Obama, l’onestà di una sconfitta

Pubblicato il 5 novembre 2010, da In primo piano

La sconfitta di Obama è stata molto pesante. Oltre la consuetudine della sconfitta delle elezioni di medio termine che per la democrazia statunitense, per come è organizzata, è ina costante. Potremmo dire: più forte era l’ondata di speranza, di un nuovo inizio che Obama aveva suscitato oltre gli schemi della politica conosciuta, più forte è stata la delusione e più forte la sconfitta. Ha osservato Guido Moltedo che un leader deve avere innanzitutto la capacità di incarnare e trasmettere sentimenti primari e prepolitici, per motivare, coinvolgere, mobilitare politicamente. Per ridare senso e slancio a un progetto. Ma poi, quando un politico riesce a diventare il protagonista di una narrazione tanto attesa, ecco, inevitabile, l’idealizzazione. E quando l’idealizzazione deve fare i conti con una realtà difficile vi è l’inevitabile delusione.

A riprova che l’utilizzo di ondate emotive per suscitare il consenso degli elettori è sempre un’arma a doppio taglio, perché la cambiale da cambiare quando poi si devono fare i conti con la realtà rischia di essere molto salata. Il merito di Obama è di aver riconosciuto con nettezza e nobiltà la propria sconfitta, assumendosene la responsabilità politica, virtù alquanto rara per i leader politici

Naturalmente Obama ha pagato il conto di una crisi economica con conseguenze drammatiche sull’occupazione e sul benessere dei cittadini americani ma non c’è dubbio che i cambiamenti radicali promessi hanno dovuto fare i conti con le possibilità concrete, in termini anche di forza parlamentare e di condizionamenti esterni.

Chi si aspettava una politica estera diversa, con il rientro rapido dai teatri di guerra, una politica economica ed energetica di rottura, ecc. ha certamente avuto una delusione e in questi casi si è sempre nella tenaglia di una duplice pressione. Chi ti accusa di voler cambiare troppo e chi ti accusa di essere troppo tiepido nel cambiamento. E noi del PD ne sappiamo qualcosa.

Nella sconfitta di Obama ci sono tuttavia dei fatti strutturali su cui è bene riflettere. La crisi dell’occupazione ha pesantemente colpito la base elettorale di Obama. Sono i cittadini che lo avevano votato che più hanno subito le conseguenze drammatiche della perdita di tanti posti di lavoro, della crisi dei mutui e delle carte di credito. Dietro la sconfitta di Obama c’è anche negli USA la grande sfiducia nei confronti delle istituzioni. Un elettorato spaventato del futuro non trova nella politica dei grandi partiti le risposte rassicuranti. Molti avevano sperato in Obama ma quando la speranza ha forti componenti emotive rischia di essere una speranza a breve termine. Perché se ha perso Obama non hanno vinto i repubblicani, che sono stati pesantemente condizionati dal movimento estremistico del tea party.

Questo renderà ancora più difficili le scelte di Obama, perché si troverà a dover interloquire con un fronte repubblicano poco disponibile al compromesso.

E in Italia? Tutto resta liquido. Il governo è clinicamente morto, ma ci si affanna a tenerlo in una vita artificiale che non produce nulla. La legge di stabilità (la vecchia legge finanziaria) è stata presentata alla Camera dei Deputati e si è subito bloccata, le cose della giustizia che stanno a cuore al Cav. non trovano un punto d’approdo, le vicende personali appiaono per quello che sono: uno stile di vita incompatibile con le elevate funzioni svolte e una questione grande che riguarda il limite del potere, l’eguaglianza dei cittadini, il dovere della verità dei politici. In Gran Bretagna il Ministro degli Interni si è dimesso per aver raccomandato una pratica della propria baby sitter. Così cresce la distanza dell’opinione pubblica dalla politica, senza troppe distinzioni di schieramento. Tutta la politica appare a molti elettro inadeguata.

Attendiamo Fini a Perugia come un oracolo. E per noi Renzi a Firenze. E già questo ci dice la profondità della crisi.

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