Conte Giuseppe, non Antonio

Pubblicato il 4 giugno 2019, da In primo piano

W Mattarella, per forza. Di coloro che hanno rappresentanza istituzionale sembra uno dei pochi che abbia responsabilità, decoro, senso dello Stato. E le sue parole sono scevre da retorica per due motivi: perché usa parole semplici e comprensibili, perché sono credibili perché corrispondono ai comportamenti.

Se dice che la democrazia ha bisogno di coesione in modo conseguente pratica le sue alte funzioni. E’ evidente che condivide poco di stile e contenuto di questo governo, e tuttavia sempre ha lavorato nel confine stretto delle sue prerogative, per fare emergere l’interesse collettivo.

Perfino in occasione della festa della Repubblica si nota la differenza: un messaggio asciutto e forte, sui fondamentali dei valori repubblicani, da parte di Mattarella, un uso politico e divisivo da parte dei protagonisti della precaria maggioranza giallo verde.

E’ un campionario miserevole. Il Presidente della Camera che usa l’occasione per provocare Salvini e con la stessa fava prendere il piccione di Maio: il Presidente della Repubblica parla dei valori dell’inclusione e Fico parla di migranti e rom, per vedere l’effetto che fa. Salvini, vicepresidente del consiglio e Ministro degli Interni confonde la Festa della Repubblica (2 giugno) con il 4 Novembre, Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, ma tutto fa brodo. La Meloni rinuncia a partecipare alla sfilata (sai che gesto coraggioso!) per inseguire un paio di generali in pensione, in crisi di astinenza di potere e di pensione d’oro. Un bel panorama. Lancia l’idea (sai che novità) dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, naturalmente al di fuori di un coerente disegno di riforma costituzionale. Solo per dire qualcosa.

Crisi di valori repubblicani, crisi di idee forti e lungimiranti. Anche in occasione di una festività civile importante (rilanciata da Carlo Azeglio Ciampi), non si propongono al paese obiettivi ambiziosi ma una rissa da pollaio, tutta interna alla maggioranza. E tuttavia gli elettori si sono appena espressi. Falcidiando i pentastellati, che fanno finta di niente, con una farsa/plebiscito: 40.000 sì in rete, senza controllo e trasparenza contro 6 milioni di no nelle urne vere. Illudendosi sul salvatore Salvini: legge, ordine, Dio, patria e famiglia. A parole.

Ed il povero Conte? Sempre più patetico spettatore fino ad oggi. Al massimo oggetto della irrisione per il confronto con l’auspicato risanatore nerazzurro Antonio. Però ascoltandolo nella conferenza stampa devo dire che non è stato un intervento banale. Da un lato per la verità sentendolo parlare andavo ai tempi della mia giovinezza, sembrava l’elenco delle cose da fare di un governo Andreotti dei tempi d’oro: un lungo elenco delle riforme da fare, senza mai definirne i contenuti, la riforma per una giustizia più veloce, la semplificazione, la riforma del fisco, ecc. ecc. Ogni volta facendo finta che sia la prima volta che se ne parla…

Però è stato chiaro nell’indicare i limiti gravi dei due leader politici che fin qui lo hanno condizionato, la mancanza di visione, lo schiacciamento sulle esigenze del consenso immediato, della propaganda senza respiro, la mancanza di rispetto per le esigenze del paese, la sua rappresentazione verso l’esterno. “Il mio motto è sobri nelle parole e operosi nelle azioni. Ma se continuiamo nelle provocazioni per mezzo di veline quotidiane, nelle freddure a mezzo social, non possiamo lavorare. I perenni costanti conflitti comunicativi pregiudicano la concentrazione sul lavoro”. Giusto, solo che fin qui il governo è stato questo. E ci sono voluti 6 milioni di voti persi dai grillini per accorgersene.

Comunque questa è la parte onesta del discorso, mettendo sul piatto anche la fine del governo. Non si può dire che non abbia posto con chiarezza le questioni sul tappeto quanto al metodo del governo. Naturalmente avrebbe dovuto dirle in Parlamento, sottoponendosi ad un dibattito pubblico. Perché questo sarebbe il percorso costituzionalmente corretto. E i due rimproverati hanno risposto, con un po’ di ipocrisia, che in realtà vogliono continuare come prima ad insultarsi. Vedremo che succederà.

 

 

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