Ancora sulle preferenze, virtù e difetti

Pubblicato il 29 gennaio 2014, da In primo piano

Sembra che sulla legge elettorale si sia trovato un punto di incontro ragionevole in materia di quote e connessi. Resta non risolto il punto delle preferenze. Non ci saranno. Nonostante da tutti i sondaggi e dai colloqui che ognuno di noi fa in piazza, al bar, tra gli amici elevato sarebbe il gradimento degli elettori. Che come ho ricordato nello scorso blog si sono dimenticati del plebiscito a favore della loro abolizione ma ricordano benissimo l’abuso che i partiti hanno fatto (purtroppo senza eccezioni, salvo le precarie “parlamentarie” del PD) del potere di scelta dei parlamentari.

Ci ritorno su per raccontare la mia esperienza, visto che ho fatto in tempo a fare campagne elettorali con le preferenze, con i collegi uninominali del mattarellum e con il porcellum.

Ho fatto campagne con le preferenze per la mia elezione a consigliere comunale e Sindaco di Padova e ho lavorato per altri candidati per elezioni parlamentari. Diciamo che era molto diverso il contesto. Ad esempio: per la DC il voto di preferenza era figlio di un forte radicamento territoriale, di una capacità di rappresentare settori molto differenziati della società. Con il voto di preferenza fidelizzava settori di elettorato. Per il PCI era diverso: il voto di preferenza era considerato una deriva di individualismo borghese ed era amministrato centralmente dal partito. In ogni caso preferenza plurima e rete capillare dei partiti inseriva la competizione per il successo personale dentro un contesto di squadra e di successo collettivo. Con l’indebolirsi della spinta ideale dei partiti, con il prevalere di un intreccio leadership personali slegate da uno spirito di squadra con l’influenza della possibilità di accedere a mezzi economici per sostenere campagne sempre più costose la preferenza aveva cambiato di significato. Specialmente per il Parlamento nazionale in cui collegi molto grandi, pluriprovinciali, richiedevano una rete organizzativa e di comunicazione molto costosa.pd

Ho fatto due campagne elettorali per il Senato con il mattarellum. Forse dal punto di vista del candidato il sistema che dava più soddisfazione. Collegio uninominale, perciò nessuna competizione interna al partito (almeno dopo la candidatura!) e possibilità perciò di concentrarsi in una campagna elettorale rivolta all’esterno; collegi piccoli con la possibilità di raggiungere gli elettori e comunque le forme organizzative della società senza eccessi di spesa; il nome sulla scheda, che consentiva di far valere anche la credibilità personale e la presenza di una sanzione per i partiti che in collegi incerti candidassero persone sconosciute o conosciute per i loro difetti.

Non parlo del porcellum perché è stata una cosa indegna: liste chiuse a livello regionale, nessun nome sulla scheda, nessuna possibilità per l’elettore di dare un giudizio. Ed è questa porcata che fa richiedere a gran voce agli elettori di poter scegliere anche il nome oltre al partito. Anche se, come è già scritto qui, poi alla resa dei fatti il voto di preferenza non è molto esercitato dove non c’è la logica del voto di scambio.

Ci sarebbe anche da osservare che fare le primarie per legge per poi votare senza preferenza non avrebbe molto senso. A questo punto è molto più garantista il processo elettorale che incorpora le preferenze.

In ogni caso vale per me un concetto generale. Non esiste la legge elettorale buona in assoluto. Le leggi elettorali possono aiutare evoluzioni positive del sistema politico in direzione di una maggiore rappresentatività, governabilità, efficienza, autorevolezza delle istituzioni democratiche, ma non possono sostituirsi alla mancanza di buona politica. Così come le modalità di scelta dei parlamentari entro certi limiti sono indifferenti quando esistono partiti rispettosi dell’opinione pubblica, attenti ai processi partecipativi, rigorosi nel pretendere serietà e moralità pubblica e privata dai propri candidati.

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