L’esercito del tanko

Pubblicato il 11 aprile 2014, da Politica Italiana

Di quelli del tanko non si parla più. Ma invece è meglio non accantonare la vicenda. Non so quale rilievo penale possa avere. Io diffido un po’ dei teoremi giudiziari e vorrei vedere fatti solidi, perché il terrorismo è una cosa gravissima, che nel nostro paese ha significato una lunga teoria di crudeli assassini, sequestri, violenze. Una generazione rovinata. Cattivi maestri che goderono all’inizio di complicità da parte di intellettuali irresponsabili.

Non credo che siamo di fronte ad una cosa assimilabile. Franco Rocchetta mi sembra da inserire nella categoria di verbosi elaboratori del nulla, di invenzioni storiche senza fondamento piuttosto che vederlo nei panni di un crudele terrorista.

Comunque per gli aspetti giudiziari si vedrà, a noi compete la politica. Comprendere questi fenomeni che sono spie di sentimenti che conservano un certo radicamento. I 2 milioni di elettori al referendum secessionista appartengono alla categoria degli imbrogli della credulità popolare, ma vi sono sentimenti che circolano nella pancia del Veneto.

Qui non occorre indagare. Basta rileggere (e consiglio vivamente di farlo) due libri, quello di Paolo Rumiz “La secessione leggera” e quello di Francesco Iori “Dalla  Liga alla Lega”. Lì c’è tutto. Per capire che sono fenomeni che non vanno mai sottovalutati. Minoritari ma persistenti. Ha osservato giustamente Aldo Bonomi che tutta la vicenda del tanko nasce intorno a valori identitari di un certo Veneto: il capannone, come mito del mattone, del luogo del produrre, del riscatto sociale, il trattore e la ruspa con cui si produce (quelli delle quote latte, quelli del consumo del suolo). Sentimenti profondi.tanko

Come li trattiamo? Una Lega a corto di realizzazioni, toccata in profondità da scandali di varia natura, pensa di cavalcare questo malessere. E conta sempre sul fatto della memoria corta dei Veneti e degli Italiani. Mentre è la maggiore responsabile: i malesseri coltivati, le paure eccitate ed il nulla di realizzazione. La Regione motore di niente. L’immobilismo che fa riemergere questi sentimenti: l’idea della separazione, del rinchiudersi nelle piccole patrie. I principali responsabili che cercano di capitalizzare il malessere.

E noi del PD? Io non ho delle risposte pronte. Vedo però a livello nazionale il rischio di un nuovo centralismo, sull’onda degli scandali regionali, di una conflittualità stato/regione che immobilizza decisioni. Questa è una strada pericolosa, perché bisogna invece recuperare il senso di una sana autonomia, di una sussidiarietà positiva. Dovremmo esercitarsi sul serio su questi temi, con una proposta originale, da studiare ed approfondire, insieme ai consiglieri regionali, ai parlamentari, ai nostri dirigenti e a tanti intellettuali che sono pronti a darci una mano. Ma che sia un lavoro serio e duraturo, per farne anche l’ossatura per la campagna elettorale delle regionali. Non è che possiamo sempre uscire dal Consiglio regionale. Dobbiamo fare passi in avanti più determinati.

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