Da Don Piero a Gentiloni

Pubblicato il 19 febbraio 2018, da Politica Italiana,Relazioni e interventi

L’Associazione San Gaetano – Don Pietro Zaramella raccoglie un gruppo di persone che nel corso degli anni sono state guidate da don Piero Zaramella lungo dei percorsi di riflessione sociale e politica. Don Piero è stata una straordinaria figura di sacerdote, formatosi negli anni della Resistenza al fascismo insieme a don Giovanni Nervo, impegnato in una forte azione sociale nel mondo del lavoro, costruttore di relazioni e di incontri, fondatore della pastorale del lavoro diocesana, diventando guida di tanti che nel mondo del lavoro, del sindacato, delle ACLI, dell’associazionismo cattolico hanno animato la vita sociale padovana. Tra l’altro impegnato con generosità e amore nella tutela di quello straordinario monumento che è la chiesa di san Gaetano in via Altinate. Ogni tanto mi invitano per una riflessione sull’attualità politica, lo hanno fatto anche in questa occasione di vigilia dell’appuntamento elettorale del 4 marzo. Ecco più o meno quello che ho detto.

Certo è una delle campagne elettorali tra le più brutte che io possa ricordare. Perché dominata da troppe parole in libertà, che si bruciano nell’arco di una giornata, di una diffusa eccitazione di paure e rancori, di formulazioni di promesse spropositate che non reggerebbero ad un esame approfondito di fattibilità. Questo spiega il fatto che a quindici giorni dal voto ancora la metà degli italiani dichiara di non sapere se andrà a votare e per chi voterà se ci andrà.

Possiamo perciò chiederci: cosa ci direbbe don Piero, con il suo eloquio pacato ma sempre rigoroso nella difesa dei principi, della visione della dottrina sociale cattolica? Animato da un grande zelo pastorale, che sapeva coniugare con una forte sensibilità sociale, con una analisi profonda della realtà e delle sue criticità.

Penso che ci ricorderebbe che sono passati 70 anni dall’approvazione della Costituzione. Che tra l’altro contiene l’invito saggio e previdente di considerare il voto come un dovere civico. Si discusse allora se considerarlo un obbligo, accompagnato da sanzioni per chi non lo assolvesse. Prevalse l’idea giusta di avere fiducia nel popolo italiano. Per cui il voto diveniva un diritto riconquistato con sacrificio di molti dopo la dittatura fascista a cui corrispondeva il dovere civico di difendere questa opportunità. La confusione, un certo decadimento della vita politica, l’insufficienza dell’offerta come la percepiamo non è esimente rispetto al dovere civico del voto. Noi cattolici in particolare abbiamo coscienza della relatività e dell’incompiutezza dell’agire politico, ma siamo chiamati sempre a misurarci con le responsabilità del proprio tempo, non sottraendoci al dovere della partecipazione e della scelta possibile. Non disertare il voto, perciò.

Nel 2019 avremo un altro anniversario importante per la vita democratica del paese. Saranno cent’anni dall’Appello ai liberi e forti con cui Don Sturzo chiamava a raccolta i cattolici italiani sotto le insegne del Partito Popolare. Con parole di grande attualità: “A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti all’amore di patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degli interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano le virtù morali del nostro popolo”.

Questo appello può costituire un criterio di discernimento anche per l’oggi: non chiusura ma apertura, considerazione dei diritti sociali, importanza del sentimento morale.

Ci direbbe Don Piero di stare lontani da forze politiche che eccitano odio e divisione. Le paure sociali vanno tenute presenti e considerate, ma il compito delle forze politiche sagge è di attenuarle non di sfruttarle e di vivere sulla mancata soluzione dei problemi. Dalla eccitazione delle paure può nascere l’odio, dall’odio per ciò che non conosciamo e del diverso da noi, dello straniero, nasce la xenofobia ed il razzismo. Non son fenomeni da sottovalutare, da minimizzare o da rimuovere. Dalla predicazione dell’odio nasce sempre una mente debole che pensa di prendere sul serio le parole del proprio leader e di passare ai fatti facendosi da sé quello che pensa sia giustizia. Così il militante della lega di macerata prende una pistola e spara a casaccio. Oppure più semplicemente un tizio posta su Facebook la notizia falsa di un nero che viaggiava in treno senza biglietto e il post riceve 150.000 like conditi da insulti razzisti di ogni tipo. Un brodo di cultura dei peggiori sentimenti che vengono sdoganati ed eretti a pensiero politico, senza riprovazione e condanna. Stiamo attenti a non avere la presunzione di ritenersi migliori delle passate generazioni, sicché i drammi della storia non possano ripetersi. Eppure l’Olocausto nasce da tanti luoghi comuni contro gli ebrei, accettati e tollerati e poi eretti a strumento di azione politica, o la nefasta stagione del terrorismo da tanti “cattivi maestri” che teorizzavano la guerra di classe.

Questa eccitazione di ogni paura costruisce una guerra tra i più poveri ed emarginati, una competizione tra nuovi poveri e vecchi poveri, tra ultimi della scala sociale per rimuovere e nascondere il vero problema: la crescita nelle società occidentali di crescenti diseguaglianze tra una staro sottile di benestanti che stanno sempre meglio ed accumulano previlegi e strati crescenti di popolazione che assistono ad un impoverimento: di redditi, di sicurezze sociali, di status.

Di fronte alla povertà di questa campagna elettorale potremmo riandare alle parole di Aldo Moro, quando disse “varrà di più una parola detta discretamente, rispettosa e rispettabile”. La discrezione, piuttosto che il pollaio rissoso di certi format televisivi, una parola rispettosa, perché la democrazia si basa anche sul rispetto delle opinioni diverse dalla tua. Un atteggiamento molto diverso dalla faziosità da setta del discorso pubblico dei grillini, per cui gli avversari politici sono dei nemici da screditare, da disprezzare, da ritener prigionieri di disonestà, subordinazione a grandi interessi, ecc. Poi la verità viene anche per loro, tra incompetenze, miserie umane, furbizie da poco. Una parola rispettabile perché non è sola propaganda superficiale, sloganistica ad effetto, ma si basa su ragionamenti veritieri, argomentati, supportati da dati di fatto ed elaborazioni intellettuali.

Don Piero ci direbbe anche di mettere al bando quelle proposte politiche che voglio comprare il consenso con promesse irrealizzabili o ricette semplicistiche, contando sulla smemoratezza degli elettori o sulla difficoltà a possedere gli elementi tecnici necessari per valutare. Lo ha ricordato recentemente alche il card. Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana: “La campagna elettorale sta rendendo serrato il dibattito, ma non si può comunque scordare quanto rimanga immorale lanciare promesse che già si sa di non riuscire a mantenere. Altrettanto immorale è speculare sulle paure della gente: al riguardo, bisogna essere coscienti che quando si soffia sul fuoco le scintille possono volare lontano e infiammare la casa comune, la casa di tutti”.

Qui c’è solo l’imbarazzo della scelta, a partire dalle promesse di Berlusconi: con noi al Governo espelleremo 600.000 profughi. Parole al vento, senza spiegare come farebbero, dove mai li manderebbero e dimenticando che con loro al Governo si realizzò la più grande sanatoria dell’immigrazione clandestina mai fatta.

Oppure promettendo l’introduzione di dazi per tutelare il lavoro italiano. Una sciocchezza che non regge alla prova dei fatti, non solo perché i dazi semmai li può mettere l’Europa e non certo un singolo stato dell’Unione, ma perché sarebbe un danno gravissimo per un paese esportatore come l’Italia. Pensiamo al solo settore agroalimentare che da Cenerentola è diventato una dei motori della crescita italiana. Il settore agroalimentare copre ormai più del 10% delle esportazioni italiane. È un settore giovane: abbiamo oltre 50.000 aziende agricole rette da under 35, un record in Europa. Tra l’altro nel settore agricolo è largamente presente, purtroppo talora anche con forme di sfruttamento, l’impiego di manodopera extracomunitaria, non trovando lavoratori italiani disposti a compiere questi lavori. Con le ricette della Lega distruggeremo la vitalità e la competitività di questo e di altri settori produttivi.

Un economista indipendente, il prof. Roberto Perotti ha calcolato che le promesse formulate dal centrodestra produrrebbero nel Bilancio dello Stato un buco fino a 300 miliardi di euro. Ha ragione il card. Bassetti: l’immoralità delle promesse non mantenibili. Ancora una volta possiamo ricorrere ai consigli di un grande del passato, quando Alcide De Gasperi raccomandava: “bisogna sempre promettere un po’ meno di quello che si pensa di poter realizzare se si avrà il mandato per governare”. La saggezza di questo consiglio l’ho sperimentato personalmente, anche nella mia esperienza di Sindaco. Il cittadino ti rispetta se non lo prendi in giro, e preferisce piuttosto di un sì a parole a cui non seguono i fatti un no argomentato e appunto rispettoso.

Possiamo aiutarci nell’orientamento per il 4 marzo anche ricorrendo alle parole di grandi del passato. Se oggi ci pare un po’ angusto il panorama politico non mancano maestri a cui ricorrere. Ancora una volta cito Aldo Moro ed Alcide De Gasperi. Cito il Moro di in un famoso discorso del 1969. Anche allora momento di crisi: economica e sociale con l’autunno caldo, la contestazione giovanile, i mutamenti culturali. Moro era in una posizione di contestazione della dirigenza democristiana di allora, che gli appariva in ritardo nell’analisi e nelle proposte e ammoniva: “a convogliare le volontà non solo nel voto ma nella risposta quotidiana alla sollecitazione sociale e politica non sarà il potere, ma l’idea. Il potere diventerà sempre più scostante e irritante e varrà solo una idea comunicata per un tramite discreto ed umanamente rispettoso”. Un giudizio di una straordinaria capacità anticipatrice su un potere della politica “scostante ed irritante”, ma troppo ottimista sulla prospettiva che l’idea discreta e rispettosa potesse prevalere…

Nel 1950 un autorevole giornalista del tempo chiede a De Gasperi di rendersi disponibile per la scrittura di una sua autobiografia. De Gasperi rifiuta essendo ancora impegnato in una faticosa attività come presidente del Consiglio, ma rinvia a tempi, che riotteneva prossimi, in cui fosse libero da impegni. E scrive: “Allora sì che frugherei nelle vecchie carte, lettere e memorie per documentare la speranza tenace dei tempi malvagi e provare come un cattolico ortodosso e credente attraverso l’illuminazione dell’esperienza altrui e della propria divenne politicamente umanista e ricettivo di ogni cosa buona e di ogni fede nella libertà e nella tolleranza civile…Mi dicono abile, manovriero. E non sempre è un complimento. Preferirei vedessero in me un uomo di fede. L’abilità è al servizio dell’idea che mi conduce”. Perché è importante questa lettera? Perché ricorda che nei tempi malvagi (De Gasperi perseguitato dal fascismo e ridotto in carcere e poi ad una vita di ristrettezze economiche) vi era comunque una speranza tenace, la fede nella forza della democrazia. E questa capacità del politico di non essere fazioso difensore della propria parte ma onesto cercatore della verità che si nasconde in ogni cosa buona, nello spirito della libertà e della tolleranza civile. Come Moro persuaso che non esiste buona politica se non è condotta dalla forza di una idea.

E oggi? Pensando a queste parole impegnative mi sembra che Gentiloni sia la figura che nello scenario politico più si avvicina a quei principi. Lo ha detto con forza anche Romano Prodi. Penso che non si sbagli votando per lo schieramento di Gentiloni.

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