I drammi dei più deboli e le paure dei Governi

Pubblicato il 14 aprile 2011, da Interventi al Consiglio d'Europa

Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, discussione su “Arrivo massiccio di migranti in situazione irregolare, domandanti asilo e rifugiati politici nel sud d’Europa”, 14 aprile 2011.

L’assemblea parlamentare del CdE ha tenuto un dibattito d’urgenza sul tema della pressione migratoria su Lampedusa. Aspetto positivo: il documento approvato invita l’Europa nelle sue diverse dimensioni (Unione Europea e Consiglio d’Europa) ha considerare l’immigrazione una sfida comune che non può essere delegata ai singoli stati. Aspetto negativo: risulta evidente nei dialoghi con i colleghi parlamentare di altri paesi un sentimento di fastidio  verso l’Italia: non si comprende perché un numero così limitato di migranti diventi un problema drammatico che l’Italia non è in grado di gestire e si critica la richiesta di aiuti a livello europeo dopo che si sono in passato praticare politiche (ad esempio i respingimenti in mare) fuori da ogni regola condivisa a livello europeo.

Sono intervenuto per richiamare il dovere dell’Europa ad affrontare con più cooperazione la questione, con la lungimiranza che i padri fondatori dell’Europa dimostrarono di avere, in condizioni politiche ed economiche molto più difficili. Altro che le spregevoli battute leghiste “facciamo senza l’Europa” che denotano il terrore di dover fare i conti con un elettorato allevato a parole tanto forti quanto prive di alcuna efficacia per risolvere i problemi.

Le dimensioni della corrente migratoria che ha interessato l’isola di Lampedusa in Italia ha certamente le caratteristica di una emergenza per le sue dimensioni concentrate nel tempo come testimoniano i dati forniti dal rapporto. La generale destabilizzazione della sponda sud del Mediterraneo e l’intervento militare in Libia hanno reso più difficile nell’immediato l’emigrazione dei rifugiati in Europa ma hanno dato nuova spinta all’emigrazione di matrice economica: basti pensare che decine di migliaia di lavoratori stranieri impiegati in Libia, oltre ai lavoratori di nazionalità libica sono rimasti senza lavoro e l’economia turistica di tutta l’area è fortemente compromessa.

L’intervento militare in Libia è stato attuato per motivi umanitari secondo le risoluzioni dell’ONU. Possiamo intervenire militarmente e poi ignorare le conseguenze sul piano sociale ed economico e quindi umanitario di questo intervento? Possiamo sostenere i movimenti per la democrazia nell’area mediorientale e negare ogni concreta solidarietà economica?

Riflettiamo su questo aspetto: l’Unione Europea sta sostenendo in modo cooperativo gli oneri derivanti dalla crisi della finanza pubblica greca e portoghese. Sono oneri consistenti rispetto ai quali l’architettura europea ha dimostrato di saper reagire. Possiamo immaginare che l’edificio europeo venga ora messo in discussione per l’incapacità di gestire 23mila profughi o emigranti clandestini?

 Non è il momento di meno Europa e di meno cooperazione internazionale, come imprudentemente sostengono deboli  e spaventati gruppi dirigenti nel mio paese ed in altri paesi europei di grande tradizione europeista. Al contrario serve che l’Europa rafforzi la sua capacità di azione comune per affrontare il fenomeno immigratorio che può avere dei picchi legati all’ emergenza ma è un dato strutturale.

 Si utilizzi la piena competenza comunitaria nel nuovo quadro giuridico del Trattato di Lisbona. Occorrerebbe che il Commissario all’immigrazione e il rappresentante della Politica Estera trattassero a nome dell’Unione Europea con la Tunisia, l’Egitto, la Lega Araba o l’Unione Africana. Questo è il lascito culturale che ci viene dai padri fondatori della nostra istituzione e poi nell’edificazione della grande casa europea. Ci sono nell’ordinamento giuridico europeo gli strumenti per affrontare anche l’emergenza in modo cooperativo.

Occorre essere capace di progettare un futuro ancora fondato sull’inclusione sociale: questo è l’insegnamento che ci viene dalla grande crisi finanziaria e dalla crisi dell’Area mediorientale. Ed è un impegno che riguarda tanto il Nord che il Sud del mediterraneo. Gli egoismi nazionalistici non danno la chiave di soluzione del problema.

Occorre riprendere una politica di cooperazione e di sviluppo, fortemente sacrificata per la crisi fiscale degli stati ma che costituisce la migliore prevenzione verso flussi incontrollati di immigrazione. Non è il momento di egoismi, ritorsioni e divisioni. E’ il momento della cooperazione a tutti i livelli.

Per questo condivido il contenuto del rapporto di m.me Strik e gli impegni che assumiamo con l’approvazione della risoluzione e della raccomandazione, augurandomi che i Governi vogliano dare concreto seguito alle indicazioni dell’Assemblea.

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