La Metropoli policentrica

Pubblicato il 22 dicembre 2014, da Relazioni e interventi

Oggi alle 18 al Teatro Toniolo di Mestre viene presentato il volume curato da Luca Romano dal titolo “La metropoli policentrica. Funzioni e governance della PATREVE (Marsilio 2014)”. E’ una raccolta di saggi sul tema del governo dell’area centrale veneta. Riporto qui il breve intervento che ho scritto per il libro, riprendendo temi sviluppati con più ampiezza in altri saggi.

Una metropoli inconsapevole l’ha chiamata Gigi Copiello nel bel saggio “Manifesto per la metropoli Nord Est”.

Come è successo in altre fasi della storia recente del Veneto la realtà si forma senza una adeguata consapevolezza delle scelte che ne dovrebbero derivare. Ma la realtà è lì. Ha cambiato la vita dei cittadini veneti. Non si tratta solo del tradizionale pendolarismo per motivi di studio e di lavoro, così intenso nell’area centrale veneta. Un interscambio tra territori, in cui la cittadinanza si allarga: cittadini in un luogo, utilizzatori di servizi in un altro, produttori di ricchezza in un altro ancora. E’ piuttosto la funzione urbana che si allarga, che integra completamente il tempo libero. Mostre, spettacoli, eventi, strutture sociali e sanitarie per rispondere alle domande di una cittadinanza che non è più classificabile attraverso la lente dei confini amministrativi. Cittadini metropolitani a pieno titolo.

Non è un fenomeno specifico del Veneto, naturalmente. La specificità del Veneto è che questa tensione metropolitana non si addensa attorno ad una città capoluogo, ma si distende sul tradizionale insediamento policentrico. Venezia è certamente il capoluogo amministrativo, è il simbolo universalmente conosciuto di una identità, ma non svolge in nessun modo le funzioni che svolgono altri capoluoghi di regione, a partire dalla sua natura di città bipolare.patreve

Ora questo insediamento policentrico può essere un fattore di debolezza, una indifferenziata e frammentata distribuzione di debolezze più che una pluralità di funzioni offerte. Ma può essere anche una grande risorsa, un paradigma della modernità, che meglio si organizza nei sistema a rete che in quelli gerarchici. Solo che occorre essere capaci di passare dalla inconsapevolezza alla consapevolezza, tradurre l’intuizione in progetto coerente.

Per il Veneto si tratta di una terza mutazione necessaria. La prima l’ha trasformata da regione depressa ad uno dei motori del miracolo economico, camminando sulle gambe di uno spontaneismo economico e di un capitale sociale diffuso. La seconda ha irrobustito l’apparato produttivo riorganizzandolo per filiere distrettuali, consolidando l’interconnessione con i mercati globali, trovando ancora nel territorio risorse adeguate.

Siamo dentro una terza grande mutazione. La competizione avviene anche per sistemi di città. Occorre ricostruire le condizioni di una alleanza forte tra sistema produttivo e territorio. In termini diversi dal passato. I territori diventano pezzi di una filiera globale, da cui dipende l’efficienza complessiva del sistema, la sua competitività nell’attrarre investimenti e talenti. Per far atterrare i flussi, direbbe Aldo Bonomi. Non solo efficienza nella logistica, nella rete dei trasporti per le persone, ma anche aree urbane capaci di offrire elevata qualità della vita, servizi formativi di eccellenza, qualità dell’abitare, sanità, capitale sociale, ecc. Bisogna tornare a quella alleanza tra territorio e impresa che è stata alle radici del miracolo veneto. Solo che il contesto è diverso e bisogna porsi nella parte alta della filiera competitiva tra territori. Altrimenti non si ferma ciò che sta succedendo: che il Veneto, con un PIL pro capite tra i più alti d’Europa sia scivolato al 169° posto su 262 regioni europee nella graduatoria per indice di competitività.

Eppure il Veneto ha tutte le risorse di eccellenza necessarie ad essere una delle aree più attrattive d’Europa. Ma è una potenzialità che va organizzata, trasformando le eccellenze individuali in sistema. Che ci sia una consapevolezza maggiore del passato lo dimostra l’attenzione con cui è stata colta da pezzi di gruppi dirigenti (amministratore locali, a partire dai Sindaci di Venezia, Padova e Treviso, mondo dell’impresa, del lavoro, della cultura) la possibilità di agganciare alla riforma delle province tentata dal governo Monti la realizzazione innovativa di una città metropolitana PATREVE.

L’approvazione del ddl Del Rio apre ora lo spazio per una concreta iniziativa. Con due caveat. Il primo è che applicare un modello indifferenziato in tutta Italia a realtà molto diverse comporta il rischio che si costruisca una architettura istituzionale inadeguata. Un conto sono province in cui il comune capoluogo assorbe quasi interamente il territorio provinciale e svolge le funzioni di autentica capitale non solo amministrativa ma di organizzazione di servizi a tutta la regione un conto è usare lo strumento della città metropolitana in una area urbana diffusa come è quella di PATREVE. Ed è complesso partire dalla trasformazione in Città metropolitana dalla provincia che ha meno omogeneità territoriale, distesa com’è tra Adige e Tagliamento, per la quale le vere integrazioni sono con l’entroterra padovano e trevigiano.

Il secondo caveat riguarda l’immobilismo della Regione Veneto. Sembrano prevalere politiche di pura conservazione dello status quo, mentre bisognerebbe cogliere l’occasione per una azione complessiva di riorganizzazione del sistema territoriale ed istituzionale, incoraggiando l’integrazione metropolitana del Veneto centrale, sostenendo le altre vocazioni (la specificità montana, la cerniera veronese, ecc.) e incentivando robustamente le fusioni tra comuni e le forme di collaborazione sovracomunale, per questa via accrescendo la competitività del territorio.

Il processo di allargamento della città metropolitana di Venezia all’entroterra padovano e trevigiano non è semplice. Bisogna utilizzare le procedure dell’art. 133 della Costituzione, con i tempi che comportano. Si prevedono per legge città metropolitane di scarso significato e si lascia incompleto il nodo della metropoli del Nord Est. Perché alla fine l’obiettivo non può essere quello di istituire un nuovo ente locale in sostituzione delle province, bensì quello di trovare forme di governo adeguate delle complessità territoriali per migliorare le condizioni di vita dei cittadini attraverso la produzione di servizi integrati a minor costo.

Per questo dobbiamo vedere la realizzazione di PATREVE come un processo. Con l’addensarsi di un primo nucleo attorno alla città metropolitana di Venezia, che deve costituire una importante sperimentazione di procedure innovative di integrazione, schivando il rischio che si traduca in una barocca sovrastruttura burocratica, ritardatrice piuttosto che acceleratrice di processi decisionali e programmatori sovracomunali.

Con il moltiplicarsi di accordi di programma, convenzioni, fusioni di aziende, intreccio di consigli di amministrazione, ecc. tra i comuni di Venezia, Padova e Treviso e gli altri comuni dell’area. Agendo sui fattori concreti di cittadinanza: mobilità, cultura, formazione, risorse ambientali, accesso ai servizi, investendo appieno sulle nuove risorse offerte dalle tecnologie digitali (smart city e smart community. Anticipando il vestito amministrativo dell’area metropolitana con una costruzione dal basso. Perché non sarà l’apparato giuridico/amministrativo a costruire la vera città metropolitana del Veneto centrale. Saranno i cittadini a farlo, vivendola.

 

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