Meritarsi la piazza

Pubblicato il 1 ottobre 2018, da Pd e dintorni

Il Pd sembrava morto e invece, forse, era solo svenuto, scrive Cappellini su Repubblica. Potremmo anche dire che i giornalisti se la fanno e se la contano. E anche che le piazze (e se è per questo anche i sondaggi) possono ingannare. Resta sempre valida la lamentela sconfortata di Pietro Nenni di fronte agli insuccessi elettorali del PSI: “Piazze piene, urne vuote”.

Però a Piazza del Popolo un popolo ha detto ai propri dirigenti che un popolo c’è, che ha voglia di indignarsi, di non rassegnarsi, di combattere una battaglia civile. Ma vuole anche essere guidato da comandanti capaci, capaci di individuare la rotta, di evocare sogni, di resistere nelle tempeste.

Ci sono state naturalmente altre manifestazioni in cui un popolo si è manifestato. Ma il segnale di Roma è importante perché è stato sostanzialmente spontaneo: un fai da te più che una organizzazione. In altre occasioni si sono investiti soldi e organizzazione. Questa volta i cittadini si sono mossi spinti da un desiderio interiore. Cittadini generosi che pressochè senza alcun sostegno hanno detto: voglio esserci, voglio reagire, non ho paura, appunto.

Viene da chiedersi: ma perché un popolo così fatica così tanto ad esprimere dirigenti all’altezza delle sfide del presente? Sembra quasi che si sia rinsecchita la pianta che deve fruttificare. Le risposte sono certamente complesse e non riducibili ad un unico elemento. Tuttavia è ora di affrontare anche questo aspetto. Riflettere criticamente anche su questioni che ci hanno innamorato e appassionato.

Le primarie ad esempio, il popolo dei gazebo, ecc. Indubbiamente c’è stata, specie all’inizio una grande partecipazione popolare. Guai a toccarle, sentiamo dire. Ma i frutti sono stati tutti positivi, visti con l’occhiale del tempo? È veramente fertile questa idea per cui c’è un giorno in cui viene incaricato un leader da un lavacro popolare, da un popolo che oggi c’è ma domani non si sa ed il leader assume un potere preminente di organizzazione di tutti i gruppi dirigenti, al vertice ed alla base, fino alla strafottenza renziana che invitava a tacere fino alle successive primarie? Rischiamo che diventi più efficiente (e manipolabile) la piattaforma Rousseau dei tradizionali gazebo.

La rottamazione è stata senz’altro un brand di successo. C’era un bosco che s’era infittito e sembrava togliere respiro al nuovo che premeva. Si è fatta luce nel bosco, si sono abbattute vecchie piante, ma possiamo dire che nuove piante vigorose sono cresciute? Al centro e nei territori?

Io do una risposta negativa a questi due interrogativi. Perché la politica è fatta di processi complicati. Se basta un capo carismatico e plebiscitario dobbiamo sapere che la storia insegna che questa cosa piace di più a destra, e tutto il sistema politico piega a destra. La politica come plebiscito è una politica di destra, se vogliamo usare categorie un po’ usurate ma che esprimono comunque concezione della vita e della comunità.

E la formazione dei gruppi dirigenti è una pianta delicata, che va seguita, curata, concimata. Non basta il plebiscito di uno, da cui deriva la promozione dei più fedeli (e talvolta inadeguati), bisogna saper vedere le persone più valide, incoraggiarle, formarle, addestrarle alla lotta politica. Perché non si scoraggino alle prime sconfitte, perché arricchiscano le competenze. Chi fa più questo lavoro? Le conseguenze si vedono.

Ci sono perciò delle cose da correggere. Ho parlato qui più volte della necessità di una visione nuova, di un progetto per la società capace di scaldare i cuori. C’è anche la questione della forma partito. Scrive ancora Cappellini: “Negli anni il Pd ha ridotto al minimo gli spazi di partecipazione, sostituito la vitalità dei circoli con l’estemporaneità dei gazebo, usato i social per scimmiottare la comunicazione grillina anziché per costruire nuove forme di partecipazione soprattutto giovanile.” Adesso che sono fuori da un impegno politico diretto sento tante persone non rinnovare l’iscrizione perché non trovano motivi sufficienti per farlo: nelle sedi di partito trovano burocrazia più che passione, noia più che stimoli intelligenti, modesti arrampicatori sociali più che servizio appassionato. Perché iscriversi, mi dicono. Che motivi trovo?

La manifestazione di Roma indica che i motivi ci sarebbero. Ma bisogna essere conseguenti. Non vorrei che ora per qualche mese ci consoliamo con quella bella piazza e nulla facciamo per meritarsela.

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2 commenti

  1. Giuseppe Zamarin
    1 ottobre 2018

    Ho letto con piacere e condivido, Paolo, quanto hai scritto. La piazza ieri ha detto che il PD c’è, che vuole essere unito, che vuole onestà e coerenza non solo nei confronti degli altri partiti ma in primis nei confronti di tutti i rappresentanti del PD, a qualunque livello… e infine che realmente dobbiamo comunicare di più e meglio con la gente. Grazie. Giuseppe Zamarin


  2. Paolo
    7 ottobre 2018

    Grazie Giuseppe, leggo solo ora, osservazioni semplici ma esatte. Leggi ciò che ho scritto oggi sulle vicende veronesi


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