Province: il riformismo che non c’è (stato?)

Pubblicato il 9 luglio 2013, da In primo piano

La questione delle province è un bell’esempio degli appuntamenti mancati del riformismo italiano. Per molti anni se ne parla e non se ne fa niente. Poi diventano un simbolo della necessità del fare e del “coraggio” politico. Anche sull’onda di campagne dei media spesso superficiali e disinformanti. Come le affermazioni propagate che con l’abolizione delle province si risparmierebbero 12 miliardi di euro (elevati ultimamente da Grillo a 17, per non restare indietro). Certo, se si licenziassero tutti i dipendenti, si intervenisse per ridurre al lumicino interventi sui trasporti, l’ambiente, l’edilizia scolastica.

Allora arriva il Governo dei tecnici e per dimostrare che non ci sono più i vincoli dei politicanti si fa un bel decreto legge e si pensa di abolire per decreto un ente previsto dalla Costituzione, con qualche furbizia lessicale. Dicendo che la ordinaria procedura costituzionale è troppo lunga. Risultato: non si è combinato niente e bisogna ripartire da capo. Se si fosse accettato ciò che in molti avevamo suggerito e cioè di prendere coraggiosamente la strada della riforma costituzionale, che sembrava troppo lunga, oggi saremmo arrivati al risultato. Responsabilità della politica, certo. Responsabilità anche dei mezzi di informazione, che hanno in gestione un bel pezzo del potere reale. Ci ha ricordato nei giorni scorsi Ilvo Diamanti che secondo un sondaggio 2/3 degli italiani sono a favore dell’abolizione delle province, ma di quelle degli altri. Infatti oltre il 60% è invece favorevole al mantenimento della propria. Questi sono i frutti di campagne di stampa superficiali. Mi ricordava tempo fa un collega senatore delle posizioni del quotidiano locale del suo territorio: prima una campagna di stampa contro i parlamentari che impedivano l’abolizione delle province, poi dopo la decisione del governo Monti e le proposte del decreto salva Italia di riduzione delle province l’accusa ai parlamentari locali di non aver saputo salvare la propria provincia!|

Io sono per l’abolizione delle Province. Ho presentato ha suo tempo un disegno di legge costituzionale che prevedeva la loro trasformazione in enti di secondo livello, governati da assemblee dei sindaci, con poteri e confini definiti dalle Regioni (ddl 2242/2010 ) Perché chiunque si occupi anche da lontano di pubblica amministrazione sa che nell’Italia degli 8.000 comuni in molti territori è necessario un ente intermedio. Di tipo amministrativo più che politico. Per la politica e la rappresentanza democratica dei livelli locali bastano Comuni e Regioni. Penso che bisognerebbe ripartire da lì e sostenere ora la decisione del Governo.

Nel frattempo non si può fare niente? Nel frattempo si può fare molto. Intanto con l’autoriforma del sistema degli enti locali. Molto meritorie dono le iniziative di quei Comuni che avviano procedure di fusione per raggiungere dimensioni ottimali per la buona erogazione dei servizi: da ultimo la coraggiosa iniziativa di fondere i Comuni di Este e Ospedaletto Euganeo: due bravi sindaci del PD guidano l’iniziativa. Tutto ciò che va in questa direzione (fusioni, unioni di comuni, associazioni e consorzi) va nella direzione giusta. Molto possono fare le Regioni, sul piano di deleghe di gestione e nel favorire le associazioni. Poi c’è lo Stato. Che guarda troppo in casa d’altri e poco in casa propria. Perché la legislazione vigente (ed è stato un merito particolare del Pd del Senato) prevede una riorganizzazione radicale della macchina periferica dello Stato, in direzione di semplificazioni, concentrazioni, risparmi di strutture troppo capillari. Non è stato fatto niente. Non solo per le resistenze negli apparati, ma anche di quelle dei ceti politici locali e di opinioni pubbliche. Siamo sempre lì: va bene abolire i Tribunali, le Prefetture, le questure degli altri, ma non fondere le propri con quelle dei territori vicini.

Bisogna invece essere coraggiosi in questa materia. Le tasse diminuiranno solo quando si potrà ridurre l’eccesso di spesa pubblica, non tagliano servizi essenziali ma rendendo meno costosa l’erogazione di quei servizi.

E’ un po’ inaccettabile che in questa materia l’unico risultato concreto a cui si sia arrivati è stata la riduzione del numero dei consiglieri comunali: gente che lavora sostanzialmente gratis (e semmai si sarebbe potuto agire sui modestissimi gettoni di presenza, perché qualche eccesso può esserci stato solo nei comuni di maggiore dimensione) e che costituisce anche l’esercito di base per l’esercizio delle responsabilità democratiche dei cittadini, di cui vive la democrazia.

 

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Tags: ,

1 commento

  1. zse
    10 luglio 2013

    Qualcuno mi spiega come si può affermare che dall’abolizione delle province si risparmiano 12 (o peggio 17) miliardi di euro quando le Province costano all’anno 11 miliardi!!!!
    Oltre a licenziare i 56000 dipendenti (e rinunciare a strade, scuole, ambiente, trasporti, ecc…), si richiederà loro anche un contributo annuale di 1 Miliardo di euro (o di 8 miliardi) per arrivare alla soglia di risparmio di 12 milardi. Sono ben 18000 euro a testa di tassa aggiuntiva, a gente che secondo la demagogia dei nostri politicanti perderà il lavoro.

    Riepilogando:
    Risparmio di 12 miliardi da abolizione province:
    – nessun servizio ai cittadini (no strade provinciali, scuole superiori, trasporti pubblici, lavoro, formazione, ambiente, pianificazione, ecc…
    – licenziamento in tronco di 56000 persone + 3000 amministratori
    – tassazione di 18000 euro a testa all’anno (o secondo i conti di Grillo di ben 140000 euro a testa all’anno) dei dipendenti licenziati!

    Ma quando impereremo a farci due conti sulle stupidaggini che ci raccontano?


Scrivi un commento