Fine dell’autonomia, il becchino è Salvini

Pubblicato il 3 aprile 2019, da Politica Italiana

Scrive Giannini su Repubblica: “Dal primo giugno 2018 il governo giallo-verde ha litigato con chiunque, nazioni e istituzioni. Dall’America alla Francia, dalla Ue alla Bce, da Fitch a S&P. E poi Bankitalia, Confindustria, Istat, Inps, Ufficio parlamentare di Bilancio. Non c’è Stato estero o organo di garanzia che non sia stato apostrofato dai tribuni lega-stellati con i due assiomi fondamentali del populismo contemporaneo: “non sono affari vostri” e “fatevi eleggere e ne riparliamo”.

Per loro naturalmente Repubblica è il giornale dei gufi. E se l’OCSE non con ragionamenti politici ma con dati alla mano e compiendo il proprio dovere (per cui è pagato anche dallo Stato italiano) dice che l’economia italiana è ferma ed invita il governo a trarne le conseguenze gli si risponde che si facciano i fatti loro: che sono esattamente questi, perchè anche per questo esiste l’OCSE.

I fatti nostri sono i pericoli per la crescita e l’occupazione. E le riforme necessarie di cui non si vede traccia. Avete sentito più parlare di autonomia? Quella cosa per cui Zaia si gloriò di un referendum da cui sarebbe derivata un’autentica rivoluzione, immediata e portatrice di benefici effetti? Con un governo finalmente sensibile alle esigenze del Nord? Doveva senza fallo realizzarsi entro il 15 gennaio. Il 15 gennaio è diventato il 15 febbraio e siamo in aprile e degli impegni si è perso ogni traccia, o meglio anche questo argomento è andato nel calderone del battibecco quotidiano tra i due partiti contraenti dell’ormai inutile contratto. Fittizio era fin dall’inizio e fittizio si è confermato.

Autonomia? Fuori dall’agenda, si aspetterà le europee. Il sottosegretario Giorgetti (uno dei pochi esponenti del governo che fa la propria parte pro maggioranza ma tende a usare il meno possibile le bugie) riconosce: “Autonomia? Siamo all’impasse non si va né avanti né indietro”.

Filiberto Zovico scriveva su Venezie Post il 14 febbraio: “Di tutte le promesse fatte con il Referendum, dalle 23 materie ai 9/10 delle tasse, non ne sarà mantenuta una. Qualsiasi cosa scriveranno con l’inchiostro simpatico questa sera in Consiglio dei Ministri, riguarderà un’autonomia solo virtuale. Mentre i danni che questo governo sta facendo al mondo delle imprese, dal blocco della Tav al decreto dignità, dalla rissa con la Francia al reddito di cittadinanza sono purtroppo, assai drammaticamente, reali.” Solo che in quel CdM non fu scritto assolutamente nulla, neppure con l’inchiostro simpatico.

Il presidente della Camera Fico ha detto a Vicenza:«quello dell’autonomia è un tema talmente importante che il Parlamento deve essere assolutamente centrale». Quindi «non c’è niente che non passerà attraverso un iter parlamentare forte, importante, strutturato, sostanziale». Un modo forbito per dire che quello dell’autonomia non è un tema nell’agenda politica di questo governo.

Sicchè l’ultimo ed unico accordo esistente tra Governo e autonomie regionali resta quello sottoscritto con il sottosegretario Bressa, imperante il governo Gentiloni, poi più niente. Perché? Perché la materia è di enorme complessità tecnico finanziaria, perché hai chiesto l’impossibile, non per una non volontà politica, ma perché tecnicamente erano cose che non stavano in piedi. Perché i miracoli non esistono: se tu chiedi di più ci sarà qualcheduno che riceve di meno e quello strilla e se ha i voti blocca tutto.

E perché se tu rivendichi senza preoccuparti della tenuta generale del paese ci saranno necessariamente delle reazioni, che devi prevedere, prevenire e gestire se vuoi i fatti e non la propaganda. Invece le presuntuose affermazioni di Zaia e contorno sono servite solo a far arretrare tutto il dibattito sulle autonomie a trent’anni fa, con la contrapposizione tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, quando il tema vero è il valore delle autonomie, la capacità dei territori di esprimere politiche efficaci, una gestione più oculata della spesa. Uscendo anche dall’assioma che per forza le regioni siano più efficienti dello stato. Talvolta sì, talvolta no, dipende. Siamo tornati al punto che si fa l’autonomia si perdono i voti al sud. E per questo non è stato fatto mai niente e dunque non si farà: figurarsi in un quadro in cui i 5 stelle ormai i voti li prendono al sud e Salvini lì si è espanso e non vuole scontentare le nuove clientele.

Fine. Lo capisce l’elettorato? E il PD riesce a spiegarlo, dopo il Sì critico?

 

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