Le sfide poste dal cambiamento climatico

Pubblicato il 29 settembre 2009, da Interventi al Consiglio d'Europa

Raccomandazione 1883 (2009) adottata dall’Assemblea il 29 settembre 2009

Risoluzione 1682 (2009), adottata dall’Assemblea il 29 settembre 2009


Intervento alla IV sessione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa

Dichiarazione di voto del sen. Paolo Giaretta, in rappresentanza del gruppo ALDE – Strasburgo, 29 settembre 2009


Il recente vertice del G8 all’Aquila e il Summit sul cambiamento climatico organizzato dall’ONU hanno registrato una importante convergenza di principio. Per la prima volta i due maggiori paesi per emissioni di gas serra, Stati Uniti e Cina, che da soli producono il 50% delle emissioni, e i maggiori paesi in via di sviluppo si sono aggiunti all’Europa nel riconoscere la realtà di una gravissima alterazione del clima dovuta alle attività antropiche e l’urgenza di azioni in grado di produrre risultati tangibili nel breve periodo. Sono molto lieto di aver potuto ora ascoltare nella nostra Assemblea Parlamentare l’intervento del prof. Rajendra Pachauri”, premio Nobel per la Pace e Presidente del Gruppo di lavoro dell’ONU sul clima, cui tutti dobbiamo essere grati perchè ha aiutato il mondo ad aprire gli occhi di fronte alle conseguenze delle alterazioni climatiche indotte dai gas serra.

Passare dalle parole ai fatti non è semplice come dimostra l’esperienza di applicazione del Protocollo di Kioto. Vi è sempre un divario tra gli impegni sottoscritti nei vertici internazionali e le politiche attuative approvate da Governi e Parlamenti.

I forti squilibri nello sviluppo rendono più complessa la ripartizione degli oneri. Occorre sostenere costi immediati e conversioni complesse degli apparati produttivi ma i risultati si raccolgono nel futuro.

Non sono tuttavia argomenti sufficienti a giustificare ulteriori ritardi. Le conseguenze certe e ravvicinate sul clima avrebbero costi umani ed economici ben superiori a quelli necessari per finanziare politiche di mitigazione. Cibo e acqua diverrebbero risorse ancora più scarse in particolare per i paesi più poveri. Le conseguenze sarebbero comunque globali: un paese può conquistare l’indipendenza energetica ma non può comprare il clima.

Moltiplicazione di siccità e di tempeste, abbassamento dei rendimenti agricoli, danni alle infrastrutture, aumento di malattie, danneggiamento delle zone costiere sono tutti elementi che limiterebbero insieme fondamentali diritti umani per una larga parte della popolazione mondiale e la produttività di crescita del sistema economico.

Non agire costerà molto di più che agire.

D’altronde proprio la crisi economica globale, l’acuirsi di squilibri finanziari la stessa crisi di rappresentanza delle istituzioni multinazionali invita l’umanità intera ed i Governi che dovrebbero rappresentarla a cogliere l’accasione per contribuire a costruire un modello di crescita sostenibile e con una maggiore consapevolezza del destino comune.

Ci sono tre pilastri su cui fondare le azioni necessarie:

– volontà politica più tenace, sia all’interno dei singoli paesi, sia nel costruire i necessari accordi globali,

– pieno sfruttamento delle potenzialità di nuove tecnologie,

– flussi finanziari adeguati.

Non mancano esempi di successo nel passato. L’accordo di Montreal per l’eliminazione dell’uso di gas dannosi per lo strato di ozono ha raggiunto in pochi anni risultati decisivi.

Ciò che è certo è che le potenzialità ci sono. Gli obiettivi sono raggiungibili se la maggior parte delle economie sviluppate adottano azioni virtuose in modo congiunto e continuo. Sulla base di tecnologie già disponibili o di tecnologie disponibili in breve tempo con una accelerazione degli sforzi di ricerca. Aiutando tecnologicamente e finanziariamente i paesi in via di sviluppo a non ripetere gli stessi errori. Occorre naturalmente lavorare in tutte le direzioni. Produzione di energia a basso impatto ambientale, incremento della produttività delle fonti rinnovabili, sequestro dell’ossido di carbonio nell’uso del carbone, nucleare di quarta generazione. Risparmio nell’uso di energia sia negli usi industriali che in quelli civili, organizzazione più razionale del sistema dei trasporti superando il sistema del petrolio, valorizzando la mobilità sostenibile. Nuovi cicli produttivi che tengano conto che il biossido di carbonio deve avere un prezzo. Lotta alla deforestazione. Una grande iniziativa culturale per l’adozione nel mondo occidentale in particolare di stili di vita individuali più rispettosi dell’ambiente.

Occorre anche affrontare temi finora trascurati. Il ciclo di produzione di proteine di origine animale è uno dei maggiori produttori di biossido di carbonio e d’altra parte uno degli obiettivi deve essere di fornire maggiori proteine a una larga parte di umanità sottonutrita. Anche in questo campo occorre esplorare strade nuove: penso ad esempio la FAO ha messo in luce le potenzialità delle colture di alghe per produrre sostanze proteiche senza incidere negativamente nel ciclo del carbonio.

Tutto ciò costa, e tuttavia sono costi che possono essere sostenuti.

Non solo perchè gli investimenti nel ciclo dell’innovazione ambientale e dell’economia verde si sono dimostrati tra i più profittevoli. Gli investimenti nel ciclo dell’energia verde sono aumentati negli ultimi 5 anni da 1,3 miliardi di dollari a 32 miliardi.

Ma anche il complesso dei finanziamenti pubblici che dovrebbero essere indirizzati nell’adozione di politiche adeguate non sono incompatibili con le potenzialità finanziarie disponibili. Ci ha ricordato ora mister Pachauri che al 2030 sarebbe sufficiente dedicare alle azioni di mitigazione una somma attorno al 3% del pil mondiale. L’accettazione della proposta di Cina ed India di destinare l’1% del pil dei paesi più ricchi agli aiuti verdi per i paesi del Sud del pianeta costerebbe molto meno di quanto hanno speso gli Stati Uniti per i salvataggi delle banche.

Vi sono perciò le risorse politiche, tecnologiche e finanziarie per affrontare questa sfida. La risoluzione che ci viene proposta ha il pieno consenso del gruppo dell’ALDE perchè indica un cammino ragionevole per arrivare ad un accordo sulla ripartizione degli oneri tra paesi sviluppati, paesi in via di sviluppo e Sud del mondo.

Ogni attore deve fare la propria parte e ci auguriamo che Copenaghen possa costituire unta tappa fondamentale per la storia dell’umanità. Come ha ricordato il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon un fallimento di Copenhagen sarebbe moralmente ingiustificabile, economicamente miope, politicamente avventato. Dobbiamo evitare che questo accada.


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