Carlo Magno, le fake news ed il potere

Pubblicato il 17 settembre 2018, da Politica Italiana

Per una volta mi allontano dal presente. Che non è molto confortante per il mio partito. Congresso sì, forse no, il Presidente del partito (che di sconfitte se ne intende, a partire dal disastro romano) parla di sciogliere il partito. E se si sciogliesse lui?

Allora meglio guardare alla Storia. Pensiamo sempre di essere i primi dell’umanità a vivere certi fatti. Ma poi dal profondo dei secoli ci giungono tanti documenti che dimostrano che c’è una certa continuità nella storia dell’umanità. Certo cambiano i mezzi, la dimensione del tempo e dello spazio, però alla fine ci sono delle costanti.

Ad esempio le fake news non sono una invenzione del tempo presente. Sono secoli che circolano e nonostante la povertà dei mezzi di informazione di una volta avevano la loro efficacia nel condizionare l’opinione pubblica.

Ci credete che anche il grande Carlo Magno doveva difendersene? Ce lo racconta  Alessandro Barbero, storico e star televisiva, nel suo bel “Carlo Magno”.

Charlemagne and the Pope

Dunque siamo nell’810 e si verifica in Europa una grande moria di bovini. Si sparge la voce che la causa fosse il duca di Benevento, arcinemico di Carlo Magno, che avrebbe inviato degli untori muniti di polveri velenose da spargere nelle acque e nei prati. Naturalmente le conseguenze furono processi agli untori, perfino confessioni (possiamo immaginare come estorte) dei presunti colpevoli. Il vescovo di Lione Agobardo si impegna in una lotta senza quartiere a queste fakenews, diremmo oggi, al punto da scriverci sopra un trattato. Scrivendo ad esempio:

“Questa credenza era così universale che c’era a malapena qualcheduno consapevole della sua assurdità. E non pensavano ragionevolmente come fosse stata fabbricata una tale polvere per cui morivano solo i buoi e non gli altri animali, e come avessero fatta a spargerla in un territorio così vasto, che non si sarebbe potuto coprire neanche se tutti i beneventani, uomini e donne, vecchi e giovani, fossero usciti dal loro paese spingendo carri carichi di polvere”. E conclude il Vescovo:

“Ma ormai questo mondo disgraziato è talmente oppresso dalla stupidità che i cristiani sono pronti a credere ad assurdità cui nemmeno i pagani, prima, avrebbero prestato fede.” Incredibile, sembra di essere seduti davanti alla finestra dei contemporanei social. Più vicino a noi abbiamo naturalmente la vicenda imparata sui banchi di scuola dei manzoniani untori della peste nera.

Può essere interessante rilevare che in un tempo così lontano, con la quasi totalità degli europei analfabeti, in cui i viaggi si facevano per i più sostanzialmente a piedi, eppure vi fosse una condivisa circolazione di notizie. Pensiamo di essere molto più avanti, e certo abbiamo una immediata e globale diffusione di idee, notizie, immagini allora impensabile. Però pensiamo che il nostro Sant’Antonio nella sua breve vita nacque a Lisbona, sbarcò nel Nord Africa, percorse tutta l’Italia dalla Sicilia al Nord, andò in Francia in contatto con i sapienti del suo tempo, per poi morire a Padova, dove in pochi mesi di permanenza divenne il Santo per antonomasia. E non c’erano i social…

Comunque vediamo che il tema della credulità popolare è un tema che accompagna tutta la storia dell’umanità. E naturalmente a farne le spese sono sempre i più deboli. In genere il potere si fa scudo della credulità popolare per salvare sé stesso, per deviare l’attenzione su presunti nemici e per evitare di pagare dazio. Ieri come oggi.

 

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