Tafazzi è vivo e lotta insieme a noi

Pubblicato il 15 gennaio 2018, da Politica Italiana

Avevo intenzione di scrivere un commento sugli elementi che a mio avviso permetterebbero di ricondurre ad una ricomposizione della sinistra italiana. È la durezza della storia che porrà con urgenza una riflessione su questi temi, al di là dei rancori, delle illusioni di autosufficienza e delle pochezze umane. Il giorno dopo le lezioni, comunque vadano, come ha scritto qualche giorno fa Mario Calabresi su Repubblica: “Avremmo bisogno di coraggio e immaginazione, di alzare lo sguardo per provare a vedere oltre, per scoprire che il futuro non è già scritto ma sarebbe tutto da costruire”.

Me ne è passata per oggi la voglia vedendo le decisioni di LeU in Lombardia. Chi mi segue qui sa che non ho mai fatto sconti alle presunzioni superficiali di Renzi. Perché in fondo il processo nasce dal famoso, inurbano e imprevidente “Fassina chi?” di Matteo Renzi, quando pensava di avere tutte le carte da giocare.

Ma ci sono dei momenti in cui si vede se si è all’altezza delle sfide che la storia pone. In cui ognuno dovrebbe fare la propria parte. Invece in Lombardia hanno prevalso le piccinerie, ed anche le divisioni, perché se LeU non molti sono, sono anche divisi. Grasso non è Boldrini (e infatti lui dice “qui decido io”, non male come leader di un partito nato anche contro il decisionismo di Renzi), Bersani non è D’Alema, gli sparuti eredi di Sel sono diversi da Possiamo.

Le scuse che ho sentito sono molte, alcune un po’ risibili. Non piace lo slogan “Fare, meglio” perché sarebbe troppo assolutorio per il ciclo di Maroni (lo slogan di Zingaretti è “la forza del fare”), Gori non ha le phisique du role, ha perfino lavorato nelle aziende di Berlusconi, infine potremmo classificarlo renziano. Che abbia vinto in un comune difficile come Bergamo, che abbia vinto e governi sostenuto dalla sinistra a sinistra del PD senza obiezioni non conta nulla. Ma un serio confronto programmatico non lo si è voluto neppure tentare. L’ebbrezza di correre da soli, in modo identitario. Disinteressati all’esito complessivo, all’occasione che la storia pone. Perché le difficoltà del centrodestra offrono, senza merito nostro, una occasione reale. Non uno schieramento messo insieme tanto per non fare troppo brutta figura, ma un ampio campo politico per strappare al centrodestra la più grande e forte regione italiana.

Non è interessato per nulla. Più forte il rancore sul passato verso Renzi, più forti i calcoli elettorali per il nazionale. Gli elettori non capirebbero dice Bersani. Noi dobbiamo “andare a cercare gli elettori che sono andati nel bosco”. Con il rischio che nel bosco ci vogliano restare. E poi decide la base. Argomento assolutorio per non esercitare il dovere della leadership che è il principale dovere di un politico autorevole. Pur di restare duri e puri (?) si sono svillaneggiati gli appelli di persone per bene come Prodi e Veltroni. Perfino alla Camusso non si è voluto dare ascolto.

Ma i leader del passato sapevano convincere, per questo sono ricordati. Certo la “base” avrebbe bocciato la proposta di Togliatti che poteva apparire inaccettabile, quando nel 1944 proponeva ad una base che era stata in clandestinità e nelle carceri fasciste di sostenere il governo Badoglio, generale già fascistissimo. Se Togliatti si fosse limitato a chiedere un parere, invece di esercitare tutta la sua autorevolezza per convincere sulla prospettiva. Con il famoso discorso al cinema Modernissimo di Napoli nell’aprile del 1944, per questo passato alla storia.

Se Aldo Moro nel febbraio del 1978 di fronte alla drammatica esigenza di dare un governo al paese si fosse limitato a chiedere ai gruppi parlamentari se pensassero possibile un governo sostenuto anche dal PCI avrebbe avuto una risposta negativa. Esercitò invece tutta la sua influenza per convincere uno per uno i parlamentari della necessità di quella scelta. E pagò con la vita anche per questo. E lo stesso si può dire per Berlinguer. Togliatti, Moro, Berlinguer non avevano i loro nomi nei simboli elettorali, ma erano leader autentici.

Così cosa succederà in Lombardia? Che vincerà tranquillamente il centrodestra. Guadagnerà qualcosa LeU da questa posizione radicale? Si vedrà, io credo che l’esito più probabile è che ne uscirà indebolita, perché una parte dei suoi elettori voterà Gori per tentare di competere sul serio, un’altra parte se ne starà a casa perché non condivide l’incapacità di trovare un incontro. Del resto i sondaggi disponibili lo dimostrano: al progressivo indebolimento del PD non corrisponde una crescita di Liberi ed eguali, fermi al 6,4% nell’ultima rilevazione, meno di quello che un anno fa avevano i suoi partiti fondatori. La lezione della Sicilia non è bastata. La sinistra rischia di mettere in campo due delusioni più che due convinzioni.

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6 commenti

  1. Franco Luigi Caldon
    15 gennaio 2018

    Bravo Paolo, però io ti suggerisco che questo bell’articolo lo devi pubblicare nei quotidiani perchè faccia riflettere tutti i nostri elettori e non solo ma anche tutti quelli che si ritengono appartenenti alla sinistra e vanno nelle file dei piccoli partiti nati solo per rancore e per mettersi in mostra e occupare una poltrona.Grazie


  2. pierluigi petrini
    15 gennaio 2018

    Caro Paolo che il quadro sia quello desolante che tu descrivi è sicuramente vero. Che questa divisione della sinistra sia dannosa e tutta a vantaggio di avversari politici indigesti come il CDX e il M5S è vero e doloroso. Ma basta questa presa di coscienza per risolvere il problema? E’ sufficiente per un depresso capire che se fosse sereno vivrebbe meglio? No! Occorre domandarsi perché si è giunti a questo e rimuoverne le cause. C’è rancore? Sicuramente sì, ma perché? Ricordi gli statisti del passato con comprensibile nostalgia, ma uno solo di loro avrebbe mai gestito il partito con tanta arroganza, supponenza, disprezzo del dissenso? E chi di loro avrebbe definito linee politiche di rottura con il proprio programma e la propria tradizione senza passare attraverso un processo di elaborazione e di decisione che coinvolgesse l’intero partito? Una volta i congressi erano una cosa seria e non si eleggeva il leader ma si definiva una linea politica e al successo di quella linea politica era legato il destino del segretario. Chi di quegli statisti sarebbe sopravvissuto a debacle elettorali come quelle registrate in tutte, ripeto in tutte, le elezioni amministrative? Chi sarebbe rimasto in carica dopo aver trascinato il partito in una disfatta referendaria come quella del 4 dicembre 2016? Chi, dopo aver inchiodato il Parlamento con la fiducia su leggi incostituzionali? Eppure nella tua analisi Renzi compare quasi incidentalmente. Si condanna il rancore ma non la sua causa. Non si riesce ancora a maturare l’idea che la soluzione passi solo e necessariamente attraverso un cambio della leadership. Cambio che si ritiene impossibile per effetto di quella ridicola ordalia che sono le primarie, il primum movens della degenerazione politica che stiamo vivendo. Abbiamo trasformato la vita del partito in uno show dove sono impossibili confronti, approfondimenti, analisi, dove tutto si riduce all’esibizionismo del leader e dei suoi supporter completamente sradicati dai territori, impossibilitati a qualsivoglia posizione politica che non sia una dichiarazione di fedeltà al capo e un insulto a chi lo critica. Ti stimo Paolo, e tu sai quanto e quanto lontana sia questa mia affermazione da una captatio benevolentiae, e non vedo l’ora come te di sanare questa assurda divisione. Orsù dunque, si dia la stura ad una severa autocritica interna al PD che ponga Renzi di fronte alle sue responsabilità per trovare un interlocutore nuovo che possa riannodare un dialogo attualmente impossibile. Vedresti che i Bersani, i D’Alema, i cosiddetti rancorosi non avrebbero nessuna difficoltà a farsi da parte per far ripartire un dialogo che abbia nel progetto politico il suo obiettivo.


  3. Giuliano Bastianello
    16 gennaio 2018

    Caro Senatore,
    non so se sia ancora convinto che sia Matteo Renzi il leader del centro/centrosinistra (che di sinistra ha molto poco) capace di fronteggiare gli avversari di destra/centrodestra ed i cosiddetti populisti.
    Per inciso, a me, ogni volta che ascolto e guardo Renzi, sembra lui il più populista di tutti.
    Il suo discorso lucido e rassegnato trascura un fatto che è la vera causa dell’attuale (troppe ce ne son state e ce ne saranno) masochistica divisione della sinistra.

    L’eventuale accordo su Gori candidato tra LeU ed il PD non avrebbe, nemmeno in caso di vittoria elettorale, portato vantaggi alla “sinistra”.
    Avrebbe, senza dubbio alcuno, visto il pedigree, portato acqua al mulino di Rignano ormai vicino al fermo per aridità della falda. .

    Nessuno può garantire, in caso di elezione di Gori al Pirellone, un atteggiamento diverso di Renzi nei confronti dell’ex sinistra del PD simile alla “pari dignità” che la DC concedeva agli alleati dei governi di csx.
    Non lo può fare, e non l’ha fatto, nemmeno Renzi ormai consapevole di non essere più creduto.

    Perchè quindi, LeU avrebbe dovuto allearsi con un avversario politico? Perchè meno distante da B. e dal M5S.
    Per evitare l’ennesimo governo legaforzista?
    Tutte le volte che la sinistra ha chiesto consenso per battere B. ne è uscita malconcia.

    Il vero, nostro problema, è che il PD ( o ciò che ne è rimasto) dopo la nascita per inseminazione artificiale ha subito una mutazione genetica diventando organismo parassitario monocellulare ed ha perso, ad uno ad uno tutti cromosomi identitari.

    Lo dicono dati oggettivi: numero di iscritti, frequenza delle sezioni (circoli), tipologia dei reclutamenti dei … militanti (sic!) ed è diventato una forza … si fa per dire, politica onnivora senza altra elaborazione che le verbose e noiose tiritere di un segretario che, per evitare fischi, arriva, parla e fugge via.


  4. Paolo
    18 gennaio 2018

    Caro Franco,
    forse hai ragione! La prossima volta… grazie


  5. Paolo
    18 gennaio 2018

    Caro Pierluigi, penso che Renzi abbia fatto dei gravi errori. Alcuni sono stati quasi spinti fuori dal PD, togliendo loro dignità. L’ultimo errore è quello di una legge elettorale che non consentendo il voto disgiunto ha impedito ogni possibile accordo anche di desistenza (che ci fece vincere nel 1996, anni lontani) però sulle regionali resto convinto che ci potesse e dovesse essere lo spazio di un incontro…


  6. Paolo
    18 gennaio 2018

    Gentile Bastianello,
    penso che Renzi abbia perso l’appuntamento con la storia, almeno per il momento. Non penso affatto però che una alleanza in Lombardia avrebbe portato acqua al suo mulino e basta. Avrebbe dato una prospettiva politica per la riapertura per un dialogo a sinistra e avrebbe potuto impedire la vittoria della destra in Lombardia, che sarebbe stato un segnale a livello europeo


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