Moro: le invenzioni dell’uomo nuovo

Pubblicato il 8 maggio 2018, da Politica Italiana

Domani ricorderemo (coloro che danno importanza alla storia e alla memoria) i 40 anni dell’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.

Un assassinio inutile e feroce che del resto portò anche alla morte di quella esperienza criminale, ammantata da ragioni politiche. Ricordo di quel 9 maggio del 1978 la corrente di emozione che colpì anche Padova, il convergere spontaneo di tante persone in piazza del Duomo e poi in chiesa, l’invocazione “Aldo, Aldo”, la presenza di bandiere di partiti diversi, anche avversari. Vi era la consapevolezza di una ferita grave alla democrazia, il senso di un pericolo di fronte al quale bisognava reagire. Reagire insieme, oltre le differenze e le diffidenze. Chissà cosa sarebbe nell’Italia sfiduciata e rancorosa di oggi…

Abbiamo ricordato anche il 70esimo dell’approvazione della nostra Costituzione, di cui un giovanissimo Aldo Moro fu tra gli estensori più autorevoli. Aveva le idee chiare, così parlava della persona umana, caposaldo della Carta: “Quando noi parliamo di autonomia della persona umana, evidentemente non pensiamo alla persona isolata nel suo egoismo e chiusa nel suo mondo. Vogliamo dei collegamenti, vogliamo che queste realtà convergano, pur nel reciproco rispetto, nella necessaria solidarietà sociale”

Un uomo che ha avuto molto potere, ma che del potere aveva un concetto relativo. Aveva forte il senso del dovere, ma conosceva i limiti dell’azione umana: “Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino.”

Aldo Moro con Pierpaolo Pasolini

Così diceva al suo partito nel 1969, anno di grandi trasformazioni, di scontri sociali che mettevano in crisi tante certezze: “La DC è chiamata ad essere sempre più un partito di opinione, giacché a convogliare la volontà non solo nel voto ma nella risposta quotidiana alla sollecitazione sociale e politica non è il potere ma l’idea. Il potere diventerà sempre più irritante e scostante”. Parole profetiche, a cui aggiungeva l’invito ad “aprire finalmente le finestre di questo castello nel quale siamo arroccati per farvi entrare il vento che soffia nella vita, intorno a noi”.

Tutt’altro che un conservatore, anche se aveva forte il senso della storia, delle lentezze necessarie a maturare gli eventi perché il mutamento fosse solido e condiviso: “Non siamo chiamati a far la guardia alle istituzioni, a preservare un ordine semplicemente rassicurante. Siamo chiamati invece a raccogliere con sensibilità popolare, con consapevolezza democratica tutte le invenzioni dell’uomo nuovo”.

Tutte le invenzioni dell’uomo nuovo. La fiducia nel futuro, l’appello all’umanità migliore. Non all’Italia dei rancori, dei rigurgiti, delle invidie distruttive, dei proclami senza fondamento. Fin nell’ultima sua impresa politica nel 1978, qualche giorno prima del suo assassinio. Aprire una nuova prospettiva politica. Aprire un rapporto con il “nemico” storico, il PCI di Berlinguer. Nell’interesse dell’Italia, dell’ampliamento della sua base democratica, scossa dalla violenza politica e dagli omicidi del terrorismo rosso e nero. La DC aveva preso alle elezioni politiche il 38,7%, aveva vinto, secondo il linguaggio di queste settimane. Ma Moro avvertiva la necessità di andare oltre. Vi era un PCI al 34,37% che non poteva essere ancora escluso a priori dalla contendibilità democratica del paese. Non bastava più a rappresentare la grande tradizione della sinistra riformista il PSI, sotto il 10% dei consensi.

Una scelta innovativa, difficile per la base elettorale, per lui e per Berlinguer. Spiegare, convincere, mantenere unito il partito ed i gruppi consiliari, altro che gli annunci da Fazio. Così nell’ultimo suo discorso ai gruppi parlamentari, incerti e timorosi in molti di fronte a quel difficile passaggio: “in questi giorni abbiamo cercato seriamente e lentamente la verità, la verità nel senso politico, cioè la chiave di risoluzione…nessuna persona può da solo vincere l’ostacolo che è dinanzi a noi, dobbiamo vincerlo insieme nella nostra concordia, nella nostra solidarietà, nella nostra consapevolezza”.

Moro uomo che non si era mai sottratto all’esercizio del potere, come strumento per cambiare le cose, ma uomo dai sentimenti puri. Che voleva bene al prossimo. A cui piaceva insegnare ai giovani. Così diceva ai suoi allievi universitari alla fine di un anno accademico: “Ma se anche io non ho potuto dimostrare sempre, come avrei voluto, dimostrare a tutti individualmente il mio apprezzamento, il mio rispetto, il mio affetto, la mia amicizia, io desidero dirvi che questi sentimenti sono quelli che hanno dominato il corso di questa esperienza. Sono venuto sempre, anche in giorni assai pieni di cose, però non solo per una lezione, ma per un incontro che mi ha fatto sentire vicino a persone amiche”.

Davvero la crisi della politica ad oggi è dovuta a tante cose. Tante e complesse. Anche allo spessore umano dei suoi protagonisti che appaiono così distanti da persone come queste.

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Tags: , ,

Scrivi un commento