Zaia campione di federalismo? Solo a parole

Pubblicato il 16 settembre 2020, da Veneto e Nordest

Venezie Post 16 settembre 2020

I consiglieri regionali che 50 anni fa si accinsero a scrivere lo Statuto della Regione Veneto avevano le idee chiare. La maggior parte veniva da una cultura autonomista. Autonomia delle istituzioni e autonomia della società: erano sindaci, presidenti di provincia, presidenti di associazioni economiche e sociali. Per questo vollero che nello Statuto, unica regione in Italia, si introducesse all’art. 2 un principio sorprendente: “L’autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”.

Non si parlava allora di federalismo, ma si guardava al sodo, con una idea chiara in testa. Poi la pratica è andata in un’altra direzione: da Regione programmatrice a Regione appesantita dalla amministrazione burocratica. Tutti, o quasi, federalisti nel Veneto. Magari più a parole che nei fatti. Al dunque bisogna riconoscere che i passi in avanti sono stati fatti sotto i governi di centro sinistra: dalla modifica del titolo V della Costituzione agli accordi Governo/Regioni con il sottosegretario Bressa, ora ripresi dal Ministro Boccia. È singolare: con la Lega al governo, e ci è stata a lungo, questo tema non è mai stato nell’agenda governativa.

Zaia campione del federalismo? A parole senz’altro sì, ma nei fatti molto meno. Anche quando fu Ministro. E da Presidente di Regione? Anche qui: a chiedere anche l’impossibile costituzionale al Governo sì, ma poi ad esercitare nella pratica di governo una cultura federalista ed autonomista dovremmo dire di no.

Il modello praticato da Zaia è stato di un fortissimo accentramento sui poteri del Presidente: assessori per lo più incolori e sottoposti, più impiegati che interlocutori politici. Ci ricordiamo tutti l’assessore alla Sanità durante le diluviale conferenze stampa di Zaia per la pandemia addetta all’unico ruolo di passare al Presidente i fogli con l’andamento dei contagi. Un accentramento anche della dirigenza regionale al circolo di pochissimi collaboratori diretti del Presidente, con poca disponibilità a concedere autonomia.

E d’altra parte nel mentre si chiede allo Stato di spogliarsi di propri poteri in nessun modo la Regione Veneto ha attuato nell’ambito delle proprie competenze una politica di devoluzione ai livelli dell’autonomia locale: Province e Comuni, ma anche un progetto per la città metropolitana di Venezia ed ancor più idee innovative per una gestione integrata di quella grande area metropolitana che si stende tra Venezia, Padova e Treviso. Insomma: federalisti quando si parla con Roma, centralisti quando si governa.

Altro aspetto singolare, la Regione che si dichiara la più federalista d’Italia non ha neppure tentato di utilizzare le possibilità previste dalla Costituzione in vigore all’art. 116 di chiedere più ampi poteri in alcune materie.

Un modello centralista che manifesta i suoi limiti. Assicura a Zaia grande visibilità e potere, ma porta più all’immobilismo che alla dinamicità necessaria. Le complessità crescono e neppure nelle aziende regge la figura dell’uomo solo al comando. Chissà se Zaia nell’ultimo suo mandato (il terzo) proverà a sperimentare un modello diverso. A partire da una Giunta con personalità più autonome. Non mancherebbero figure nel mondo dell’associazionismo economico, in quello culturale, nelle professioni in grado di cimentarsi con successo nella prova del governo.

Si tratterebbe appunto di esercitare l’autogoverno del popolo veneto come la pensavano i costituenti regionali. Sarebbe una eredità positiva. Temo che non sarà così.

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