PD: urgono coraggio e competenza

Pubblicato il 3 febbraio 2020, da Pd e dintorni

Abbiamo tirato un sospiro di sollievo dopo la vittoria in Emilia Romagna. Sappiamo le particolarissime condizioni di quella vittoria: la presenza oggettiva di un buon governo riconosciuto, testimoniato dal larghissimo uso del voto disgiunto a vantaggio di Bonaccini, una tradizione democratica rafforzata dal Movimento delle Sardine nato a Bologna, parecchi errori di campagna elettorale condotti da Salvini, in fondo gli stessi che fece Matteo Renzi nella campagna per il referendum costituzionale. Sono condizioni che non ci saranno in altre sfide elettorali.

Bonaccini sul PD ha detto: servono coraggio e competenza. Ben detto! Al PD non servono sull’onda della vittoria semplificazioni o illusioni che vi sia una inversione di tendenza nell’elettorato nazionale. Si aprono nuovi spazi, ma niente viene regalato.

Se si parla di competenza, ad esempio, è inutile fare circolare improbabili nomi di presidenti dell’Assemblea nazionale, appunto senza nessuna competenza specifica nel gestire organismi complessi in una fase di rigenerazione del partito. Inventare un nome estraneo ad una approfondita conoscenza del Pd significherebbe due cose: o che si pensa che la presidenza dell’Assemblea sia un organo decorativo o che non richieda competenze specifiche, ma in questo modo si farebbe un pessimo servizio alle personalità che dovessero accettare, perché presto sarebbero indotte alle dimissioni.

Dobbiamo convincerci che non si tratta di qualche dipintura delle facciate ma piuttosto di una e vera propria rigenerazione dei caratteri fondativi del PD. Bene il messaggio di una apertura. Ma anche qui non può essere solo uno slogan del momento. Occorre un progetto per una nuova forma partito, non certo un modo solo per far rientrare chi è uscito a sinistra o per essere accoglienti con le novità delle sardine

Non sarebbe una novità se ci si ferma alla sloganistica. Leggete cosa diceva Achille Occhetto alla Direzione nazionale del PCI dopo la svolta della Bolognina nel 1989: “si devono produrre tutte le novità che determinano una formazione politica capace di aggregare forze nuove…per aprire la strada ad una costituente, un processo in cui vi sia alla fine una cosa nuova e un nome nuovo”.

Ancora prima la DC di Zaccagnini, per reagire al cattivo risultato delle elezioni del 1975, aveva lanciato la stagione degli “esterni”, da tradursi nel coinvolgimento di intellettuali ed esponenti della società civile nella ridefinizione del ruolo della Dc, ma anche in una ampia apertura delle proprie liste parlamentari. Ad esempio a Padova nelle elezioni politiche successive furono candidati in parlamento Pietro Schiano ed Amelia Casadei, già dirigenti delle organizzazioni cattoliche diocesane, e Beniamino Brocca, presidente delle Acli. Nel campo dell’associazionismo imprenditoriale Natale Gottardo, esponente di Confindustria, e furono tutti eletti, a danno di esponenti puri di partito.

Non bastò. Fu con l’Ulivo e poi con il PD che si aprivano strade nuove, con il tentativo di immaginare forme nuove di partecipazione politica ed un pensiero fondativo di un nuovo partito. Da lì bisogna ripartire, solo che adesso abbiamo alle spalle anche stagioni di delusioni, per cui molte parole si sono usurate.

E’ evidente: bisogna essere capaci di raccogliere l’adesione di molti soggetti diversi, nelle diverse forme in cui è presente in Italia un pensiero riformista. Per farlo serve una struttura organizzativa, diversa dal passato, ma capace di organizzare la partecipazione delle persone, con una radicata presenza territoriale. Il fallimento di M5Stelle lo testimonia palesemente.

Serve un pensiero aggregante. Un pensiero davvero nuovo, non il semplice aggiornamento delle idee novecentesche. Penso che nel “campo largo” prospettato da Zingaretti ci siano le energie per ridefinire la proposta del PD. Ma dove si stanno ricercando le adesioni ad un progetto di menti illuminanti, di competenze necessarie, di testimoni di vita vissuta al di fuori di sempre più asfittiche recite autoreferenziali? C’è una pungente osservazione di Mario Tronti, vecchio intellettuale che proviene dal PCI e dal pensiero marxista, ma che ha ancora una innovativa capacità di lettura e del PD è stato parlamentare: “I democratici, dai dirigenti centrali a quelli intermedi e periferici, sono tutti uomini e donne di gestione, nessuno più organizzatore delle lotte, e il popolo se ne è andato”. Forse è troppo ingeneroso e al termine organizzatore delle lotte possiamo sostituire quello di rappresentante dei territori e dei processi sociali, ma il punto resta. Per questo ha ragione Bonaccini: coraggio nel cambiare in profondità, competenze che significa anche produzione di un pensiero politico che attiri e susciti passione.

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