Fiducia al Governo sulla revisione della spesa

Pubblicato il 31 luglio 2012, da Interventi al Senato

Intervento in aula sul decreto di revisione della spesa, 30 luglio 2012

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore sul disegno di legge n. 3396, senatore Giaretta.

GIARETTA, relatore sul disegno di legge n. 3396. Signor Presidente, premetto che vorrei consegnare la relazione scritta per allegarla al Resoconto della seduta odierna e che il senatore Pichetto Fratin completerà le poche parole che sto per pronunciare.

PRESIDENTE. La Presidenza l’autorizza in tal senso.

GIARETTA, relatore sul disegno di legge n. 3396. In cinque minuti cercherò di sottolineare solo tre aspetti.

La prima segnalazione è la seguente. La spesa pubblica italiana, al netto degli oneri per il debito, sta nella media europea, almeno con riferimento a quei Paesi paragonabili al nostro per la struttura del welfare. Più che la quantità, ciò che non va nel nostro Paese è la qualità, cioè il rapporto tra il livello della spesa (cresciuta di ben cinque punti negli ultimi anni) e la quantità e il livello dei servizi che vengono prodotti.

A questo proposito, la relazione del ministro Giarda presentata al Parlamento mette in luce molti elementi critici. In sintesi: i costi di produzione sono aumentati, la spesa corrente si è mangiata quella per gli investimenti, la vischiosità dei processi di spesa lascia scoperti nuovi bisogni e rende squilibrato il sistema del welfare, vi è una enorme disparità di efficienza tra i diversi comparti e le diverse fabbriche territoriali dei servizi. È una questione – ne dobbiamo essere convinti – che ha a che fare con l’essenza della democrazia. Se normalmente all’espressione “spesa pubblica” si associa la parola “spreco” vi è un oggettivo indebolimento della reputazione delle pubbliche istituzioni: difficile avere l’autorità di chiedere sacrifici, se non si ha la percezione diffusa che a quel sacrificio possa corrispondere una spesa realmente utile. Pertanto, la revisione globale e continuativa della spesa è questione eminentemente politica. Ha bisogno, certo, di una strumentazione tecnica che va progressivamente implementata, cosa che il Governo ha progressivamente attuato. Sono disponibili strumenti nuovi: le previsioni dell’articolo 01 del decreto-legge n. 138 del 2011 sui criteri e le procedure per la revisione della spesa, il decreto-legge n. 32 del 2012, con la creazione della struttura commissariale, le previsioni della nuova legge di contabilità, con procedure e strumenti orientati meno sugli aspetti giuridico-contabili e di più sulla conoscibilità dei risultati.

Non sarà tuttavia la moltiplicazione delle norme di legge che ci porterà a risultati; anzi, rischiamo di avere sedimentazioni normative destinate a restare inapplicate. Serve piuttosto sviluppare una cultura generale della buona amministrazione, un progetto industriale generale, mobilitando le energie presenti nelle amministrazioni pubbliche, costruendo pratiche virtuose di concertazione nelle amministrazioni e tra di loro; serve la determinazione di un’azione continua nel tempo, con possibili misurazioni periodiche dei risultati.

In secondo luogo, il decreto-legge fa una scelta di fondo pienamente condivisibile: riduce le spese per impedire un aumento, dal prossimo ottobre, dell’IVA di due punti, che aggraverebbe la tendenza depressiva del quadro economico, e per liberare risorse per affrontare l’emergenza terremoto, con la creazione di un fondo di 2 miliardi e l’attivazione di strumenti creditizi agevolati e garantiti dallo Stato per 6 miliardi di euro a favore di cittadini ed imprese. Parte delle risorse è inoltre destinata ad allargare di 55.000 unità la platea dei lavoratori cosiddetti esodati che potranno godere delle agevolazioni pensionistiche. Ci avviamo perciò sulla strada giusta: riqualificare la spesa per ridurre gli eccessi della pressione fiscale e ricavare risorse a favore della crescita e della coesione sociale.

Resta un punto critico. Positivamente, il decreto-legge porta con sé una profonda riorganizzazione del sistema delle autonomie locali, recependo aspetti importanti della Carta delle autonomie su cui ha lavorato con molta passione la 1a Commissione, ridisegnando altresì la mappa delle Province italiane, con la previsione di un dimezzamento. Non è mai facile toccare aspetti identitari che hanno radici storiche e certamente, nel nostro sistema, le Province hanno questa caratteristica, ma penso che si debba vivere questa trasformazione con l’energia creatrice di chi vuole misurarsi con un’occasione piuttosto che con il senso di una privazione. Resta tuttavia uno squilibrio tra i tagli che si realizzano nella spesa degli apparati centrali e nella spesa delle autonomie. Per il 2013 si taglia l’l,8 per cento della spesa centrale rispetto al 3 per cento della spesa locale. È uno squilibrio nella partecipazione alla revisione della spesa che occorre correggere nell’immediato futuro. Il decreto-legge, però, comincia ad impostare un criterio innovativo nella ripartizione dei tagli tra i soggetti delle autonomie. Se lo vorranno, le autonomie potranno superare la logica dei tagli lineari utilizzando i dati relativi all’analisi della spesa effettuata dal Commissario e quelli raccolti per la definizione dei fabbisogni standard.

Si sarebbe potuto fare di più in questa direzione, utilizzando anche le proposte contenute in emendamenti sia della maggioranza che dell’opposizione. Il tempo limitato non ha consentito di affrontare questo aspetto decisivo. Formuliamo la raccomandazione al Governo di muoversi con più coraggio su questo terreno, tenendo conto che la prossima legge di stabilità può offrire il veicolo adatto.

Concludendo, cacciare la cattiva spesa per promuovere quella buona e sostenibile, per restaurare un accettabile e condiviso rapporto tra ciò che il cittadino dà e ciò che riceve è un’operazione più che mai politicamente necessaria. Con il decreto in esame si fanno passi avanti nella giusta direzione, e crediamo che questo sia un fatto positivo. (Applausi dal Gruppo PD).

Dichiarazione di voto del Gruppo PD

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