Noi rivendicativi, gli altri concreti. Risultato: in autonomia zero assoluto

Pubblicato il 6 febbraio 2020, da Dai giornali,Veneto e Nordest

Venezie Post, 5 febbraio 2020

Su Venezie Post Gigi Copiello ha avviato un dibattito sul paradosso di uno Zaia elettoralmente fortissimo, ma debolissimo sulle soluzioni e sui problemi lasciati irrisolti, con la confinante Emilia Romagna che corre molto di più di noi. Sono intervenuto con questo articolo. Il tema dell’agenda alternativa è centrale e su questo c’è un enorme ritardo da parte del PD. Grave il ritardo nella individuazione dello sfidante, grave la mancanza dell’agenda, ed è un peccato perchè il recente lavoro fatto dal gruppo consiliare sui temi dell’ambiente, dell’economia circolare, del Veneto green dimostra quanto spazio ci sarebbe stato per un rapporto vitale con il Veneto, con le nuove generazioni, con la parte più dinamica della società e dell’economia

Se le elezioni in Emilia Romagna sono diventate un fatto nazionale, per l’incertezza del risultato ed i riflessi politici nazionali, questo non succederà per quelle in Veneto.

Niente suspence e, temo, niente confronto elettorale su ciò che potrebbe servire al Veneto per riprendere velocità nella crescita, ed una buona crescita fatta di innovazione, economia sostenibile, buoni lavori. Luca Zaia ha già detto che lui non farà campagna elettorale, non ha tempo da togliere al lavoro. Gode di un ampio consenso, non ha significativi avversari interni e lui si è attenuto alla vecchia regola che la campagna elettorale inizia il giorno dopo le elezioni. Una accurata ed efficace propaganda l’ha accompagnato per ogni giorno del suo decennale impegno di governo. Come ha ricordato Gigi Copiello schivando accuratamente temi scomodi ma decisivi per la competitività del nostro territorio.

L’opposizione appare impegnata nel poco affascinante litigio su chi debba essere il candidato perdente (che sarà comunque compensato con un posto in Consiglio regionale). Non è riuscita a fare l’unica cosa che dovrebbe fare l’opposizione politica come prerequisito per condurre una buona battaglia: costruire una agenda alternativa a quella proposta da chi governa.

Esemplare è la vicenda dell’autonomia. Zaia ha sapientemente sfruttato il sentimento autonomistico del nostro popolo. Del resto i democristiani veneti lo vollero scritto nel 1970 nello Statuto regionale: “L’autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”. Quel referendum è stato un ottimo espediente propagandistico che ha prodotto sul piano dei risultati uno zero assoluto. Pur con un governo nazionale in cui la Lega era un dominus. Ha prodotto anzi qualcosa di meno ancora di uno zero. Perché ha isolato il Veneto sul piano nazionale, anche dalle altre regioni leghiste, l’ha condotto in un vicolo cieco.

L’opposizione si è inchinata all’agenza di Zaia. Ha partorito sul referendum il singolare espediente di un sì critico. Cioè ha ragione Zaia ma non possiamo dirlo fino in fondo. Invece era l’occasione di offrire un’altra agenda. A chi vive di aperture piuttosto che di paure. A chi deve fare i conti con l’economia aperta in cui si crea la ricchezza dei veneti. Di chi ha bisogno non di chiacchiere identitarie su base etnica ma dell’efficienza dei sistemi territoriali, per la quale una sana autonomia può essere uno strumento decisivo, se la si sa organizzare e gestire, ma non è tutto.

L’ultimo rapporto della Fondazione Nord Est parla di un pentagono dello sviluppo costituito dalle regioni del Nord Est con Lombardia ed Emilia Romagna: un pentagono in cui ci sono le risorse manifatturiere, finanziarie, di ricerca e sviluppo, di competenze umane per fare massa critica nella competizione globale. In modo più suggestivo, ricorrendo ai sentimenti piuttosto che alla geometria, c’è chi ha usato il termine Lover, acronimo delle tre regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Per primo ne aveva parlato Cesare De Michelis, un veneto dallo sguardo lungo.

Chiamiamolo come vogliamo ma questo dovrebbe essere il contesto in cui ragionare.

Il punto è che dentro questa piattaforma cambiano i protagonisti, variano le velocità relative della crescita, ed il Veneto sta perdendo velocità e capacità attrattiva. C’è un dato messo in luce dalla Fondazione Nord Est che dovrebbe tormentarci, perché riguarda le risorse del futuro. Esportiamo non solo laureati verso la Lombardia (non è una novità) ma ora anche verso l’Emilia Romagna. Il sistema produttivo emiliano romagnolo sfrutta le competenze e le intelligenze formate nel Veneto. Peggio ancora: c’è un flusso crescente di studenti veneti che va a formarsi nelle università emiliane, molto di più di quelli che le nostre pur ottime università siano capaci di attrarre. Perché? Le giovani generazioni scommettono sul futuro delle città emiliane come luoghi più attrattivi e dinamici?

Per capire il perché basterebbe dare una occhiata al sistema messo in atto in Emilia Romagna sul piano della ricerca e sviluppo, in integrazione con il sistema manifatturiero. Se ne è occupato l’assessore prof. Patrizio Bianchi, del quale già le deleghe affidategli testimoniano la visione: coordinamento delle politiche europee allo sviluppo, scuola, formazione professionale, università, ricerca e lavoro. Un blocco potente di competenze per il futuro…

Qui nel Veneto siamo fermi ad una rivendicazione astratta di autonomia. Con questo paradosso: che mentre non otteniamo nulla avendo impostato la partita in modo sbagliato cediamo le competenze che già abbiamo. La Regione Veneto ha ceduto volontariamente allo Stato oltre 700 km di strade ricevute in competenza una ventina di anni fa. Restituite alla centralissima Anas. Arresi senza combattere.

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