Grazie Alfredo

Pubblicato il 22 marzo 2017, da Pd e dintorni

La morte di Alfredo Reichlin alla bella età di 92 anni ci serve anche a capire quanto sia (stato?) importante la nascita del Partito Democratico per contaminare positivamente culture, esperienze, storie politiche avvenute nel variegato fronte progressista.

E come sia grave abbandonare questa prospettiva in un momento di forte crescita dei populismi, delle illusioni nazionalistiche, di una destra che si pone apertamente oltre le forme consolidate della democrazia.

Reichlin è stato un uomo importante nella storia politica del ‘900. Partigiano, militante e dirigente politico del PCI, giornalista, direttore dell’Unità. Ha condiviso anche errori e ritardi del gruppo dirigente del PCI, ma ha accompagnato Berlinguer nelle scelte coraggiose da lui compiute e Veltroni con convinzione nell’approdo al Partito Democratico.

Sempre accompagnato da una vivace curiosità per il nuovo che può accadere. Negli ultimi anni fortemente critico sull’impoverimento della spinta iniziale del Partito Democratico. Della evoluzione della “rottamazione” da necessario ricambio dei gruppi dirigenti a disinteresse per le storie politiche, per quelle necessarie eredità da coltivare e mettere a frutto per il futuro. Solo al Lingotto (finalmente) Renzi ha riconosciuto che “Il PD non è la casa dei reduci ma degli eredi”.

Alfredo Reichlin

Alfredo Reichlin

Nell’ultimo suo libro del 2014, dedicato ai nipoti Alfredo faceva un appello “Riprendiamoci la vita“. Un libro di un novantenne aperto al futuro. Il modo migliore di rendergli omaggio è di rileggerlo. Ci servirebbe. Quando ci chiede di interrogarci su come vivere il nostro tempo: “da reduci e nostalgici di un tempo ormai tramontato oppure accettando la sfida del cambiamento non a parole ma cominciando a cambiare noi stessi?” Naturalmente Reichlin è per questa seconda opzione e per lui il partito nuovo dovrebbe avere al centro la nuova questione sociale: “il cuore del conflitto non è solo tra l’impresa e gli operai. È l’insieme del mondo dei produttori, cioè delle persone che creano, pensano, lavorano e fanno impresa che sta subendo una nuova forma di sfruttamento”. E lo strumento non sta nel genio solitario o nel potere concentrato in una persona. Sta in una nuova condizione umana”.

Ancora: “si è creato un vuoto ed un contrasto troppo pericoloso tra la grandezza dei problemi che pone questo vero e proprio cambiamento d’epoca e la mancanza di un nuovo pensiero politico”.

Ecco, il PD di Veltroni ha saputo valorizzare queste intelligenze. Ho avuto la fortuna di incontrare parecchie volte Alfredo alle direzioni del PD, di chiacchierare con lui nelle pause dei lavori. E di poter constatare come quella è stata una straordinaria generazione. Come mi è capitato di constatare con i dialoghi in Senato con altri grandi vecchi, a tu per tu, come Giorgio Napolitano, Emilio Colombo, Armando Cossutta, Giulio Andreotti, Paolo Emilio Taviani, Carlo Azeglio Ciampi. Una generazione che ha saputo affrontare le durezze della storia con realismo, conoscendo il paese in profondità, accettando i limiti della politica ma senza scoraggiarsi. Nella diversità delle esperienze politiche e dei giudizi storici che possono essere dati una caratteristica in comune. Anche nella estrema vecchiaia una curiosità per il futuro, la voglia di comprenderlo. L’idea che l’azione dell’uomo può cambiarlo, con la nobiltà dell’impegno politico.

Mi sembra una virtù meno presente nei dirigenti politici di oggi: meno curiosità, meno importanza data al pensiero. Meno senso della storia dei suoi tempi e condizionamenti. Più facilità nello scoraggiarsi quando le cose non vanno come piacerebbe. Ma la durezza della politica ha bisogno invece di queste qualità.

Grazie Alfredo.

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