I negrieri del Mediterraneo

Pubblicato il 7 ottobre 2013, da In primo piano,Nel Mondo

“Nella stiva del peschereccio sono tutti attaccati uno con l’altro, ognuno avrà non più di 30 centimetri di spazio, lì ci sono pile di uomini e donne che dobbiamo tirare fuori a uno a uno. Molti sono morti in piedi, tenuti su dal corpo del compagno di viaggio che avevano vicino”. Sono le doloranti parole dei sub che stanno facendo con silenzioso coraggio il lavoro di recupero dei corpi della tragedia di Lampedusa.

Ma sono parole drammaticamente simili a quelle che nel ‘700 e nell’800 scrivevano nei loro resoconti testimoni dei viaggi sulle navi negriere. Un viaggio penoso verso l’America su vecchie navi stipate fino all’inverosimile, dove gli schiavi venivano ammassati in locali non più alti di un metro e mezzo, quasi privi di aria e luce. Qui, nudi e incatenati a due a due, compivano traversate che potevano durare anche due o tre mesi. Stretti gli uni sugli altri, a volte costretti a stare sul fianco per ridurre lo spazio occupato, come dimostra questa planimetria di una nave negriera. La mortalità di conseguenza era altissima. Molti si ammalavano la sporcizia, la facilità di contagio, l’alimentazione insufficiente. Altri, spinti dalla disperazione, si suicidavano buttandosi in acqua. Ma i più deboli e malati venivano anche gettati in mare quando i viveri cominciavano a scarseggiare per poter portare a destinazione la “merce” più pregiata. Drammi ben raccontati ad esempio in un romanzo verità di Hansen Thorkild “Le navi degli schiavi”.navenegriera2

Nel mondo civilizzato questi viaggi si ripetono, sostanzialmente nell’indifferenza o nell’inefficacia di azioni di contrasto. Allora mercanti che vendevano carne umana, ora mercanti che sfruttano la domanda di lavoro e libertà.

Cosa resterà della tragedia di Lampedusa? Nulla come è più probabile, vale a dire la straordinaria emozione del momento, le promesse impegnative e poi il dissolversi della memoria? Oppure finalmente una comprensione della natura epocale del fenomeno, della necessità di battaglie impegnative per la difesa dei diritti umani, come fu quella per l’abolizione della schiavitù, anche allora molto impopolare tra i benpensanti?

Se non altro queste tragedie dovrebbero lasciare in eredità una maggiore coscienza nel popolo italiano della natura del fenomeno, delle storie di donne, uomini, bambini, famiglie che vivono questo dramma.

Perché purtroppo alla espressione “immigrazione clandestina” si associa immediatamente nella più larga opinione pubblica l’immagine dello spacciatore sotto casa, dello stupratore, del rapinatore violento che massacra gli anziani nella loro villetta.

Non vede i volti dolenti di giovani uomini e giovani mamme che con figli piccolissimi investono tutto quello che hanno in un viaggio incerto e pericoloso per darsi un futuro. Non vedono i volti di giovani, di giovanissimi, quasi bambini, che con un coraggio straordinario affrontano privazioni incredibili: viaggio a piedi nel deserto, oggetto degli attacchi di bande di predoni, e poi il viaggio in mare, con un alto rischio di non arrivare, o perché respinti, o perché abbandonati da scafisti a servizio di organizzazioni criminali, fino all’estremo epilogo dell’annegamento. Basta vederli in faccia per capire che sono come i nostri figli: con i loro telefonini, con le cuffiette, con gli occhi pieni di voglia di futuro, con gli stessi jeans, felpe e magliette. Anzi, più forti e coraggiosi dei nostri figli. Ricordo ancora con autentico disgusto un incontro in un liceo cittadino frequentato dai figli della “migliore” borghesia padovana. Con quanto disprezzo ed insensibilità umana ragazzi italiani parlavano degli immigrati, accusando la politica di debolezza. Eppure la maggior parte li avevano in casa, a fare le faccende domestiche, ad assistere i nonni, magari sottopagati e senza diritti e non si vergognavano di vedere loro coetanei a lavorare, dopo il dramma del passaggio del Mediterraneo, e loro a programmare il prossimo spritz e la prossima sciata.

Il primo impegno (e qui molto possono fare i media) è far conoscere queste storie, far capire che la parola immigrato clandestino può nascondere circuitazioni malavitose (raramente sulle tratta dall’Africa all’Italia sulle carrette del mare) ma in maggior parte descrive semplicemente persone come noi, con le nostre speranze e domanda di una vita migliore, di una vita senza guerra, senza repressione, con un futuro possibile di una ragionevole serenità. Uomini e donne spesso più aperti di noi, come sentiamo dai racconti: famiglie spezzate. Fratelli che hanno già fatto il salto, che chiamano in una catena di solidarietà i fratelli rimasti, mariti che mandano avanti la mogli con i figli giovanissimi perché non hanno i soldi per il viaggio di tutti. In tutti comunque uno straordinario coraggio vitale, che il mondo occidentale ha in qualche modo indebolito.

E poi come ci ha ricordato il presidente Napolitano ricordare l’enorme differenza tra emigrato (clandestino o regolare) per motivi di lavoro e il rifugiato. Il primo richiede politiche diverse, possono funzionare quote, accordi con gli Stati di provenienza, accordi economici per iniziative di sviluppo in loco. I secondi fuggono da guerre o stati dittatoriali con cui non è possibile alcun accordo e non vi è nessun alibi. O occhi chiusi o accoglienza solidale. L’Europa della civiltà dimentica le sue conquiste politiche ed etiche.

Ecco: contrapporre agli imprenditori della paura (quelli che preferiscono investire sui mondi arroccati, sulle guerre di religione, sul timore dell’assedio) l’Italia magnifica che si mostra in questi giorni a Lampedusa. Magari pronta ai tavolini del bar a parlare del pericolo dell’invasione ma poi altrettanto pronta di fronte all’umanità dolente che gli si presenta davanti di essere realmente e concretamente solidale.

Poi vengono i fatti tecnici. Sul sito di demografi italiani Neodemos ( In memoriam) compare un elenco di cose necessarie.Sarà penna dell’ottimo nostro ex senatore Livi Bacci, persona competente e per questo non ricandidato dopo una legislatura…

Cambiare o non cambiare la Bossi Fini non può divenire una battaglia ideologica. Si tratta solo di riconoscere che dopo tanti anni dalla sua approvazione, con una realtà profondamente diversa, qualcosa dall’esperienza si è imparato. In particolare che nessun reato di immigrazione clandestina potrà fermare chi investe tutto il poco che ha per fuggire da paesi distrutti dalla guerra, dalla violenza repressiva delle dittature, dalla mancanza di un qualsiasi futuro. A chi passa quelle prove la galera non fa da deterrente. E il diritto d’asilo è una delle più precoci conquiste dell’umanità, ben prima della democrazia. Il mondo del XXI secolo lo rinnega?

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Tags: , ,

2 commenti

  1. andrea gottardo
    8 ottobre 2013

    Ciao Paolo, sono d’accordo con la tua analisi e voglio aggiungere un mio contributo .
    Siamo diventati una società Schiavista dove ci sono due circuiti di negrieri uno interno e l’altro estreno.
    Il circuito interno è la schiavitù da lavoro dove ci sono due grandi aree di lavoratori,la prima area lavoratori assunti a tempo indetrminato alle condizioni per terzo millenio e lavoratori a tempo indeterminato creando una frattura generazionale dove non si riesce più a vivere di lavoro ,ma questo tema lo conosci molte bene e lo svilupperemo se me ne darai l’occasione.
    Il circuito esterno invece coinvolge la situazione da te descritta molto bene ma sui cui non dai delle possibili soluzioni.
    Aggiungo un punto: Una volta che questi disperati fortemente temprati e determinati giungono in Italia da chi vengono accuditi? Su quali regole vengono individuati i centri di accoglienza con quali procedure? Si deve sempre applicare il criterio dell’emergenza? Con quali criteri di legge si affidano la gestione dei centri di accoglienza e a quali organizzazioni? Perchè i Negrieri non sono solo le organizzazioni che portano il carico fino alle nostre coste, ma ho il sospetto che li abbiamo anche in casa con la loro aurea di uomini perbene con l’aggravante che siamo noi a finanziarli con i nostri soldi!Facciamo chiarezza anche su questo ,apriamo percosi di individuazione e affiadamento dei centri di accoglienza o Cie come e quante sigle vogliamo chiamarli ben detrminati chiari e traspreenti non nascondendo dietro la parola emergenza sciacallagio ed interessi economici enormi sulla vita e le speranze di queste creature !Non è con il populismo che si risolvono le cose ,ne con l’arrendevolezza della fatalità.
    Abbiamo un organo sovranazionale che deve coordinare le azioni umanitarie che si chiama Onu con tutte le sue sottostrutture specifiche. Attiviamolo e interveniamo a monte per intercettare i flussi di quei disperati che scappano dai loro paesi per motivi politici e economici,Organizziamo lì sul posto centri logistici, sostituiamoci alle organizzazioni criminali sul loro terreno, anche con azioni “DECISE” se neccesario.
    E sia l’Onu con la solidarità di tutte le nazioni Europpe in primis l’Italia ad organizzare i viaggi via Mare in questo modo gli “sbarchi” saranno programmati e non ci sarà più l’alibi dell’emergenza e i nostri Negrieri saranno estinti!
    Diventeremo il centro di smistamento dei flussi coordnandone le destinazioni in modo di restituire la dignità a tutti noi e soprattutto a loro.
    A già dimenticavo che per fare questo serve una CLASSE DIRIGENTE POLITICA PREPARATA e FORTE capace di prevedere ,programmare , indirizzare la propia società su nuovi orizzonti e nuove mete,Condizione che non abbiamo!
    Per cui è necessario assolutamente che la Politica torni a fare ciò che è compito della Politica e non propaganda come è stato fatto in questi ultimi vent’anni!
    Abbiamo due temi di straordinaria capacità di coesione sociale , economica e culturale sta a tutti noi non perdere l’accasione !
    Con affetto Andrea Gottardo


  2. Paolo
    8 ottobre 2013

    Caro Andrea, grazie per le approfondite e non banali considerazioni, abbiamo bisogno di riflettere ed agire davvero, e di spiegare alla gente


Scrivi un commento

essays on customer service.