Un bilancio pubblico sostenibile, per guardare al futuro

Pubblicato il 11 aprile 2012, da Interventi al Senato

Ddl costituzionale n. 3047-B – Pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, intervento in aula, 11 aprile 2012

Con questa ultima votazione della complessa procedura di riforma costituzionale adempiamo all’impegno assunto in sede comunitaria. Un altro mattone in direzione di una possibile governance europea all’altezza della situazione. Cioè quella di una grande area economica e politica integrata, capace di affrontare squilibri e stagnazioni con politiche globali di riequilibrio e crescita. Con la grande questione del lavoro al centro: per 23 milioni di europei che avvertono in modo drammatico la mancanza del lavoro, la sua precarietà, l’erosione dei redditi. Ai quali non serve la difesa dello status quo ma una coraggiosa innovazione delle politiche a livello europeo.

Non sono mancate obiezioni alle modifiche costituzionali, alcune di carattere tecnico circa la complessità della materia e la difficoltà di tradurla in una efficacie norma costituzionale, o l’inutilità di farlo, obiezioni in gran parte superate con le modifiche introdotte nell’esame parlamentare.

Altre di carattere politico, riguardanti soprattutto due aspetti: la cessione di sovranità e la asserita rinuncia alla possibilità di attuazione di politiche di bilancio keynesiane.

Sul primo punto non mi sembra che ci si debba molto soffermare. Si tratta di dare attuazione ad impegni già presi, a trattati e convenzioni tra l’altro con rilievo costituzionale, Ma al di là degli aspetti giuridici ciò che rileva è la risposta che come paese vogliamo dare all’enorme cambiamento dei rapporti di forza geopolitici che ha caratterizzato tutto il processo di globalizzazione. Le stime ci dicono che entro il 2040, nell’arco di una generazione, se si riunisse un vertice G7 i paesi partecipanti sarebbero i seguenti: Cina, Usa, India, Giappone, Russia, Brasile, Messico. Nessun paese della vecchia Europa. Ma se nel frattempo l’Europa fosse divenuta un autentico Stato federale comparirebbe a pieno titolo in cima alla graduatoria. Dunque non si tratta tanto di cessione di sovranità ad un livello superiore ed estraneo. Quella sovranità semplicemente non ha più l’efficacia che abbiamo conosciuto.

Invece si tratta di mettere una nuova sovranità a disposizione di noi stessi, in parità e cooperazione con gli altri partner comunitari, per costruire sul serio una Europa pienamente politica, in grado di essere attore globale. Per farlo, in Europa occorre esserci, ed esserci a pieno titolo, con una rinnovata credibilità, per contribuirne a disegnare la nuova architettura, per fare i passi in avanti necessari: potenziamento delle istituzioni in una visione comunitaria più che intergovernativa, aumento della qualità democratica delle istituzioni, ampliamento della capacità di intervento della Banca Europea, fino al suo necessario ruolo di prestatore di ultima istanza, facoltà di emissione di eurobond, project bond e così via. Il fiscal compact e gli impegni conseguenti che si assumono negli ordinamenti nazionali hanno senso e saranno produttivi solo se inseriti in questo disegno: come ha osservato Barbara Spinelli ha senso se è il gradino di una scala, è stasi in assenza di scala.

Quanto al secondo punto, l’affermazione che il nuovo testo dell’art. 81 impedirebbe l’uso del bilancio pubblico in funzione anticongiunturale credo che una lettura anche superficiale del testo dimostri l’infondatezza di questa preoccupazione. Il testo anche grazie ai miglioramenti introdotti nell’esame parlamentare al contrario esplicita il ruolo attivo che possono svolgere le politiche di bilancio per contrastare i cicli avversi. Ma il tema centrale è quello della sostenibilità del bilancio. In nessuna parte degli scritti di Keynes si potrà trovare una sottovalutazione di questo aspetto. Al contrario la sua Teoria Generale, proprio perchè mette al centro il valore e la necessità di un intervento dello Stato come regolatore, riserva grande attenzione alla sostenibilità delle finanze statali. Se è possibile raggiungere un equilibrio di sottooccupazione a differenza di quello che pensavano gli economisti classici e se gli investimenti si possono trasferire ai redditi attraverso un moltiplicatore dapprima rilevante e poi sempre più debole le politiche statali svolgono un grande ruolo nel promuovere sviluppo.

Ad una condizione: che esplichino la loro piena efficacia nei periodi di bassa congiuntura, nel rompere appunto possibili equilibri di sottooccupazione, avendo accumulato le risorse necessarie nei periodi di alta congiuntura. E comunque l’iniezione non doveva essere di spesa pubblica improduttiva ma di buoni investimenti pubblici. Meglio fare scuole, case ospedali, che scavare le famose buche.

Dunque politiche attive di bilancio ma con grande attenzione alla sostenibilità del debito. Del resto il debito insostenibile è doppiamente iniquo. Tra le generazioni perché toglie futuro a quelle dopo di noi: la generazione presente si appropria delle risorse di quelle future. Dentro le generazioni: lo Stato preleva risorse non per restituirle sotto forma di servizi ai cittadini ma per darle ai grandi prestatori (banche, fondi sovrani, ecc.) Il contrario di Robin Hood: dai poveri ai ricchi.

E dobbiamo ricordare che esiste buona spesa e cattiva spesa e che in Italia la spesa corrente assomma a 14 volte la spesa in conto capitale e che l’enorme aumento del rapporto debito/pil dai 56 punti percentuali degli anni ’70 ai 120 attuali è totalmente dovuto al lievitare della spesa corrente. Certamente non sarebbe un uso keynesiano del bilancio pubblico proseguire su questa strada.

Al di là di riflessioni teoriche, per un paese nelle condizioni di finanza pubblica dell’Italia non possono che essere condivise ragionevoli norme che rafforzino l’argine dell’art. 81, rivelatosi troppo fragile.

Piuttosto non bisogna mai dimenticare che anche un vincolo costituzionale più stringente non può sostituirsi alla chiarezza della visione politica, alla netta individuazione degli obiettivi e degli strumenti. Per l’appunto il debito è cresciuto ai limiti della sostenibilità nonostante i costituenti avessero posto molta cura nella definizione dell’art. 81 e nonostante i nuovi rigorosi vincoli introdotti a livello comunitario su debito ed indebitamento con l’introduzione della moneta unica.

Ce lo ricordava nel 1992 Beniamino Andreatta, quando dibattendo anche allora sui temi dell’art. 81, della riforma della legge di contabilità e delle conseguenze degli accordi di Maastricht sottolineava “credo che il problema essenziale della riforma finanziaria sia la riforma delle istituzioni politiche e del sistema elettorale” individuando questo rapporto così stretto tra efficienza del sistema politico istituzionale e capacità di sviluppare adeguate politiche di bilancio.

Siamo ancora a questo passo. Dobbiamo perciò leggere questi cambiamenti dentro la cornice più vasta di una ambizione riformatrice delle istituzioni parlamentari che scommetta davvero sulla centralità di un Parlamento competente e rappresentativo.

E del resto anche sul punto specifico della gestione del bilancio la modifica dell’art. 81 non è che un primo passo. Ci attendono ulteriori passaggi altrettanto impegnativi, a partire dalle norme attuative, che saranno decisive per il buon funzionamento del sistema complesso delineato al livello interno dalle norme costituzionali per la finanza statale e quella decentrata, dalle norme di contabilità e dalle regole del Patto di Stabilità interno, a livello comunitario dal semestre europeo e da ultimo con il fiscal compact.

Occorre riportare il processo decisionale di finanza pubblica al pieno rispetto del ciclo, interno e comunitario, tratteggiato con chiarezza della legislazione vigente ma finora soggetto ad eccezioni e mancati rispetti. Rispetto delle procedure come condizione essenziale per rendere chiari all’opinione pubblica ed alle parti sociali in particolare obiettivi, mezzi apprestati, responsabilità.

Occorre finalmente consentire al Parlamento di poter assolvere fino in fondo al ruolo dialettico con il Governo sulle decisioni di finanza pubblica, in via preventiva ed in via consuntiva. Le norme che approviamo prevedono l’istituzione “di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e dell’osservanza delle regole di bilancio” sul modello del CBO statunitense. Richiesta da tempo avanzata in sede parlamentare, prevista sia pure in forma soft nella vigente legge di contabilità ed ora trasformata in  norma positiva da tradurre finalmente in realtà.

Infine occorre dare piena attuazione al processo di spending review, implementandone con efficacia tutte le potenzialità: non solo ai fini di una riduzione della spesa in valore assoluto, ma anche di una più corretta individuazione delle priorità, dell’efficienza degli interventi pubblici, della eliminazione delle sacche di improduttività, e perciò con l’obiettivo del pieno dispiegamento della leva del bilancio pubblico come fattore positivo di sviluppo.

Dunque votiamo convintamente queste modifiche perchè le vediamo parte di un più ampio e lungimirante disegno di buona riforma delle pubbliche istituzioni, di cui certo il nostro paese ha bisogno.

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