Come eravamo 3. Le preferenze

Pubblicato il 24 agosto 2016, da Politica Italiana

 Strano destino quello delle preferenze alle votazioni. Se ci sono le si criticano per i fenomeni degenerativi a cui possono dare origine. Quando non ci sono le si invocano per ridare la parola al popolo ed impedire la nomina da parte del capo dei rappresentanti popolari.

Sta di fatto che nella Repubblica dei partiti le preferenze erano la regola. Valevano per i Comuni, per la Camera dei Deputati, quando nel 1970 si fecero le Regioni furono previste le preferenze. Uniche eccezioni: le Province ed il Senato che avevano collegi uninominali. La provincia infatti non ha mai avuto rilievo politico, restando più nella dimensione amministrativa. E il Senato? Funzionava così: al Senato dove non c’era il vaglio elettorale andavano o deputati sperimentati che avevano dimostrato nella competizione della Camera di avere consenso e rappresentatività o alte personalità esterne ai partiti, che ai partiti servivano per la loro autorevolezza, reputazione nell’opinione pubblica e capacità tecnica.

Poi c’erano differenze da partito a partito. Ad esempio nel PCI la competizione sulle preferenze era condannata come segno di individualismo borghese. Era il Partito, sia pur con consultazioni interne, a decidere chi doveva essere eletto e la macchina organizzativa seguiva.

1987: propaganda elettorale (della Democrazia Cristiana). Poi verrà il Cavaliere

1987: propaganda elettorale (della Democrazia Cristiana). Poi verrà il Cavaliere

Nella DC invece la competizione era accesissima. Fino ai primi anni ’60 vi erano stati dei seri tentativi di governare il processo per le preferenze, ad esempio assegnando ad ogni parlamentare delle zone della provincia in cui era consentita la raccolta delle preferenze. Ma poi prevalse l’iniziativa individuale. Il partito contava nella formazione delle liste, anche perché bisognava evitare che l’eccesso di candidati e di competizione all’interno di una provincia dividesse troppo le preferenze a vantaggio dell’elezione di candidati di altre province dove riuscivano a concentrare di più le preferenze. Poi ognuno per sé.

Nel Veneto la circoscrizione era grandissima perché comprendeva le province di Padova, Vicenza, Verona e Rovigo. Per essere eletti ci volevano più di 30.000 preferenze. Altro che primarie…L’elettore ne poteva dare fino a quattro. Erano naturalmente pochi quello che lo facevano, ma le strutture periferiche dei partiti, delle organizzazioni sociali, delle reti sociali si organizzavano per la famosa terna. Poteva essere composta così: il nominativo ufficiale indicato dalla sezione locale del partito, quello della corrente più presente o dell’organizzazione sociale, poi magari un candidato che non rientrava negli equilibri di partito ma piaceva per ciò che diceva e faceva. Ad esempio Settimo Gottardo dopo l’esperienza di Sindaco di Padova fu eletto nel 1987 deputato con grande successo, partendo da una presenza organizzativa nella DC molto modesta, che non avrebbe di per sé garantita l’elezione. Ma piacque molto il suo stile frizzante e raccolse molte simpatie nella terza preferenza, giungendo con 73.000 preferenze quarto su 14 eletti in tutto il collegio.

Campagne elettorali che facevano anche le fortune delle tipografie, non solo per la stampa dei manifesti di partito e dei cosiddetti “santini” con la fotografia e biografia del candidato ma soprattutto per i tagliandini delle preferenze, il vero materiale che contava. Piccoli, da mettere in tasca o nella borsetta per portarli dentro la cabina per non sbagliare con l’indicazione delle tre preferenze, per i fidatissimi e capaci anche quattro. Non occorreva scrivere il nome, bastava scrivere il numero nella lista. E difatti c’era anche chi giocava i numeri della terna al Lotto…Bisognava avere una organizzazione efficientissima, perché la rete periferica del partito poteva richiedere le combinazioni più strane di candidati e bisognava avere tagliandini sempre disponibili. Secondo i principi del calcolo combinatorio le diverse combinazioni di terne tra una decina dei candidati della provincia erano davvero tante.

Contava la rete del partito comunque diffusa e radicata, contavano le organizzazioni sociali, dalla Coldiretti, alla CISL, agli artigiani e commercianti, contavano le Parrocchie, con Parroci più o meno disponibili a sporcarsi le mani nelle scelte dei candidati. Più quelli disponibili…

Vi erano poi canali particolari. Gli istituti religiosi, ad esempio, e non mancavano mediatori che vantavano conoscenze decisive per orientare i voti delle singole comunità. Oppure particolari persone che in ragione della attività professionale avevano contatti estesi e di fiducia. Ad esempio l’Alta padovana (in cui il voto pro DC era estesissimo, con punte superiori allo 80%) aveva una fortissima vocazione per l’allevamento delle vacche da latte. Figura centrale nella filiera era il raccoglitore del latte, che quotidianamente si recava negli allevamenti per raccogliere il latte prodotto. Che aveva perciò un rapporto di conoscenza e fiducia con una vasta platea di allevatori. E soprattutto una qualità che nessun altro aveva. Anche nella domenica delle elezioni, alla mattina presto, si recavano a ritirare il latte. Erano perciò gli ultimi a parlare con l’elettore e a poter dare il consiglio giusto!

Le preferenze servivano ad essere eletti ma anche a registrare la forza e la rappresentatività del singolo leader. Memorabili negli anni ’70 gli scontri tra un declinante Rumor ed un rampante Bisaglia per dimostrare la propria forza. Nelle elezione del 1968 Rumor giunse primo e raccolse 266.000 preferenze e Bisaglia 138.000. Quattro anni dopo primo era Bisaglia con 103.000 preferenze e secondo Rumor con 73.000. E fu un piccolo scandalo un’offesa al leader storico che pure in quegli anni era stato Presidente del Consiglio.

Naturalmente questi risultati erano frutto non solo di apparati organizzativi al momento della campagna elettorale. Venivano per un lavoro davvero massacrante dei parlamentari, durante tutto il mandato. Non c’erano sabati e domeniche: riunioni politiche, comizi, convegni, battesimi, matrimoni e funerali, presenze con le associazioni di categoria, le associazioni cattoliche, ricevimento di tanti cittadini che al parlamentare si rivolgevano per le più disparate esigenze, ecc. Senza lavoro, senza contatto non c’era reputazione, con c’era autorevolezza e non venivano neppure i voti.

1987, un tangliandino per le preferenze

1987, un tagliandino per le preferenze

Tutto bene? No, l’accesa lotta per le preferenze portava a fenomeni negativi: campagne elettorali sempre più costose: pranzi, cene, convegni appariscenti, più tardi sfruttamento costoso dei mezzi di informazione, abuso dei ruoli amministrativi con contributi erogati non con criteri di merito ma di fedeltà, ecc. Ed è finita come sappiamo.

Però la piccola lezione che ne possiamo ricavare è questa: la classe politica aveva una maggiore reputazione di oggi perché era più in mezzo alla gente e dalla gente riceveva legittimazione. La gente la conosceva e sapeva che aveva un potere nel chiedere al parlamentare di rendere conto della propria attività. Magari una parte dei 40 o 50.000 cittadini che avevano scritto il numero o il nome sulla scheda non conoscevano quel personaggio. Ma conoscevano bene chi quel nome l’aveva suggerito, sapevano a chi rivolgersi se si mancava agli impegni, c’era una catena che arrivava fino al parlamentare. C’era più rispetto. Per chi lavorava però, perché anche nel pacifico popolo veneto delle sezioni DC si mandava a quel paese il parlamentare che una volta eletto non si faceva più vedere. E nell’urna il giudizio era intransigente. Ai miei primi passi nel mondo politico uno dei leader padovani mi disse: “Caro Paolo, per far carriera in politica ci vogliono due cose: intelligenza politica e capacità di raccogliere voti. Meglio averle tutte e due, ma almeno una delle due bisogna averla”. Con l’attuale legge elettorale ed anche con la prossima non è detto che sia ancora così.

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4 commenti

  1. Bruno Magherini
    27 agosto 2016

    Caro Paolo,
    anch’io ho gli stessi ricordi.
    Allora si cercava di governare con il consenso della società guardandone le numerose sfaccettature.
    Chi governa oggi cerca solo appoggi di attori interni ed esterni non sempre visibili.
    Poi però avvengono i terremoti elettorali.
    Da che mondo è mondo fare politica richiede acume, saggezza, pazienza e molta umiltà (“…la sovranità appartiene al popolo…ecc).
    Doti evidentemente mancanti a chi soffre di narcisismo e di rampantismo.
    Suggerirei (provocatoriamente s’intende) si sottoporre ad un preventivo esame di abilitazione all’esercizio della funzione politica coloro che intendono assumere cariche pubbliche di rilevanza essenziale. Chissà se i politici attuali lo supererebbero!


  2. Paolo
    31 agosto 2016

    in effetti non basta la prova di alfabetismo che una volta bisognava fare per accedere alle cariche pubbliche…


  3. Giorgio
    14 settembre 2016

    onorevole, mi sembra colpito dalla sindrome dei “old good days”


  4. Paolo
    15 settembre 2016

    Direi di no, non è una operazione nostalgia. E’ cercare di far conoscere degli elementi che hanno contribuito a creare un rapporto stretto tra popolo, politica, istituzioni. In una società diversa, con limiti ed errori certamente. Ma anche con risultati. oggi le risposte devono essere diverse. Le risposte diverse, ma le domande sono le stesse…


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