C’è Matteo Renzi e c’è stato Aldo Moro

Pubblicato il 19 settembre 2019, da Pd e dintorni

Ho messo su Facebook un post con un primissimo breve commento sulla scissione di Renzi che qui riporto:

“Semplifico. Sarà che sono un po’ all’antica. prima della politica viene l’etica. Chi è stato per 5 anni segretario nazionale di un partito e grazie a questo ha fatto a lungo il Presidente del Consiglio ha il dovere di non fare una scissione. Poi viene la politica: e la politica dice che siamo in presenza di una operazione di puro potere: come contare di più. Il super-ego suo e di suoi amici cresciuti alla logica del giglio magico non sa contenersi”

Molti hanno condiviso, altri hanno criticato, come è normale. Poi ci sono i commenti del tipo: “per fortuna se ne è andato” oppure al contrario “con tutto quello che gli hanno fatto è stato costretto ad uscire”, ecc.

Quando c’è un divorzio in politica non è diverso dei fatti della vita. Ed è inutile andare a ricercare le responsabilità, come si dice: la colpa è mia, la colpa è tua, la colpa del can…Ognuno sarà convinto delle proprie ragioni. Certo mi sembra una lamentela adolescenziale quella di Renzi “ero un intruso”. Detto da uno che ha governato il PD per cinque anni con piglio padronale. Oppure “I parlamentari li ho lasciati tutti a Zingaretti” che tornando al paragone del divorzio sembra il marito che rivendica “ti ho lasciato il servizio di piatti della nonna”. I parlamentari come oggetti. Insinuando anche il sospetto che alcuni restano per far la quinta colonna dentro il PD.

Nel 2009 Francesco Rutelli uscì dal PD per fondare l’Alleanza per l’Italia. Mi propose di passare con lui, in virtù di un vecchio rapporto di stima, proponendomi di fare il capogruppo al Senato. Gli risposi che non potevo accettare: perché non condividevo il progetto politico (ed infatti, a proposito di voti al centro la cosa fallì miseramente) e perché avendo l’onore di essere stato il segretario regionale del PD veneto non potevo aderire ad un progetto contro quel partito.

Veniamo al fatto politico. Renzi lascia il PD come aveva fatto capire da tempo ma come al solito si presenta immune da ogni colpa e responsabilità. Perché questa scissione certifica che è fallita l’idea originaria per cui il partito era nato e che qui ricordavo qualche tempo fa: unire le culture politiche italiane nel fronte progressista e rigenerarle in una politica nuova.

Colpa solo di Renzi? Evidentemente no, ma uno che ha retto la guida del partito per cinque anni non può non sentirsi responsabile pro quota di questo fallimento. In particolare di avere con la retorica della rottamazione destrutturato quello che c’era senza essere riuscito a costruire il nuovo che era necessario. Non è un innocente che scende in campo, come è stato in Francia Macron, è un leader che ha avuto molte occasioni che non ha saputo cogliere, perché a parte l’esplosione drogata del 40% poi la sua conduzione è stata una storia di sconfitte: elettorali e politiche.

C’è un autentico spazio politico? I sondaggi direbbero di no, ma naturalmente le campagne elettorali bisogna farle. Anche i precedenti direbbero di no. Anche i fondatori di LEU pensavano non a torto che ci fossero tanti elettori senza rappresentanza a sinistra, ma hanno raccolto quasi niente. Qui è un po’ diverso, perché al posto di tanti mini leader c’è un leader padrone solitario della costruzione politica, con indubbie capacità affabulatorie. Vedremo.

Può darsi che oggi la politica richieda leader così: padroni assoluti (capitani?), che non accettano il dibattito interno, che non sopportano la dialettica, che se non comandano se ne escono e cercano un altro giocattolo. A me la politica così non piace: che si possa passare dai popcorn per stare a vedere il disastro del governo giallo verde a rivendicare il proprio merito nella formazione del nuovo governo, da una legge ipermaggioritaria, imposta con tanti dissensi dentro il PD al culto del proporzionale, ecc. E sono d’accordo con Beppe Sala: “Lo dico con rispetto per Matteo, ma credo che faccia molta fatica a stare in una comunità collaborativa, preferendo invece un sistema che risponda pienamente a lui”.

Dice Renzi: “andiamo a prenderci il futuro”. Retorica futurista, ma ci vorrebbe qualche contenuto. E allora parlando della lotta per lo spazio politico al centro (ammesso che ci sia in tempo di radicalizzazioni) diciamo che può rappresentare più il futuro Calenda, che se ne è uscito su un punto politico senza tanti tatticismi. E che non ha alle spalle una ormai lunga vita politica, cinque anni di presidente della provincia, cinque di sindaco, cinque di segretario nazionale, due da presidente del consiglio…

Mi rifugio nella storia, che qualcosa insegna sempre pur tenendo conto delle profonde differenze. Un grande della politica italiana come Aldo Moro si trovò alla fine del 1968 completamente emarginato dalla vita politica della DC da un accordo di potere tra la corrente dorotea ed altri correnti minori. Moro dette un giudizio durissimo su questa vicenda. Mentre aveva invitato a comprendere che “tempi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai…nel profondo è una nuova umanità che vuol farsi” constatava che” tutto è stato concordato, segretamente, non so quando, ad opera di chi in ristretti vertici di partito”. Al contrario dice Moro “occorreva aprire finalmente le finestre di questo castello nel quale vi siete arroccati e far entrare il vento che soffia nella vita attorno a noi”. Eppure di fronte a quella che Moro definisce “una segreta intesa sopraffattrice” Moro decide di restare nel partito.

Inizia a combattere una battaglia politica, organizzando per la prima volta una piccola corrente, partendo da un discorso nel suo collegio elettorale, in cui spiega le ragioni della sua scelta. Pensa a ragione che contano le tessere nella vita di un partito, i parlamentari, ecc. Ma conta anche la capacità di una influenza culturale, di una testimonianza di idee e di valori. E difatti Moro ritorna su questa base centrale nella vita politica italiana, immaginando il futuro possibile (non con gli slogan prendiamoci il futuro) fino al sacrificio della vita.

Altri tempi si dirà. Robe da gufi e rosiconi. Resta il fatto che i grandi leader pensano ponderatamente al futuro e non cambiamo giocattolo perché non si sentono più proprietari o perché qualcheduno ha fatto un dispetto. Poi cerco di vedere il positivo. Mi auguro che sulla base anche di questa sollecitazione che diventerà contesa elettorale il PD sappia costruirsi una immagine più attrattiva ed emozionante! E spero che a questo punto non siano mal fondate le speranze di Renzi di andare a prendersi i voti dispersi di Forza Italia

 

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2 commenti

  1. Enrico
    19 settembre 2019

    Sen. Giaretta prima di dire se Renzi ha fatto bene o male ad uscire dal pd mi dice,per cortesia,se lei è soddisfatto di questo Pd?
    Io sono uscito dal pd mesi fa per amarezza nel vedere un partito chiuso nelle sue stanze nel solo
    tentativo di salvare qualche posticino di potere ,almeno qui in Veneto, invece di cercare di rivalutare la politica con programmi di maggior coinvolgimento della gente.Renzi nella sua gestione da segretario del Pd di errori ne ha fatti ,il suo carattere non ha aiutato,ma ha portato una ventata di cambiamento e per questo,secondo me , è stato molto osteggiato da tutti, se il referendum fosse andato diversamente oggi la situazione sarebbe molto diversa
    Oggi vedo con piacere questo nuovo soggetto politico .mi auguro che valuti gli errori fatti e trasmetta
    la voglia di partecipazione alla politica


  2. Paolo
    20 settembre 2019

    Caro Enrico, non sono certamente soddisfatto della attuale situazione del PD. Ma la attuale situazione è figlia dei cinque anni di segreteria nazionale di renzi, che è stato un buon presidente del consiglio ma a mio avviso un pessimo segretario: il partito non è stato più coltivato, ha pensato che bastasse lui da solo, niente formazione, niente selezione per qualità del personale politico, ecc. E anche nel Veneto Renzi ha consentito che per un anno mancasse il segretario regionale, poi ha consentito che ci fosse il veto a segretario su una persona per bene come Giorgio Santini…Sì, il referendum sarebbe potuto passare, ma anche lì Renzi prima ha fatto l’errore di rompere le intese sul presidente della repubblica con Berlusconi che erano le premesse per votare insieme le riforme e poi ha personalizzato la campagna facilitando il convergere sul no di tutti gli oppositori. Dubito che lui possa essere il nuovo ma naturalmente posso sbagliare


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