Quando l’opposizione da fastidio

Pubblicato il 30 ottobre 2018, da Politica Italiana

Ci sarebbero argomenti importanti da commentare: dai dati del PIL diffusi dall’Istat che segnalano purtroppo una economia italiana pressoché ferma e l’assoluta inattendibilità delle cifre della manovra economica del Governo, le crescenti differenze di visione tra Lega e M5S, nella visione delle opere infrastrutturali necessarie o anche in materia economica. L’unico cemento che appare, robusto, è quello del potere, della spartizione di incarichi, ecc.

Mi soffermo invece su un aspetto secondario ma significativo: l’espulsione dei consiglieri del Partito Democratico dalla riunione del Consiglio Comunale di Torino, che discuteva una mozione contro la TAV. Il presidente del Consiglio, un grillino, ha deciso l’espulsione dei consiglieri della maggiore forza di opposizione, compreso quel noto rivoluzionario che corrisponde al nome di Piero Fassino, già sindaco, un uomo che per fargli dire una parola sopra le righe bisogna che succeda una mezza rivoluzione.

Emerge ancora una volta in una parte consistente del personale politico grillino questa idea autoritaria e faziosa nella gestione delle istituzioni: non ci si confronta, non si usa l’arma della conciliazione, non si ascolta. Si rimuove l’avversario come se le istituzioni fossero diventate cosa propria.

Penso alla storia del Consiglio Comunale di Padova. Non sono mancati scontri durissimi, posizioni della minoranza discutibili dal punto di vista del regolamento del Consiglio comunale, tentativi di ostruzionismo per bloccare l’ordinario funzionamento del Consiglio. Mai nessun Sindaco (quando era lui a presiedere con la vecchia normativa) o presidente del Consiglio Comunale ha espulso un consigliere. Ci sono tanti altri strumenti da usare, e li ho abbondantemente usati quando sono stato Sindaco a Padova. Si sospende la seduta, si concorda con l’opposizione una procedura diversa se offre argomenti fondati per sostenere una lesione dei propri diritti, si rinvia l’argomento ad altra seduta, si convocano i capigruppo, ecc. A maggior ragione se il presidente del Consiglio Comunale non è più il sindaco ma una figura terza rispetto alla Giunta.

A Padova, che pure ha visto alternarsi diverse maggioranze politiche, non è mai successo. Anzi, è successo una volta sola. Quando nel 1980 il Sindaco Luigi Merlin chiamò la polizia per far sgombrare l’Aula. Non dai consiglieri però, ma da un gruppo di inurbani manifestanti che impedivano il funzionamento del Consiglio. Era un periodo di grandi tensioni politiche e sociali: c’erano stati attentati e” gambizzazioni” di docenti e uomini politici, c’era stata la retata del 7 aprile 1979. E tuttavia gli costò caro il provvedimento, perché fu uno degli argomenti usati per costringerlo alle dimissioni ed eleggere un nuovo sindaco, tornava a farlo Ettore Bentsik.

Le istituzioni non erano cose proprie, ma cose “prestate”. Ed erano comunque la casa di tutti. Ma si capisce: c’è una crescente crisi di nervi del M5S, alle prove dei fallimenti amministrativi a Roma (in presenza di una pessima eredità, ma il tempo è passato), a Torino, dove la città è ferma avendo invece ricevuto una ottima eredità. Di fronte alle difficoltà di governo, in cui l’infantilismo politico di Di Maio non riesce a reggere di fronte all’attivismo della Lega e si dimostra giorno per giorno quello che abbiamo sempre detto: che il “contratto” era una pure finzione, per nascondere un accordo esclusivamente di potere.

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