Le parole di Greta e l’afonia della politica

Pubblicato il 30 settembre 2019, da Nel Mondo

Confesso di essere tra quelli che non riescono spontaneamente ad entusiasmarsi per l’eccesso di mielosa retorica e di ipocrisia che accompagna la vicenda pubblica di Greta Thumberg. Può servire alla cattiva coscienza dei potenti che se la cavano inchinandosi alla volitiva sedicenne ricevendola nei palazzi del potere ed anche alla coscienza di noi semplici cittadini perché in fondo ci dice che la colpa è appunto dei potenti.

“Avete rubato i miei sogni” è una accusa un po’ azzardata. I sogni non ce li ruba nessuno, sta a noi non perdere la volontà di realizzarli. Certo se il sogno è di vedere il mondo come piace ad ognuno di noi è un sogno grandioso, ma potrebbe anche non tener conto dei sogni degli altri. Ad esempio il sogno di una sedicenne di buona famiglia nella ricca Europa può essere diverso dal sogno di una sedicenne nelle megalopoli dell’Asia, dell’Africa o dell’America latina.

Naturalmente sono ancora più insopportabili le volgarità degli odiatori di tastiera. Figuriamoci, una ragazzina un po’ saccente, pure malata, con una forma di autismo. Giù gli insulti, i giochi sul nome, sull’aspetto fisico, senza rispetto e senza voglia di confrontarsi con il messaggio che sta dietro quella ragazzina. Che torni a scuola, detto magari di chi sui banchi di scuola non si è fatto troppo onore (Matteo Salvini: dodici anni fuori corso e niente laurea). Meglio non essere disturbati. Nella lettura domenicale il profeta Amos ammonisce: “guai agli spensierati di Sion…Canterellano al suono dell’arpa …ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano”. Qui siamo difronte a qualcosa di peggio: spensierati ed odiatori per sentirsi rassicurati, che della rovina del mondo non si preoccupano, che invece di cantarellare si sfogano sulla tastiera.

Dunque: se la parola un po’ superficiale di una ragazza di sedici anni è capace di smuovere passioni, interrogativi sul futuro, mobilitazione da parte di una generazione che spesso è stata accusata di disinteresse della scena pubblica e di apatia verso il futuro vuol dire una cosa: che i potenti hanno perso la forza della parola, sono diventati afoni. E appena si leva una parola capace di muovere una passione qualcosa succede. È uno degli aspetti positivi della rete, della potenza dei social: possono passare anche le parole buone, senza avere un potere alle spalle.

Il secondo aspetto è che una generazione di giovanissimi si affaccia all’impegno civico. Senza avere alle spalle l’eredità di ideologie del passato, ma con una “ideologia” per il futuro. Una lettura del mondo che può anche essere discussa ma che esprime una passione civica, quel “I care” che ricordava Don Lorenzo Milani come la caratteristica della generazione americana alla fine degli anni ’60. L’immagine più bella è quella del bambino Potito che da solo manifesta con il suo disegno. Ci dice proprio I care, mi sta a cuore.

Il tutto si realizza attraverso una partecipazione responsabile e non violenta. Che prende in contropiede i partiti: l’Italia non è tutta quella che racconta Salvini e neppure quella di una sinistra ferma alla lettura degli anni d’oro della socialdemocrazia. È una nuova domanda politica e culturale che si affaccia sulla scena pubblica. Invece di puntare il dito su incoerenze sempre presenti o utopie difficilmente realizzabili, o di accontentarsi di una foto opportunity del politico di turno insieme alla popolare ragazzina, alla politica è assegnato il compito di raccogliere questi sogni e tradurli in azione appunto politica.

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