Rigenerare il PD?

Pubblicato il 14 gennaio 2020, da Pd e dintorni

Condivido il tema posto da Zingaretti. È cambiato molto da quando è nato il PD. Bisogna ridefinirne ruolo, obiettivi, a chi si rivolge.

Con il sen. Giorgio Santini nel lontano 2015 avevamo parlato a Praglia della necessità di rigenerare il PD. Riformare il paese, rigenerare il PD si intitolava il convegno. Con tanta gente presente, interessata a partecipare e a capire. Infastidimmo i maggiorenti di allora. Non bisognava disturbare la narrazione di un partito che poteva tranquillamente affidarsi alla leadership vincente di Matteo Renzi. Ci ritirammo in buon ordine (sbagliando) per non dare disturbo. E ora il Pd veneto si appresta alle elezioni regionali senza idee chiare, subendo sostanzialmente l’iniziativa di altri. Però non è mai troppo tardi, anzi bisogna non sfiduciarsi.

Cambiare nome? Mi sembra l’ultimo dei problemi. Partito democratico è un bel nome. Si è parte per forza, perché la democrazia richiede “partiti”. E dopo le esperienze del Movimento 5 stelle ci sarà un ritorno verso l’idea di partiti comunità, che offrono strumenti di partecipazione, visioni condivise, luoghi di confronto. In cui l’uso intelligente dei nuovi social non sia la base per il dominio di un grande fratello o la coltivazione dei rancori ma il potenziamento degli strumenti partecipativi. Almeno ci sarà questa domanda in fasce importanti della popolazione, l’esperienza delle sardine insegna. C’è bisogno di partiti, cioè di comunità di lavoro e di una idea forte di democrazia. Perché cambiare nome? Tanto quelli siamo e se si dovesse cambiare nome per consentire il rientro di chi se ne è uscito allora sarebbe ancora più sbagliato. Io sono favorevole al ritorno di Bersani e compagni, ma non serve cambiare nome. Semmai dopo che la casa rinnovata è stata costruita…

Solo che per cambiare molto o tutto come fa intravedere l’intervista di Zingaretti non ci vuole solo un grande coraggio, ci vogliono uomini ed idee. Per il momento non è che si sia visto molto, stretti come siamo dall’emergenza costante di un governo che non riesce a trovare, nonostante le nostre insistenze, una solida base politica. Le iniziative positive non sono mancate come l’assise di Bologna, però un po’ scarsi sono stati i risultati in termini di capacità di attrazione per l’opinione pubblica e di individuazione di alcune idee forti.

Dunque occorre che alle affermazioni seguano fatti robusti. Gettiamo il cuore oltre l’ostacolo e facciamo lo scenario che il buon governo di Bonaccini vinca in Emilia Romagna. Una iniezione di fiducia necessaria, anche per l’agenda di governo e per le prospettive per il PD.

Un modello nuovo di partito, più aperto alla società? Sì, solo che sono parole un po’ usurate. Avendo il difetto dell’età e di una esperienza lunga nel territorio della politica ricordo tanti nuovi inizi. Quando ancora c’era il Pds si parlava della “Cosa” come necessaria evoluzione della ditta. Solo che restava allora un istinto egemonico del vecchio gruppo dirigente del partito che ha impedito la germinazione di una cosa davvero nuova. Difetto da evitare in questa ripartenza.

Bisognerebbe poi che questa “rigenerazione” nascesse dai territori, non fosse figlia di un centralismo fuori dal tempo. E qui l’impresa si fa ancor più difficile, perché i territori sono stati desertificati dall’impresa renziana, periodo in cui contava solo il capo e sui territori si voleva vivere di luce riflessa. C’è un territorio da ricostruire, lo vediamo bene nel Veneto. Occorreranno scelte significative da parte del Segretario Zingaretti per individuare leadership locali un po’ affascinanti e rimuovere quelle inconcludenti

Conta saper suscitare emozioni. Vedete quanto hanno fatto le sardine con alcuni concetti semplici ma coinvolgenti. Purtroppo per il momento non è così. Ieri sui telegiornali imperversavano le dichiarazioni di Salvini: “Processano me che ho voluto difendere i confini”. Concetto bugiardo ma chiaro. Poi c’è stato un “pastone” sulla assemblea dei parlamentari PD all’abbazia di Contigliano: non si è capito un c***o. Bisogna capire che così non va bene. Si vede che le abbazie non portano bene alla sinistra. Ricordo la fallimentare assise dell’Ulivo nel 1997 all’abbazia di Gargonza

Bene, speriamo nell’ottimismo della volontà. Così penso a quel che diceva un grande vecchio come Vittorio Foa “un vecchio non deve scambiare la sua debolezza con la debolezza del mondo: se egli non è più capace di sperare altri ne sono capaci”. Spero…

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