Dal “Consumo dunque sono” al consumo riflessivo: per la buona economia

Pubblicato il 28 maggio 2012, da Relazioni

Seminario Nazionale del PD su “La distribuzione commerciale: risorsa per la città e la crescita economica”, San Benedetto del Tronto 25 maggio 2012. Intervento alla tavola rotonda iniziale.

Questa bella iniziativa del Partito Democratico consente in due giornate di vedere in profondità i diversi aspetti del decisivo rapporto tra città, consumi, qualità della vita, distribuzione commerciale. Attraverso analisi e attraverso la conoscenza di buone pratiche. Perciò nel concludere i lavori della mattinata mi limito ad evidenziare quattro questioni che devono attirare l’attenzione (e l’azione) di un soggetto politico come il nostro.

1) Potremmo descrivere così il periodo che stiamo attraversando: dal grande Compromesso alla grande Contrazione. Il grande Compromesso è quello che ha accompagnato la fase di eccezionale benessere che ha caratterizzato il mondo occidentale dall’uscita dalla tragedia della seconda guerra mondiale alla grande crisi di questi anni. Un compromesso tra capitale e lavoro, con lo Stato del benessere a fare da garante e da produttore di beni sociali indispensabili e la funzione del consumo a fare da propellente all’economia. Consumo naturalmente sostenuto da innalzamenti salariali conquistati dalla forza di organizzazioni sindacali capillari e diffuse e con la presenza di forze politiche a robusta base popolare.
La società dei consumi, si diceva: l’offerta capace di creare la domanda, anche attraverso tecniche sempre più penetranti per i messaggi pubblicitari. Una alimentazione anche di modelli culturali e sociali, con la formazione di un largo ceto medio che trovava nella soddisfazione di aspettative più esigenti di consumo il raggiungimento di uno status sociale più soddisfacente e una aspettativa positiva per il futuro. Non occorre qui approfondire cosa ha significato negli anni ’60 per il benessere familiare la diffusione della televisione, degli elettrodomestici a sostegno del lavoro domestico, della motorizzazione di massa, ecc.
Oggi per la prima volta da almeno sessant’anni dobbiamo affrontare l’inedita sfida di una grande contrazione. Il domani peggiore dell’oggi nella percezione di larghissimi strati sociali. Non è solo un problema congiunturale (e comunque di una depressione congiunturale pluriennale ed inedita per diffusione spaziale e profondità) con una finanza globalizzata che si è mangiata l’economia reale.
Si tratta di una epocale ridistribuzione della ricchezza a livello planetario che cambia la geopolitica ed i rapporti economici a livello globale. La produzione mondiale cresce ad un ritmo un po’ meno intenso ma soprattutto si distribuisce con modalità profondamente differenti. C’è stato nei giorni scorsi  un G8 (riunioni sempre più avere di risultati concreti), come sarebbe un G8 che si tenesse nel 2050? Al tavolo ci sarebbero seduti in ordine di importanza Cina, India, Usa, Giappone, Brasile, Messico, Indonesia e ottava, forse, la Germania. Certo che se nel frattempo i popoli europei e le leadership prendessero una coscienza più avvertita di ciò che si sta preparando una Europa unificata in un progetto federale siederebbe a pieno titolo a quel tavolo.
Quini non c’è da aspettare che passi la nottata ma da organizzare risposte politiche adeguate. Edmondo Berselli nel suo (purtroppo) ultimo saggio, “L’economia giusta”, ci ha invitato a fare i conti con questa questione: “Noi europei proveremo a vivere sotto il segno meno: meno ricchezza, meno prodotti, meno consumi…Occorre accingerci a costruire una cultura, forse non della povertà, bensì di una minore ricchezza. Di un benessere più limitato, e sapendo che questo benessere minore si ripercuoterà su ogni aspetto della nostra vita…Proviamoci con un po’ di storia alle spalle, con un po’ d’intelligenza e di umanità davanti”.
Non si tratta naturalmente di ripiegarsi su un pauperismo giustificatorio. Già la lungimirante riflessione di Enrico Berlinguer sull’austerità fu malintesa, anche all’interno del PCI. Si tratta di organizzare delle risposte. Sul piano delle politiche commerciali e per quel che ci riguarda più direttamente sul piano delle politiche redistributive. Se un ampliamento costante nel tempo della ricchezza prodotta ha consentito fino a qualche tempo fa di sostenere la nota metafora “se la marea cresce tutte le barche si innalzano” e quindi l’ampliamento della ricchezza, pur se distribuita in modo diseguale, dava a tutti una opportunità, oggi non è così. Al contrario i dati ci dicono di una crescita più lenta, e anzi di un arretramento, con un ampliarsi drammatico delle diseguaglianze. Perciò al centro devono ritornare politiche redistributive.

2) La riduzione dei consumi ha nell’immediato una sua forte ragione nella minore disponibilità di reddito, particolarmente per le classi di reddito con un’alta propensione al consumo. Minore reddito disponibile, utilizzo dei risparmi accumulati per finanziare spese non rinviabili, preoccupazione ed incertezza per il futuro. Purtroppo in tutte le statistiche a livello europeo gli italiani appaiono quelli in assoluto più pessimisti sul futuro.
Tuttavia si affaccia qualcosa di diverso di cui decisori pubblici e privati devono tener conto. Un cambio di modello culturale. Bauman ha molto indagato il rapporto tra consumo ed individuo come testimoniano i titolo di alcun suoi fortunati saggi: “Homo consumens”, “Consumo dunque sono”, fino a “Vite di corsa”… Ma è forse un modello culturale che sta virando. Giampaolo Fabris, uno dei più attenti indagatori di consumi e stili di vita degli italiani, parla dell’emergere di una società post crescita, con l’affermarsi di un consumo riflessivo, più attento ad un concetto di sostenibilità, ambientale ed economica, ma anche sociale e psicologica, oltre una grande deriva del consumo che ha significato non solo impiego di risorse finanziarie, ma anche impiego di tempo, di informazione, di energia psicologica.
Ad esempio (i dati sono del 2009, prima perciò degli anni più forti per le conseguenze sociali e culturali della crisi) il 36% degli italiani risponde positivamente alla domanda “ho comprato tante cose inutili”, l’80% condivide l’affermazione “dovremmo tutti consumare meno per vivere meglio” e l’89% si dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione “è giusto pagare di più per prodotti che rispettano l’ambiente e i diritti dei lavoratori”.
E’ in atto cioè un indirizzo verso modelli di consumo diverso, che in passato hanno riguardato piccole èlites ideologizzate ma che sta assumendo dimensioni di massa. Se si scandaglia la Rete attorno a parole come baratto, prestito, scambio, uso collettivo, si vede un universo di rete informali o di organizzazioni strutturate che danno una base effettiva a scelte comportamentali innovative.
Cosa del resto ben conosciuta dalle grandi organizzazioni commerciali che cercano di utilizzare ed inserirsi in questa nuova domanda di servizi diversi.
Quindi come per ogni cambiamento problemi ed opportunità: perché alla fine è la catena del valore che si allarga in campi prima sconosciuti.

3) In questo quadro può cambiare anche la natura della classica contrapposizione grande distribuzione e commercio di vicinato. Se la direzione è quella che abbiamo visto in realtà c’è spazio per diverse forme di distribuzione commerciale. La grande struttura che compete sul prezzo per le quantità e gli assortimenti e le piccole strutture specializzate che servono settori di nicchia. L’uso di nuovi strumenti informatici consente di raggiungere mercati potenzialmente molto ampi con dimensioni economiche modeste. Si conferma il valore delle prime riforme Bersani. L’eliminazione dei vincoli delle tabelle merceologiche e la libertà del commerciante di organizzare il proprio assortimento ha certamente creato qualche difficoltà negli esercizi più statici e tradizionali, in operatori al termine della vita produttiva, ma certamente ha posto le premesse per una presenza competitiva di nuovi operatori, nonostante la pressione della grande distribuzione.
Semmai dobbiamo convincerci che c’è bisogno di una nuova regolazione pubblica, su alcuni crinali decisivi.
La grande distribuzione ha certamente portato un servizio competitivo al consumatore. Tuttavia non mancano i problemi. Ad esempio negli Stati Uniti le 10 maggiori catene commerciali nel settore dell’abbigliamento coprono il 75% del mercato. Si altera così la catena di una concorrenza competitiva, con possibili accordi di cartello che si realizzano sia a monte, strozzando i fornitori sul prezzo, sia a valle, a svantaggio del consumatore finale.
Pensiamo al tema discusso e discutibile dell’apertura domenicale, estesa a tutte le domeniche. Un servizio alle famiglie consumatrici, che possono organizzare meglio il proprio tempo libero per la gestione degli acquisti o un peggioramento delle condizioni lavorative dei dipendenti, con un aumento degli spazi di precarietà, e dei piccoli commercianti? E non è un modello di consumo in controtendenza, con l’idea che ogni spazio del tempo della vita debba essere articolato attorno alla funzione del consumare?
Pensiamo ad un termine rimosso dal dibattito pubblico, che è quello della rendita immobiliare. Siamo al cinquantesimo delle prime esperienze di governo di centrosinistra. Allora le forze politiche si impegnarono su questo tema e venne (purtroppo) sconfitta la riforma presentato dal ministro Sullo. Non si sono fatti decisivi interventi riformatori. Eppure sarebbe una leva decisiva per l’organizzazione dei territori urbani. Interventi pubblici (una linea del tram, una metropolitana, un museo, un auditorium, una scuola) cambiano i valori immobiliari delle aree, ma nulla ritorna al pubblico. Cambiano anche i valori commerciali: al commerciante che si lamenta del peso delle tasse chiedo sempre: “quanto influisce sul bilancio il peso dell’affitto dell’immobile?” E talvolta sono altri commercianti proprietari dell’immobile che esigono fitti insostenibili. E la principale ragione della chiusura di esercizi particolarmente nei centri storici è legata al rapporto insostenibile tra reddito possibile e pretesa dell’affitto.
Il commercio si organizza nei sistemi urbani in forme diverse: dalle grandi città del consumo, ai centri commerciali naturali che sono i centri storici, al necessario presidio delle periferie, in cui alla funzione commerciale si aggiunge un decisivo legante sociale. E’ una grande responsabilità delle decisioni pubbliche rendere questa pluralità una forma equilibrata ed integrata di servizio al cittadino.

4) Infine il mondo non si ferma. L’e-commerce entra prepotentemente tra le forme distributive. Ci sono 200 milioni di utenti registrati a e bay. Anche nel nostro paese, pur scontando nel confronto europeo un ritardo considerevole, è un settore che viene calcolato registri un fatturato di 9 miliardi di euro e che ha avuto una crescita nell’ultimo anno del 18%, pur in un periodo di contrazione della domanda. Il peso maggiore (il 54%) è dato dall’intrattenimento, purtroppo con una assoluta preponderanza dell’accesso a giochi d’azzardo, ma c’è una significativa presenza in altri settori: il 26% per il turismo (altro settore in cui la visibilità anche di piccole strutture a conduzione familiare ha trovato uno strumento molto efficace se ben gestito e poco costoso) il 6% dell’elettronica ed il 3% per l’editoria. E questi dati sarebbero molto diversi con riferimento esclusivamente all’universo giovanile. La sbarco in Italia di grande catene distributive potrà dare una spinta decisiva. Anche in questo caso sfide nuove (la grande distribuzione si sta riorganizzando ad esempio attorno alla vendita elettronica ed alla consegna a domicilio) ma anche nuove opportunità.

Insomma: la crisi così profonda che muta rapporti di forza, disponibilità economiche, stili di vita pone però anche le opportunità della costruzione di una nuova alleanza tra iniziativa imprenditoriale privata, imprenditorialità e regolazione pubblica per servire nuove aspettative del consumatore e riorganizzare il tempo e le funzioni delle aree urbane.
Siamo nati come partito nuovo per presidiare il campo dell’innovazione. Bene ha fatto perciò il PD nazionale con Lirosi, Fassina, Parente ad organizzare questo incontro per una comune riflessione di alto livello sulle prospettive di un settore decisivo per l’economia italiana.

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