La Spagna insegna, se si vuole

Pubblicato il 11 novembre 2019, da Nel Mondo

Guardare a ciò che succede politicamente in altre nazioni è sempre istruttivo. Quelli più lontani ad esempio come Cile e Bolivia, in cui ritorna il rischio di interventi militari o quelli più vicini a noi, come la Spagna.

Le elezioni spagnole in cui c’è chi vince ma nessuno vince veramente sono ricche di insegnamenti.

Siamo alle quarte elezioni in quattro anni. Anche questa volta non esce una maggioranza politica chiara. Ricordo quando nei dibattiti parlamentari sulle riforme elettorali si portava ad esempio il sistema spagnolo come esempio di un modello elettorale efficiente. Col cavolo. Troppo ci si è affidati in questi ultimi anni all’illusione che sia il modello elettorale a dare le maggioranze democratiche, con una forte manipolazione del voto in direzione maggioritaria. Ma senza consenso popolare, senza poi partiti che diano una direzione di marcia, una solidità di posizionamento politico, tutto diventa fragile. Ed è un problema grave, perché se i processi democratici non hanno un rendimento elevato in termini idi efficienza e di capacità decisionale la tentazione di intraprendere la strada autoritaria è evidente

La Spagna è stata sotto il tallone di una dittatura sanguinaria tra il 1939 e il 1975, anno in cui muore il dittatore Francisco Franco, erogando fino agli ultimi mesi di vita pene di morte con la garrota. Poi una lunga eredità franchista, una transizione fino al ritorno pieno alla vita democratica con il leader socialista Felipe Gonzalez nel 1982. La storia non si può ignorare, lascia sempre tracce profonde. L’irresponsabile nazionalismo catalano, con coperture a sinistra, con una tolleranza per atti violenti non poteva che far risorgere un nazionalismo spagnolo, capace di riesumare i fantasmi del franchismo, “Espana una grande y libre” era il grido che il franchismo faceva echeggiare nelle piazze. Che poi sotto il franchismo la Spagna non fosse né grande né libera era nascosto dalla propaganda e dalla repressione…Su questa eredità emotiva si impianta il successo di Vox, nazionalismo richiama nazionalismo.

A sinistra troppi hanno rimosso questa storia. I rischi e le conseguenze del benaltrismo. L’illusione di un paese diverso da quello che realmente è. Prima il tracollo di un popolarismo travolto dagli scandali e dalla mancanza di leader autorevoli. E chi si ricorda di Zapatero, vincitore per caso delle seconde elezioni dopo la strage di Atocha, che pensava che la Spagna potesse essere governata con il radicalismo? E la grave responsabilità di Podemos, che non ha colto con realismo la possibilità di fare un governo progressista, fermo su posizioni di un astratto ideologismo, che ha strizzato l’occhio al secessionismo catalano lasciando solo il Partito Socialista? Non avendo voluto fare un governo quando i socialisti e Podemos erano sufficientemente forti sarà costretto a farlo oggi in condizioni di maggiore debolezza, e avendo favorito il rafforzamento di un partito di destra estrema: nel giro di un anno Vox diventa il terzo partito raddoppiando i seggi. Invece Podemos scende in tre anni dal 21,1 al 12,8%. Lo stesso si potrebbe dire di Ciudadanos, con le sue illusioni centriste e le ambizioni di un leader giovane e bello, che tuttavia perde in un anno da 57 a 10 seggi, dimezzando i voti.

Ci molte analogie con l’Italia, tra Vox e Salvini, tra i Socialisti del PSOE e il PD, tra Podemos ed in parte il Movimento 5 Stelle. Diversa è la storia per Popolari spagnoli e Forza Italia. Appartengono alla stessa famiglia europea ma in Spagna i popolari sono un vero partito, ha preso l’eredità migliore della tecnocrazia che ha accompagnato la transizione post franchista, non ha trescato con il nazionalismo catalano e neppure con Vox, conserva una sua forza, aumentando i voti in queste ultime elezioni. Speriamo che i leader italiani, specialmente Di Maio e Renzi qualcosa imparino da queste elezioni.

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