La salute, i bar e le chiese

Pubblicato il 27 aprile 2020, da Cattolici e società

Nel 1911 l’arciprete di Piove di Sacco don Pio Stievano viene dai Regi Carabinieri denunciato al prefetto perché, secondo il rapporto “Tenne contegno poco ossequiente verso il funzionario di Pubblica Sicurezza dott. Falcone quando, cessata la conferenza, lo stesso funzionario gli intimò di far cessare il canto “Noi vogliam Dio per nostro padre, noi vogliam Dio per nostro Re”. Un canto tradizionale scambiato per un canto anti Savoia dallo zelante funzionario, forse imbevuto di un clima anticattolico e massonico che esisteva negli ambienti governativi.

Mi è venuto in mente questo episodio leggendo la durissima nota della Conferenza Episcopale italiana: “Ora, dopo queste settimane di negoziato che hanno visto la CEI presentare Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri varato questa sera esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo…I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”.

Ora Bassetti non è il card. Ruini, che andava alla ricerca di compiacenze del potere politico. Ha sempre tenuto una linea di massima condivisione e rispetto delle decisioni governative. Se interviene in modo così duro e inusitato bisogna comprenderne la gravità. Con la presenza della espressione “arbitrariamente” che richiama due debolezze giuridiche: la violazione delle norme costituzionali sulla libertà di culto e la violazione delle norme concordatarie”

Angelo Roncalli, futuro papa San Giovanni XXIII caporale dell’Esercito durante la grande guerra

Si comprendono le difficoltà: alla messa domenicale possono andare prevalentemente anziani, c’è il problema dei contatti con la distribuzione dell’Eucarestia, ecc. Mi risulta però che erano questioni affrontate e si sarebbero accettate limitazioni, regolamentazioni, ecc. Se si riesce ad accettare che riprenda il trasporto pubblico prescrivendo limitazioni di distanze che saranno solo teoriche bisognerebbe cercare di accettare che anche la massa domenicale può essere fatta con limitazioni, compresa evitare la distribuzione dell’Eucarestia.

L’errore secondo me consiste in questo: che nel decreto si preveda con molta prudenza (necessaria prudenza) riaperture di diverso genere dai bar ai musei alle attività sportive, ai negozi e le funzioni religiose domenicali non vengano neppure citate per una ripresa anche procrastinata nel tempo. Come se i bisogni spirituali di un popolo non rientrassero tra le necessità della vita comunitaria, per chi vive anche questa dimensione. Si rimedierà, ma il danno è fatto.

Ora il Governo si trova di fronte a necessità decisionali inedite. Mi sembra di poter dire che non si stagliano all’orizzonte leader che avrebbero saputo far meglio. Tuttavia qui emerge un po’ la mancanza della dimensione politica. Capire fin dove ci si possa spingere nelle limitazioni, gestire l’equilibrio difficilissimo tra le precauzioni per contenere il virus e le necessità vitali della comunità nazionali. Ho trovato un po’ imbarazzante che il presidente del Consiglio si presenti al telegiornale delle 20 con una prolissa descrizione dei contenuti del decreto che sostanzialmente innova poco o niente se non sul piano (importante) della ripresa dell’attività manifatturiera.

Bastavano molte meno parole, occorreva il messaggio politico con più evidenza. Per questo aspetto sono molto preoccupato. Bisogna cercare di rimediare perché un paese non regge se non c’è una visione che viene condivisa.

 

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