E il PD?

Pubblicato il 11 giugno 2019, da Pd e dintorni

Luci ed ombre. Il PD è vivo ma non è proprio che la salute sia ottima. Discreto risultato alle Europee, enfatizzato dal crollo dei pentastellati. Un generale arretramento alle amministrative, un rattrappirsi nei territori. Risultati importanti, talvolta insperati come a Rovigo, tuttavia l’aritmetica è alquanto impietosa. I comuni capoluogo amministrati dal centro sinistra erano 18 e si sono ridotti a 13, con la perdita di capoluoghi “storici” come Forlì, Ferrara e Pescara (con la riconquista di Livorno e la vittoria a Rovigo), nel complesso dei comuni superiori a 15.000 abitanti il centrosinistra passa da 146 comuni a 101, anche se qui c’è una quota maggiore di liste civiche di varia natura.

In linea di principio il buon governo premia, anche quando il vento politico soffia contro. Per buon governo si intende non solo l’efficienza amministrativa ma anche la conoscenza del territorio, la sua interpretazione, i legami vitali con la società, una mancanza di arroganza del potere. Almeno l’elettore progressista queste le considera qualità per le quali vale la pena di sostenere il proprio sindaco, anche se non avrà risolto tutto. Penalizza una eccessiva continuità del potere, la chiusura, la pretesa dell’autosufficienza.

Vorrei però guardare ai dati strutturali, perché poco cambia un comune in più o in meno o un punto percentuale di differenza. Il PD aveva l’ambizione (giusta, sbagliata?) di essere un partito a vocazione maggioritaria, ora fatica ad avvicinarsi al 25% e, in aggiunta, difficile costruire alleanze, perché al centro ed alla sua sinistra sono evaporati possibili alleati.

E’ passato un quarto di secolo (!!!) dall’intuizione dell’Ulivo: quella fu una vera discontinuità, l’immaginazione di uno schema diverso nella politica italiana, la risposta alla “discesa in campo” di Berlusconi, con un giusto mix di innovazione e di utilizzo dei materiali migliori della prima repubblica. Anche se, ricordiamolo sempre, le vittorie dell’Ulivo furono sempre vittorie risicate: la prima con la desistenza di rifondazione, la seconda con il voto decisivo degli italiani all’estero, e poi i Governi Letta/Renzi/Gentiloni con il sostegno di transfughi del centrodestra. E anche il PD ha compiuto i dieci anni, e sono molti perché nel frattempo è completamento cambiato il panorama politico: l’entrata impetuosa (fino a quando?) dei grillini, l’evaporazione di Forza Italia, la trasformazione della lega da partito di sindacato del territorio a partito nazionalista e sovranista, dominato al sud da spezzoni di vecchio ceto politico meridionale.

Non si può continuare a vivere di quelle eredità. Anche perché le eredità sono state mal amministrate e disperse. L’illusione della rottamazione ha portato ad un impoverimento delle classi dirigenti: allontanati gli sperimentati (a volte a ragione, a volte a torto) è difficile dire che si sia affacciato un nuovo e diffuso gruppo dirigente, al centro e nei territori. Al centro l’unica leadership emersa è stata quella di Renzi, del suo cerchio magico perso il potere nulla è restato, ora si affaccia positivamente Calenda. Nei territori sopravvivono i sindaci dove riescono, più senza il PD che con il PD. Per quel che vedo nel Veneto il patrimonio di presenze territoriali costituiti da circoli, eredi anche delle presenze dei partiti preesistenti, è dilapidato e mi sembra che nessuno dei dirigenti si preoccupi di questo.

La parola rifondazione evoca brutti ricordi, usiamo l’espressione rigenerazione, ma comunque occorre una vera discontinuità di pensiero soprattutto: chi è il PD, quali interessi vuole rappresentare, quale società ha in mente, quali speranze vuole suscitare. A me sembra che questo lavoro sia del tutto abbandonato, al centro come in periferia. Prima con l’illusione che il dinamismo e la freschezza di Renzi coprissero tutto, poi con una lunga elaborazione del lutto, tutta interna, senza una seria riflessione sui motivi della sconfitta e su una interpretazione delle nuove domande elettorali.

Sarebbe ora di darsi una mossa. Il campo su cui lavorare non è tanto quello degli elettori delusi di altri partiti. Lo dimostrano anche le analisi sui flussi elettorali, il PD poco ha assorbito dalla grande crisi del Movimento 5 stelle. Il campo è quello molto largo dell’elettore astensionista: una parte per motivi ideologici e rancorosi, e lì non c’è molto da fare, una parte importante è costituita però da elettori che non trovano nell’attuale offerta politica motivi di adesione.

Semplifico un po’: c’è una sinistra dei valori non troppo soddisfatta delle esperienze di governo locale e centrale del PD, forse troppo responsabili e continuiste, c’è un ambientalismo, quello positivo delle sostenibilità e dei cicli produttivi virtuosi, che non ha alcuna rappresentanza (verdi italiani spariti a fronte di successi travolgenti in altri paesi), c’è un mondo cattolico, sia pur più marginale del passato, molto disorientato, quello che non si riconosce nel neo clericalismo di Salvini ma neppure nelle battaglie minoritarie di cui rumorosi esponenti del PD si sono fatto interpreti…Un grande campo da coltivare, con un po’ di dedizione ed ottimismo.

In questi giorni si è svolto in tutta Italia il Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso dall’Asvis fondata dal prof. Enrico Giovannini, già presidente dell’ISTAT e Ministro nei nostri governi. Anche nel Veneto ci sono stati appuntamenti interessanti, coordinati da Giorgio Santini. Secondo me lì ci sono le idee giuste, il tema della sostenibilità (sociale, ambientale, economica) come centro di una nuova progettazione del futuro: realistica ma coraggiosa ed innovativa. Ci sono intelligenze, personalità, saperi da mettere a frutto. Non occorre inventare niente, si tratta di trasformare ciò che c’è in progetto politico.

Ma interessa davvero al PD? Rischiare, rompere vecchie cordate ormai esangui, dissodare il territorio fuori dagli angusti (sempre più angusti) confini dei partiti che furono? Siccome non c’è alternativa confido che almeno i migliori prendano il coraggio a due mani. La sopravvivenza da sola non serve a nulla. Forse a prolungare qualche carriera personale e nulla di più. Ambizione modesta se non miserevole.

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