Larghe intese e lunghe attese

Pubblicato il 2 febbraio 2018, da Politica Italiana

Una ultima riflessione sulla vicenda liste, poi bisogna guardare ai contenuti. A qualche amico è apparso eccessivo il termine “disgusto” che ho usato per le liste PD, qualche altro si è sentito rappresentato in questo sentimento. Certo che sono parecchie le persone che sento dire: “non voterò più PD, e siccome non voglio votare a destra o i pentastellati voterò la lista Bonino” Nella coalizione ma non PD. Non bisogna fare l’errore che ho compiuto anch’io più di una volta: pensare che non parlando degli aspetti scomodi questi non esistono, la gente ci arriva da sola ed ignorandoli si hanno poi cattive sorprese.

Vorrei che capissimo che lo spettacolo che ci viene presentato non riguarda solo il PD. Io guardo con preoccupazione al PD perché è il mio partito ma c’è una tendenza generale che evidenzia un rinsecchimento dei processi di partecipazione democratica. Generalmente problemi di formazione delle liste ci sono sempre stati, naturalmente aggravati quando alla inclusione in un certo posto in lista corrisponde una elezione certa. Però questa volta si manifesta qualcosa di diverso. Piuttosto della formazione delle liste con una volontà inclusiva, di unificazione del campo politico in cui agisce un partito qui si è manifestata una volontà di esclusione: usare il randello delle decisioni del Capo per mazziare i dissidenti ed escluderli. Per consentire un dominio senza contrasti del Capo.

Del PD ho già detto, ma lo stesso è successo in tutti gli altri partiti. Pensiamo alla Lega nel Veneto: una accurata esclusione di tutti gli esponenti legati al presidente Zaia. Eppure si tratta di un leader di grandissima popolarità. Per questo va punito. Idem è successo nei 5 stelle: dietro la cortina fumogena di primarie fasulle, con decisioni insindacabili del Capo sulle possibilità di candidarsi e sul riconoscimento dei risultati, del resto ancora segreti, i dissidenti sono stati emarginati. In LeU l’illusione di Grasso di essere davvero il capo e di portare in Parlamento personalità a lui gradite si è infranta con la necessità di dare rappresentanza garantita a capi e capetti.

Si manifesta un grande problema per la vitalità della democrazia parlamentare. La perdita di autorevolezza del Parlamento che per averla deve essere costituito da esponenti credibili, rappresentativi, di spirito libero. Non bisogna naturalmente generalizzare ma un Parlamento formato con i criteri che abbiamo visto all’opera rischia di essere un parlamento di servi riconoscenti piuttosto che di cittadini “liberi e forti”. Fenomeno non nuovo tuttavia.

Già Machiavelli nei suoi Discorsi riteneva che la decadenza della grandezza repubblicana romana fosse stata facilitata dalla abitudine invalsa di elevare agli onori pubblici: “non gli uomini virtuosi, ma quelli che per ricchezza o per parentado abbiano più grazia”. Ecco, mi dicono che in Forza Italia abbia avuto una certa influenza la scelta di alcuni “per ricchezza”, in altri partiti ha pesato il “parentado” politico. Maurizio Viroli, studioso di Machiavelli e autorevole professore di Teoria Politica a Princeton così commenta questo passo di Machiavelli: “Se mettiamo persone con animo servile nelle assemblee legislative avremo di necessità cattive leggi. Nessuno di loro sarà capace di portare convinzioni sincere, princìpi meditati, conoscenze solide e dunque non potrà aver luogo quella discussione seria che è condizione essenziale delle buone deliberazioni politiche. Una vera assemblea legislativa deve essere libera, sia nel senso che non deve prendere ordini da nessuno, sia nel senso che deve essere composta da persone moralmente libere”. Penso naturalmente che nel Parlamento siederanno comunque molte persone con questa caratteristiche. Ma se ne sono escluse molte altre magari per far posto a persone che queste virtù le possiedono in grado minore.

Le mancate riforme costituzionali certo incidono sul cattivo funzionamento delle istituzioni. Ma poi ci si mette del proprio per aggravarne i difetti. Parlamento debole perché agiscano meglio altri poteri. Del resto lo ricordava Berlusconi con il suo felice battutismo quando era sulla cresta dell’onda: “Basterebbero le riunioni dei capigruppo per prendere le decisioni”, ma in modo più argomentato (e preoccupante) era il capo della P2 Licio Gelli nel suo “Piano di rinascita democratica” ad indicare nella emarginazione del parlamento il punto di forza per allestire un regime autoritario.

In una campagna elettorale a corto di argomenti solidi assistiamo a promesse dissennate da parte dei partiti oggi all’opposizione, che contano intanto di prendere voti e confidano nella smemoratezza dei cittadini, non pensando alle ulteriori delusioni che provocheranno nell’opinione pubblica. E a dibattiti inutili. Come quello sulle temute o prospettate larghe intese. Per le quali con ogni probabilità non sarebbero neppure i voti, se non fossero quelle proposte e ritrattate da Di Majo…Piuttosto di larghe intese prepariamoci a lunghe attese e magari dopo lunghe attese nuove elezioni.

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2 commenti

  1. bruno magherini
    6 febbraio 2018

    Analisi lucidissima e condivisibile. E’ in corso un “processo oligarchico” a conclusione del quale pochi prenderanno (o credono di poter prendere) decisioni politiche cruciali. E’ un (cattivo) vento che spira da anni. Tuttavia dice il vecchio proverbio “il diavolo fa le pentole ma non fa i coperchi”. Non ci saranno i numeri per nessuna formula tra quelle ipotizzabili: mancheranno i numeri e anche se ci fossero sarebbero talmente risicati da rendere il quadro fragilissimo. Chi in cuor suo alimentava il sogno di un governo “forte” del Paese si ritroverà ad aver provocato solo caos e confusione. Perchè è mancata e manca una visione politica di ampio respiro. Purtroppo il prezzo (salato) lo pagheremo tutti noi.


  2. Adriano De Ambrosis
    8 febbraio 2018

    Condivido appieno la Sua analisi Senatore. Il problema dei nominati e del calo della partecipazione al voto drammatico come sta avvenendo in questi anni sta tutto qui, oltre la tragedia italica del conflitto di interessi che ancora abbiamo i n Italia.


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