Una inconsapevole sconfitta culturale?

Pubblicato il 26 ottobre 2017, da Veneto e Nordest

Credo che solo gli ingenui (ed in politica l’ingenuità è una colpa) possano sorprendersi degli annunci di Zaia.

La strategia era chiara e non la ha mai nascosta, anche se in campagna elettorale ha alternato parole moderate a parole estremiste: ricevere un forte mandato popolare su un quesito generico che gli consentisse nella sua apparente innocuità di incontrare un ampio consenso. Per poi aprire il conflitto (non la trattativa) con lo Stato centrale, chiedendo cose che non il Governo ma la Costituzione non può concedere.

Ho letto che il mio caro amico Senatore Giampiero Dalla Zuanna ha commentato “Hanno vinto i Veneti”. Non sono proprio d’accordo per una volta. Certo hanno votato in tanti con motivazioni molto diverse anche da quelle di Zaia. Ma la politica ha la durezza delle regole. Vince chi è padrone dell’agenda politica. E perciò ha vinto una certa idea di Veneto: un Veneto che vive di chiusure, di rancori, di paure, di illusioni di autosufficienza. Che preferisce cercare nemici esterni piuttosto che correggere le proprie insufficienze. Che fa appello a fratture sociali, egoismi identitari. E vince la preparazione di una campagna elettorale per le politiche che, grazie anche alla legge elettorale, consegnerà una rappresentanza amplissima nel Veneto alla Lega.

E noi del PD abbiamo inconsapevolmente dato una mano. Poteva essere perfino secondario il tema se orientarsi sul Sì critico o sull’astensione. Purchè ci fosse una prospettiva culturale autonoma affermata con solidità. Invece di fatto abbiamo subito una prospettiva politica con cui nulla c’entriamo, perché nulla ha a che fare con l’idea di un federalismo solidale, che premia i migliori, che avvia processi virtuosi in tutto il paese, che pensa di poter essere un modello che offre a tutti le migliori pratiche. Che pretende in cambio della solidarietà derivante dall’appartenenza ad una unica patria efficienza, rigore nella spesa da parte di tutti.

È interessante rilevare che gli elettori del PD hanno capito di cosa si trattava. Più dei dirigenti. Infatti una analisi dei flussi elettorali effettuata dall’Istituto Cattaneo, il più attrezzato istituto di ricerca in questo campo, registra che ad esempio a Padova il 66,4% degli elettori del PD si è astenuto, il 3,4 ha votato no e solo il 30,2% si è recato alle urne per votare Sì. Sarebbe bene che questi dati li leggesse la sen. Rubinato che ha accusato gli astensionisti di tradimento dei veneti e dello statuto del PD. Per capire chi è stato più fedele al mandato elettorale ricevuto dagli elettori del PD…Hanno votato in massa anche gli elettori M5S, per capire da che parte ci si è trovati.

Per essere una regione a statuto speciale naturalmente occorre modificare la Costituzione e non si vede come tutte le altre regioni dovrebbero consentirlo, tanto più che nell’immaginario collettivo si pensa ai soldi più che alle competenze, così come era stato bocciato dalla Corte Costituzionale il quesito di mantenere i 9/10 delle risorse (anzi allora erano 8/10) che ora Zaia provocatoriamente ripresenta.

Ma a Zaia non interessa il risultato pratico, interessa quello politico. Il conflitto con lo Stato su cui campare politicamente. Così come a Salvini non interessa risolvere il problema dell’immigrazione, ma interessa che continui ad esistere per lucrare politicamente.

Ciò che a me dispiace molto è che la sconfitta del PD sia avvenuta su un piano culturale. Perché la storia (e anche la mia piccola esperienza) mi hanno insegnato che si perde politicamente quando non si ha alle spalle una interpretazione culturale della società e per questa via si diventa irrilevanti. Ed è una china difficilissima da risalire.

Il mondo cambia e sembra che noi non ce ne rendiamo conto. La stagione del partito dei Sindaci, delle battaglie federaliste, di una nuova consapevolezza delle potenzialità del Nord Est si svolgeva in un contesto tutto diverso. Di una economia che cresceva, con una burocrazia centrale molto in ritardo, con un saldo ancoraggio ad idee di apertura, dentro una Comunità Europea che restava un riferimento, che si allargava e diventava un nuovo soggetto sulla scena globale. Un federalismo ottimistico che offriva una soluzione per sé ma anche per il resto del paese.

Speranze cadute. Dopo la grande crisi si presenta una proposta culturale che diventa politica fatta dell’idea di risorgenti egoismi nazionali, di illusioni di piccole patrie. Con nuovi steccati identitari, con divisioni per razze e religioni. Di populismi che esprimono un distacco ed una delegittimazione per ogni istituzione democratica, brodo di cultura per regimi autoritari. Che come vediamo nel mondo possono benissimo coesistere con il rispetto formale di alcune procedure elettorali. Anche l’osservazione di Renzi, che riduce la questione alla questione fiscale, dimostra che c’è poca consapevolezza di cosa si sta muovendo nel profondo della società.

Possiamo esorcizzare fin quanto vogliamo la parola secessione ma quando si pone come tema politico la secessione fiscale (questo significa trattenere i 9/10 del gettito) non si dovrebbe essere così imprevidenti da non considerare le conseguenze possibili. Pensando che certi fatti possano succedere solo in casa d’altri.

Quando la crisi di un partito è anche una crisi culturale vuol dire che c’è un malessere profondo. Che non si cura con i congressi, con gli slogan o le improvvisazioni. Serve un duro lavoro in profondità. Non ne vedo traccia e ne sono molto dispiaciuto. Ma spero sempre di sbagliarmi e di essere piacevolmente sorpreso. Vorrei stare dalla parte dell’ottimismo della volontà.

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10 commenti

  1. paolo batt
    26 ottobre 2017

    Condivido quasi tutto, salvo il fatto che l’irrilevanza del PD veneto sarebbe stata minore se l’astensionismo fosse stato di 5 punti superiore.


  2. Walter
    26 ottobre 2017

    A mio modesto avviso, la maggioranza degli elettori che hanno votato il recente referendum pensavano di ampliare la competenza legislativa dellla Regine Veneto su materie riservate allo Stato. Ogni altra interpretazione non trova giustificazione: se Zaia agirà diversamente, perderà le elezioni.


  3. Luca
    26 ottobre 2017

    Ho paura che il senatore sbagli e che più di uno fosse invece consapevole di dove si andava, ma abbia preferito chiudere gli occhi. In quanto al referendum è stato come la lampada di Aladino: ognuno credeva di potere chiedere un desiderio diverso, ma chi ce l’ha in mano (Zaia) sa benissimo cosa chiedere al genio. e non è l’autonomia.


  4. Giorgio Franco
    26 ottobre 2017

    Il guaio è che l’assenza di cultura non si rileva solo nella società, ma purtroppo anche nel PD. Fino a poco tempo fa mi par di ricordare che Il Senatore fosse invece un po’ indulgente col Partito di Renzi. A Padova non erano molti coloro che osassero criticare apertamente le scelte politiche del fiorentino. L’unità del partito pareva dovesse essere più importante delle leggi, che si imponeva al Parlamento di sfornare. Possibile che da Veltroni in poi (ovvero dal primo vagito del PD) non ci sia mai stato almeno un tentativo di autocritica, non per colpevolizzare, ma per crescere! Non mi si può chiedere di votarlo.


  5. Corrado Poli
    26 ottobre 2017

    Apprezzo quasi sempre le analisi politiche del Sen. Giaretta. Non sempre concordo, ma le considero in genere profonde e puntuali. Nel caso dell’articolo postato invece ravvedo troppe contraddizioni e veri errori. Anzitutto, la politica è anche conflitto, soprattutto una politica di cambiamento e possibilmente di progresso. Altrimenti è mera amministrazione o gestione del potere, come faceva la DC dorotea e la DC in generale. Talora agendo opportunamente (e non solo opportunisticamente) in questo modo. Si tratta di una concezione della politica degna e rispettabile in un contesto conservatore. Né mi meraviglio che Giaretta sposi la causa conservatrice visto che tutta la sua vita politica è stata all’insegna del conservatorismo e della cancellazione di ogni conflitto. Chi ricorda una battaglia politica in cui Giaretta si è mai prodigato ed esposto? Il suo ruolo è sempre stato di mediazione, talora utile, altre volte meno. È più che ovvio che, se si chiede più autonomia, si apre “un conflitto (non la trattativa) con lo Stato centrale”. Chi mai cederebbe potere senza difenderlo? Il conflitto (non la guerra) è un valore fondante della politica progressista. Proprio perché le richieste vanno oltre e contro le leggi ordinarie e costituzionali vigenti, il conflitto diventa creativo e implica un’operazione culturale. Per l’autonomia e magari anche il federalismo si deve lottare, non aspettarlo come un dono: chi mai ha ceduto potere senza combattere?
    Giaretta sostiene che “ha vinto una certa idea di Veneto: un Veneto che vive di chiusure, di rancori, di paure, di illusioni di autosufficienza. Che preferisce cercare nemici esterni piuttosto che correggere le proprie insufficienze. Che fa appello a fratture sociali, egoismi identitari”. Questo non è vero: noi che ci siamo schierati per l’autonomia e abbiamo votato Sì senza essere leghisti e senza avere questa “idea” (che secondo Giaretta avrebbe vinto), abbiamo cercato di offrire contenuti solidali e nuovi. La nostra idea di autonomia è radicata in principi di democrazia e di solidarietà. E io spero e mi impegno senza vergogna per un federalismo degli Stati in un’Europa federale. Insomma di una cultura politica nuova.
    Giaretta e la coalizione sconfitta di astensionisti e assenteisti cronici invece si sono rifiutati di partecipare al dibattito. Hanno preferito – e continuano – a parlare di trame politiche supponendo e sospettando (forse anche a ragione, perché no?) retro-pensieri e dietrologie che hanno impedito di aprire quel dibattito culturale di cui adesso si denuncia l’assenza. Giaretta lamenta il basso livello di cultura espresso durante la campagna: ma la colpa di questo non può che essere di quelli che hanno preferito a brontolare senza sapersi spendere sul campo.
    Il Sen. Della Zuanna dice che “hanno vinto i Veneti” e per una volta (non è vero lo sono spesso … e qualche volta no) sono d’accordo con lui. Giaretta invece dice che “per una volta” è in disaccordo. Ma chi altri poteva vincere se a votare a larga maggioranza sono stati gli elettori veneti? Anche del PD. O non si rispetta il risultato elettorale, oppure non può che avere vinto la maggioranza. Il “federalismo solidale” è stato il cavallo di battaglia del PD che ha partecipato. Il cavallo di battaglia degli astensionisti qual è stato? Che si faceva un favore a Zaia? Cioè invece che fare cultura, si temevano conseguenze politiche e quindi si preferiva tramare. Perché non si è colta l’occasione per promuovere un federalismo solidale e magari europeo? Per paura di perdere? È stato meglio promuovere l’assenteismo e l’astensionismo?
    E poi, l’errore – grave per un analista affidabile – di portare il dato di una sola città (Padova) per sostenere la propria tesi, quando invece si è votato nel Veneto: i dati sarebbero diversi se ci si riferisse all’intero Veneto e non si capisce perché fare il solo caso di una città che rappresenta il 4% circa dell’intero elettorato! Sul fatto che la sconfitta del (di una parte del) PD sia avvenuta sul piano culturale concordo appieno. Ma questo è avvenuto proprio perché il PD ha seguito il modo di pensare conservatore e assenteista (dal dibattito) e astensionista (consapevole) del Senatore Giaretta.


  6. Pietro Casetta
    27 ottobre 2017

    Concordo col sen. Giaretta. La sconfitta è culturale. Ma non ho sposato la tesi dell’astensionismo e ho votato no. Perchè ritengo fosse il caso di dare comunque un segnale, e quell’1,1% di no che la stampa non ha neppure considerato è un segnale, anche se è tutto da interpretare. Ho votato no non perchè io sia contrario pregiudizialmente ad un progetto di autonomia, ma perchè non esiste in veneto una classe dirigente in grado di governare in una situazione di autonomia. Mancano almeno i seguenti requisiti: una scuola di alta formazione, una testata mediatica capace di valere sul piano nazionale, una banca. In Lombardia avrei votato (forse) sì. La scuola c’è e si chiama Bocconi, la testata anche ed è più di una, e riguardo la banca, pur non sapendo dare valutazioni, credo che in Veneto, se proprio quel tanto odiato Governo centrale non fosse intervenuto a salvarne almeno due a suon di miliardi, non riesco ad immaginare la fine che tutto il tessuto socioeconomico avrebbe fatto. Pertanto, fin che le banche venete esisteranno grazie ai soldi romani, credo sarà il caso di mantenere gli attuali legami con la capitale. Un’analisi parziale, limitata, e forse ingenua la mia, e magari anche con qualche abbaglio. Ma spero non mi si dica che non mi sono almeno sforzato di pensare prima di decidere di recarmi al seggio e di barrare una casella.


  7. Francesco Borghesan
    27 ottobre 2017

    “ha vinto una certa idea di Veneto: un Veneto che vive di chiusure, di rancori, di paure, di illusioni di autosufficienza. Che preferisce cercare nemici esterni piuttosto che correggere le proprie insufficienze. Che fa appello a fratture sociali, egoismi identitari. ”

    “Ciò che a me dispiace molto è che la sconfitta del PD sia avvenuta su un piano culturale. Perché la storia (e anche la mia piccola esperienza) mi hanno insegnato che si perde politicamente quando non si ha alle spalle una interpretazione culturale della società e per questa via si diventa irrilevanti. Ed è una china difficilissima da risalire.”

    In queste due frasi di Giarretta c’è tutto il nulla del PD (ex DC) e di chi lo rappresenta. Il resto dell’articolo sono “calcolicchi” politici d’antan e di basso livello intellettuale. Francamente, pur avendo votato sì, a me interessa poco la questione veneta. Ho votato sì perché voto e voterò qualsiasi iniziativa antisistema (dell’attuale sistema), in quanto ritengo che la china che abbiamo preso, dal post tangentopoli, stia inesorabilmente distruggendo uno dei Paesi più belli e , socialmente, più vivibili del mondo.

    Ogni distruzione trova la sua causa sul piano culturale; Giarretta ne parla ma non sa di cosa parla, come non lo possono sapere coloro i quali hanno sempre operato nella bambagia degli incarichi pubblici e nelle segreterie dei partiti, senza mai fare un’ora di lavoro in qualche azienda o prestando qualche servizio dal quale dipende il proprio reddito, quindi la propria sussistenza, reddito che può terminate dalla sera alla mattina. Vale a dire la situazione nella quale si trova chi vota, non chi viene votato. Non mi si dica che quando egli operava alla Camera di commercio era a contatto con la realtà, perché certe cose si capiscono – indipendentemente dall’istruzione o dalla sensibilità della persona- solo quando si vivono sulla propria pelle. Per questo non è qualunquismo dire che chi ha vissuto sempre protetto da mamma Stato non può intellettualmente ed emotivamente capire cosa sia vivere nell’incertezza.

    È questa la cultura che manca e che spiega la frattura netta e sempre più profonda tra quello che viene chiamato Paese reale e Paese legale.
    Non si è più in grado di capire, perché ne manca l’esperienza diretta, cosa prova la gente quando sa – e per sapere intendo provare emozionalmente- che tutto quello che con grande fatica si è conquistata negli anni , da un reddito che permette un certo benessere per se e per la propria famiglia ad un welfare che fornisce un appoggio nei momenti di debolezza e di bisogno, può essere cancellato , per di più da entità non rappresentative come l’attuale UE. E soprattutto a vantaggio di soggetti che diventano sempre più ricchi. Il grande tema della disuguaglianza che a parole si dice di voler affrontare mentre nei fatti si opera per favorire quel libero mercato – libero perché senza regole- che precarizza ogni forma di esistenza a vantaggio di un processo di accumulazione e polarizzazione sociale senza precedenti dal dopoguerra.

    Il Veneto era una regione molto povera, è diventata negli anni ’80-90 la locomotiva d’Italia. Il benessere si è diffuso ovunque , certo grazie anche a forti clientele, ma prevalentemente per il lavoro di milioni di persone. Queste famiglie ora si sentono in pericolo -ancora viva è la memoria della povertà- e quando ti senti in pericolo la prima reazione istintiva è prepararti alla difesa, trovare un riparo, una protezione. Non c’è alcun “egoismo identitario” se non come come conseguenza dell’avvertimento di una minaccia.

    Non capire questi processi , chiamarli genericamente e ignorantemente globalizzazione, quando di processi di globalizzazione la storia socio-economica è piena, mentre la singolarità dell’epoca attuale è la deregolamentazione di ogni attività economica : lo Stato Nazione parte attiva non per aiutare i propri cittadini ma per togliere ogni regola (regole chiamate, mistificando, lacci e lacciuoli) e con ciò esporre la propria comunità ad una competizione hobbesiana (salvo pochi che oggi vengono chiamati privilegiati). Non capire questi processi , dicevo, è il gap culturale della politica attuale , in particolare del PD che anzi è diventato diligentemente parte attiva di questo processo distruttivo e autodistruttivo.

    La politica che rappresenta Giarretta, intesa come spartizione di potere tra un politico e un altro, fatta di intese, compromessi, negoziazioni sottotraccia , formule generiche , slogan come “correggere le proprie insufficienze ” o fare le riforme, calcoli tipo il PD schierandosi, seppur timidamente, per il sì, ha fatto un favore alla Lega ecc ecc, segnano inesorabilmente il canto del cigno di questi uomini che definirli politici è usare un’iperbole. Questo E’ il problema culturale , caro Giarretta.


  8. enzo de biasi
    28 ottobre 2017

    Come ho già avuto modo di esternare dopo il 22 ottobre:
    a) nelle tv locali che hanno voluto invitarmi ad analizzare il dato referendario
    b) in una lettera scritta ai direttori delle testate dei giornali veneti, pubblicata unicamente dal mattino di padova ed edizioni collegate

    e senza aspettare di conoscere la validazione confermata anche dall’analisi dei flussi elettorali , se il PD regionale si fosse convintamente schierato (tutto intero) per un astensionismo critico mobilitandosi su tutto il territorio regionale spiegandone le ragioni al corpo elettorale votante (nel merito della questione avrebbe potuto trarre qualche spunto anche dal dossier da me redatto in data 24 agosto), oggi avremmo potuto festeggiare l’epilogo del ventennale regionale a trazione leghista.
    Il dato di sintesi è che il 45% (44.8 ) ha espresso un diniego netto al quesito farlocco: vuoi tu bene alla mamma ?
    La conduzione della “pratica” inerente il regionalismo rafforzato che la Regione del Veneto va cercando da tempo sarebbe stata incanalata su binari propri ed appropriati e non certamente quelli: demagocici, populisti e strumentalmente asserviti alla imminente campagna elettorale che partirà dopo le prossime elezioni regionali in Sicilia e che si conluderà con il voto di marzo 2018. (probabili vincitori in Sicilia il Centro Destra, cosi come nello scenario nazionale del prossimo anno).
    Il PD, e qui concordo pienamente con l’analisi postuma di P . Giarretta ,che le battaglie in primis si vincono innanzittutto se si è “consapevoli e coscienti” di una propria e definita identita culturale da quella del competitor politico, altrimenti ci si accoda e si regge il moccolo, arrancando ad ogni passaggio istituzionale . La conoscenza, consapevolezza e coscienza di un proprio patrimonio ideale anche sul tema dell’Autonomia che non è nè Indipendentismo nè Specialità regionale in salsa leghista , non c’è nell’attuale PD nè tantomeno nella sua dirigenza vuoi di partito vuoi di consiglieri regionali eletti a Ferro Fini, tranne qualche lodevole eccezione che -guarda caso- ha fatto mancare il quorum legale nella propria provincia di elezione.


  9. Paolo
    1 novembre 2017

    Caro Enzo,
    così è…Una sola precisazione: la mia presa di posizione non è stata postuma. Ho scritto e detto prima del voto, suscitando anche dure reprimende dei dirigenti del mio partito


  10. Paolo
    1 novembre 2017

    Egregio Borghesan
    non mi permetto di giudicare la sua vita che non conosco. Lei si astenga di giudicare la mia. Il concetto di lavoro l’ho conosciuto bene, lo imparato a casa mia, nella mia famiglia di piccoli imprenditori in cui ho conosciuto il concetto di rischio. E forse dovrebbe pensare che dedicare la propria vita alla causa pubblica se lo si fa seriamente non significa affatto vivere nella bambagia.


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