesso di premio dell’Italicum. Nessuna legge elettorale può dare per via matematica una maggioranza che non esiste in via politica. Potremmo vederlo perfino nell’ipermaggioritario sistema inglese.

Né è un argomento quello per cui con questo sistema ci si indirizzerebbe verso le larghe intese con Berlusconi. Perché tutto dipende dai risultati elettorali e dalla iniziativa politica che li può ottenere. A parte che rebus sic stantibus un accordo PD Forza Italia è molto probabile che non raggiunga una maggioranza elettorale, dipende. Dipende dal risultato del PD, dipende se l’iniziativa di Pisapia riuscirà ad avere forza e prospettiva. Se riuscirà ad essere qualcosa di diverso da una fragile coalizione di spezzoni di sinistra o la ciambella di salvataggio di leader usurato della grande stagione dell’Ulivo e piuttosto la necessaria gamba di sinistra di una grande coalizione progressista.

C’è perciò molto lavoro da fare, con un rischio che dobbiamo aver ben presente. Se tutto appare come il tentativo di rivincita di Renzi il risultato potrebbe essere eguale al referendum. Un referendum contro. Se invece riusciremo a trasmettere una forte idea paese, una capacità del PD di essere il perno di una nuova fase di riforme coraggiose, quelle che servono al popolo, potremo essere premiati dagli italiani.

 

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